sabato 4 giugno 2022

Disgustoso !!

Cibo, carestia e guerra
- di Michael Roberts -

Se esiste qualcosa in grado di dimostrare che la carestia e l'insicurezza alimentare sono causate dall'uomo, piuttosto che dai capricci della natura e del clima, allora questa è l'attuale crisi alimentare che sta portando in tutto il mondo milioni di persone vicino alla fame. La guerra tra Russia e Ucraina ha evidenziato il disastro causato dall'approvvigionamento alimentare globale, ma la situazione aveva già cominciato a essere preoccupante ben prima della guerra. La catena di approvvigionamento alimentare è sempre più globale.  La Grande Recessione del 2008-9 aveva già cominciato a scardinare questa catena basata su aziende alimentari multinazionali che controllavano l'approvvigionamento dagli agricoltori di tutto il mondo.  Queste compagnie hanno orientato la domanda, hanno creato la catena della fornitura di fertilizzanti e dominato gran parte dei terreni coltivabili.  Quando la Grande Recessione ha colpito, hanno perso i profitti, riducendo di conseguenza gli investimenti e aumentando la pressione sui produttori alimentari del "Sud globale". Le falle che si sono prodotte in questi elementi fondamentali dell'approvvigionamento alimentare, sono state accompagnate da un aumento dei prezzi del petrolio, da una domanda esplosiva di biocarburanti a base di mais, da alti costi di spedizione, da speculazioni sui mercati finanziari, da scarse riserve di cereali, da gravi perturbazioni climatiche in alcuni grandi produttori di cereali e da un aumento delle politiche commerciali protezionistiche.  Era questo il "clima" alimentare della lunga depressione fino al 2019, prima che la pandemia colpisse.

Prezzi di alimenti, carburanti e fertilizzanti rispetto alla crescita del PIL nei Paesi a basso e medio reddito, 2000-2022. FAO/FMI/Banca Mondiale.

La crisi alimentare successiva alla Grande Recessione è stata relativamente breve, ma è stata seguita da un'altra esplosione dei prezzi dei prodotti alimentari, avvenuta nel 2011-2012.  Alla fine, il "boom delle materie prime" è terminato, e per un po' i prezzi dei prodotti alimentari sono rimasti relativamente stabili.  Ma il crollo dovuto alla pandemia ha provocato una nuova crisi: la catena di approvvigionamento globale è crollata, i costi di spedizione sono saliti alle stelle e le forniture di fertilizzanti si sono esaurite.  L'indice dei prezzi dei cereali ha mostrato come nel 2021 i prezzi avessero raggiunto il livello del 2008.

Il mondo non si è ancora ripreso dai colpi di coda della pandemia del COVID-19, la peggiore crisi economica dalla seconda guerra mondiale. E questo in un momento in cui molte economie si trovano ad affrontare quelli che sono grandi carichi di debito, rispetto al reddito nazionale.  L'Africa è la regione più vulnerabile. Il Nord Africa è un grande importatore netto di grano, la maggior parte del quale proviene dalla Russia e dall'Ucraina, e quindi si trova ad affrontare una crisi alimentare particolarmente acuta. L'Africa subsahariana è prevalentemente rurale, ma le sue popolazioni urbane in crescita sono relativamente povere e più propense a consumare cereali importati.  Gli agricoltori, in molte parti dell'Africa hanno difficoltà ad accedere ai fertilizzanti, anche a causa di prezzi gonfiati dai problemi di spedizione e di cambio. I costi esorbitanti eroderanno i profitti degli agricoltori e potrebbero ridurre quelli che sono gli incentivi ad aumentare la produzione, smorzando i benefici della riduzione della povertà a causa dell'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. I Paesi già colpiti da conflitti e cambiamenti climatici sono particolarmente vulnerabili. Lo Yemen, devastato dalla guerra, dipende fortemente dalle importazioni di cereali. L'Etiopia settentrionale è una delle regioni più povere del pianeta, ed è alle prese con conflitti in corso e una crisi umanitaria. Il Madagascar è stato colpito da tempeste tropicali e cicloni in gennaio e febbraio, che hanno lasciato il suo sistema alimentare a pezzi. In Afghanistan, i tassi di mortalità infantile sono in aumento a causa del collasso dell'economia e dei servizi sanitari di base. Il PIL del Myanmar si è ridotto del 18% dopo il colpo di stato militare del febbraio 2021. La guerra tra Russia e Ucraina non ha fatto altro che esacerbare questo disastro alimentare in termini di sicurezza e di prezzi.  La Russia e l'Ucraina rappresentano oltre il 30% delle esportazioni globali di cereali, la Russia da sola fornisce il 13% dei fertilizzanti globali e l'11% delle esportazioni di petrolio, mentre l'Ucraina fornisce metà dell'olio di girasole mondiale. L'insieme di questi fattori rappresenta un enorme shock di approvvigionamento per il sistema alimentare globale e una guerra prolungata in Ucraina, insieme al crescente isolamento dell'economia russa potrebbero mantenere alti i prezzi di cibo, carburante e fertilizzanti per anni. L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia ha portato l'indice dei prezzi alimentari globali ai massimi storici. L'invasione ha bloccato i porti ucraini del Mar Nero, un tempo molto trafficati, e ha lasciato i campi incolti, limitando la capacità di esportazione della Russia.  La pandemia continua a intralciare le catene di approvvigionamento, mentre i cambiamenti climatici minacciano la produzione in molte regioni agricole del mondo, con un aumento della siccità, delle inondazioni, del caldo e degli incendi. Secondo il Programma alimentare mondiale, milioni di persone stanno rischiando di morire di fame. Nel 2020,il numero di persone considerate "sottonutrite" è aumentato di 118 milioni, dopo essere rimaste sostanzialmente invariato per diversi anni. Le stime attuali parlano di circa 100 milioni di persone in più.

