lunedì 9 luglio 2007

Polverosi scaffali della memoria



Che brutti scherzi gioca la memoria! Che brutto scherzo è la memoria.
Somiglia sempre più agli scaffali della mia libreria, ingombra di volumi, dove i vecchi tomi ormai detengono un posto inamovibile, ed i nuovi fanno sempre più fatica a conquistarsene uno, anche precario. Si accampano, più timidamente, su un tavolino, su un comodino, e lì vivacchiano. Aspettano educatamente una sistemazione migliore.
Somiglia a quella libreria, soprattutto quando cerchi un libro, un ricordo di cui hai disperatamente bisogno, in un dato momento; e non riesci a trovarlo, a metterlo a fuoco. Ti manca, nella mente, la posizione cui poterlo riferire, il nome cui collegarlo, l'immagine. Uno, qualcuno o tutti questi dati.
Poi, a volte, come il balenare d'un lampo, ecco davanti agli occhi quello che cerchi. Parole, facce, nomi, profumi, musica. Si intrecciano, in maniera ineludibile. Si richiamano l'un l'altro. Ciascun ricordo ha senso solo all'interno della sequenza. Ciascun libro ha senso solo all'interno del suo scaffale. Ciascuno scaffale all'interno della libreria.
Le immagini sono inscindibili dalla colonna sonora. Un pò come il film "Giù la testa" ed il motivetto "scion scion"!
A quale rinunciare? Quale ricordo estirpare? Quale libro rimuovere dallo scaffale? Quale faccia cancellare? Quale nome dimenticare? Quale sequenza sovrascrivere? Quale canzone smettere di cantare? A quale sogno rinunciare?
E perchè?
Forse perchè la memoria ha una dimensione data, finita. Ed una volta oltrepassato il limite, comincia a traboccare, a colare, a scorrere via.
Oppure perchè è un fardello troppo pesante da portare. Sempre più pesante.
E' un interlocutrice che ti soppesa con occhio impietoso, talora arrossato da tracce di rimprovero.
Timorosa di essere diventata uno specchio in cui potresti non riconoscerti più.
Gelosa. Possessiva. Mal si sopporta, col passar del tempo, una così!
Pretende di conoscere e vagliare le tue nuove amicizie. Mette bocca in ogni cosa.
Invadente. Giovane. Di quella gioventù un pò arrogante.
Consapevole della propria bellezza. Troppo consapevole!
Una così è capace di farti fare qualsiasi cosa! Lasciandoti poco tempo a disposizione per pensare se ne valesse davvero la pena.
Ma quando sei stanco, deluso, a pezzi, chi altri ti può consolare? Chi meglio di lei conosce quel che sei, quel che sei stato, quel che senti, quel che vuoi?
Ti sa sussurrare le parole che ti servivano, ti guarda con gli occhi del colore giusto, ti chiama con il tuo nome, sa anche cullarti con le strofe di quella vecchia canzone che temevi di aver dimenticato.
E allora ti soffermi a contemplarla, mentre le tue rughe si distendono, senza scomparire; ti suggerisci che sì, ne è valsa la pena, metti quel vecchio disco di vinile sul piatto, accendi una sigaretta, ti versi da bere e ti godi il tuo proprio sorriso.

Firenze, 1999, da qualche parte!

2 commenti:

Riccardo Venturi ha detto...

Sarà una gran bischerata, ma te la voglio dire lo stesso. Non ha a che fare con il post in sé, ma con la foto che ci hai messo a corredo. Chissà da dove la hai presa! Mi ricorda, però, i "libri di riempimento" svedesi che si vedono nei mobili dell'IKEA; e, infatti, qualcuno è in lingua svedese.

Ce n'è uno, nella foto, che conosco bene. E' quello sulla destra, di cui di vede bene il titolo sulla costola, "Röde Orm" di Frans Bengtsson. Non credo sia mai stato tradotto in italiano, ed è un peccato perché è un capolavoro del romanzo di avventura. "Röde Orm" vuol dire "Serpente Rosso" in svedese; è la storia di un capo vikingo, uno di quei rari libri che da un lato riescono a tenerti avvinti per il fuoco di fila della narrazione, e dall'altro ti fa sbellicare dalle risate. Non soltanto per le vicende, ma anche per lo stile in cui è scritto: uno svedese falsamente arcaico (già nel titolo: per motivi che non sto a spiegare, la "-e" finale di "Röde" è un arcaismo), roboante, con le forme plurali dei verbi (che in svedese non si usano più da due secoli), con una sintassi che fa scompisciare ma, nel contempo, riproduce veramente lo stile delle antiche saghe.

Ce l'ho, quel libro, da più di vent'anni. Me lo portò un mio compagno di università dalla Svezia, tale Pär Larsson. Quando mi disponesti i libri nella libreria in camera, Franco (in una disposizione che trovo stupenda e che non cambierò mai!), lo avrai sicuramente preso in mano, anche se solo per un momento. Una storia che non c'entra niente col tuo post, ma te la volevo raccontare lo stesso.

Anonimo ha detto...

omnia fers aetas...animum quoque

ovvero il tempo porta via tutto...anche i ricordi

ma la carta a quei tempi era merce rara mentre oggi al tempo della rivoluzione digitale si può trovare tutto a colpi di click e tutto si può conservare e proteggere. Anzi si deve conservare e proteggere. Come i sogni, del resto.
I libri in particolare sono la mia coscienza, il cibo per i miei dubbi, il virus delle mie stupide certezze, la lanterna di un Diogene condannato a una ricerca senza fine.
Io amo le librerie, è la prima cosa che noto nella casa di chi mi ospita: i titoli, la disposizione dei volumi sono molto più indicativi delle stupidaggini che il più delle volte si dicono in una conversazione normale.
Un proverbio orientale dice che il numero delle parole che una persona può pronunciare nel corso della sua vita è finito. Poi muore.
I libri invece rimangono e si tramandano di padre in figlio. E' un dovere conservarli e proteggerli. Come i sogni, del resto.


mauro