Lo scorso anno, i livelli di fame acuta - il numero di persone che non possono soddisfare le esigenze di consumo alimentare a breve termine - sono aumentati di quasi 40 milioni. La guerra è sempre stata il principale fattore di fame estrema, e ora la guerra tra Russia e Ucraina sta aumentando il rischio di fame e carestia per molti altri milioni di persone.

Il direttore generale del FMI Kristalina Georgieva ha dichiarato che: «Per molti Paesi, questa crisi alimentare si aggiunge a una crisi del debito. Dal 2015 la percentuale di Paesi a basso reddito in difficoltà o quasi, è raddoppiata, passando dal 30 al 60%. Per molti, la ristrutturazione del debito è una priorità urgente... Sappiamo che la fame è il più grande problema risolvibile del mondo. Una crisi incombente, è il momento di agire con decisione - e di risolverla». 
Ma le soluzioni mainstream a questo disastro, sono inadeguate o utopiche, oppure entrambe le cose.  L'appello viene fatto ai "principali produttori di cereali" perché risolvano le strozzature logistiche, liberino le scorte e resistano all'impulso di imporre restrizioni alle esportazioni alimentari.  I Paesi produttori di petrolio dovrebbero aumentare le forniture di carburante, in modo da contribuire a ridurre i costi di carburante, fertilizzanti e trasporto. I governi, le istituzioni internazionali, e persino il settore privato devono offrire protezione sociale attraverso aiuti alimentari o finanziari.
Ma nessuna di queste proposte si sta concretizzando.  Le grandi potenze capitalistiche stanno facendo ben poco per aiutare i Paesi poveri, con milioni di persone affamate e malnutrite.  Alla fine del mese scorso, la Commissione europea ha annunciato un pacchetto di aiuti da 1,5 miliardi di euro, insieme a misure aggiuntive, per sostenere gli agricoltori dell'UE e proteggere la sicurezza alimentare del blocco. I leader del Gruppo della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione Mondiale del Commercio hanno chiesto un'azione urgente e coordinata per affrontare la sicurezza alimentare. Belle parole ma niente fatti. Un aiuto concreto sarebbe la cancellazione del debito dei Paesi poveri.  Ma tutto ciò che il FMI e le grandi potenze hanno offerto, è una sospensione del servizio del debito - i debiti rimangono, ma i rimborsi possono essere ritardati. Questo "sollievo" è patetico. In totale, negli ultimi due anni, i governi del G20 hanno sospeso crediti per appena 10,3 miliardi di dollari. Secondo la Banca Mondiale, solo nel primo anno della pandemia i Paesi a basso reddito hanno accumulato un carico di debito pari a 860 miliardi di dollari. L'altra "soluzione" del FMI è stata quella di aumentare l'entità dei Diritti Speciali di Prelievo, il denaro internazionale da utilizzare per gli aiuti extra. Il FMI ha iniettato aiuti per 650 miliardi di dollari attraverso il programma dei DSP. Ma a causa del sistema di "quote" per la distribuzione dei DSP, le quote dei DSP sono sproporzionatamente a favore dei paesi ricchi: L'Africa ha ricevuto meno DSP della Bundesbank tedesca!
Le condizioni macroeconomiche ora stanno scatenando delle rivolte alimentari. In un nuovo rapporto, intitolato "Tapering in a Time of Conflict", l'UNCTAD ha delineato gli scenari futuri.  Lo Sri Lanka, la cui crisi del debito è in corso da diversi anni, è un'utile illustrazione delle dinamiche chiave. Le rimesse e le esportazioni sono crollate durante la pandemia, la quale ha anche interrotto il cruciale settore del turismo. Il rallentamento della crescita, ha messo a dura prova il bilancio e ha esaurito le riserve di valuta estera, lasciando Colombo alle prese con il problema dell'importazione di petrolio e di generi alimentari.  Le carenze sono acute. Due uomini sulla settantina sono morti mentre aspettavano in fila per il carburante, ha riferito Al Jazeera. I prezzi del latte sono aumentati, e gli esami scolastici sono stati cancellati a causa della carenza di carta e inchiostro. Lo Sri Lanka sta lottando per onorare i 45 miliardi di dollari di debiti a lungo termine, di cui oltre 7 miliardi in scadenza quest'anno, e potrebbe unirsi ai Paesi che hanno fatto default durante la pandemia, tra cui Argentina e Libano, quest'ultimo fortemente dipendente dalle importazioni di grano.

Anziché aumentare l'offerta, liberare le scorte alimentari e cercare di porre fine alla guerra in Ucraina, i governi e le banche centrali stanno aumentando i tassi di interesse, cosa che a sua volta aumenterà l'onere del debito per i Paesi poveri affamati di cibo.  Come ho spiegato nei post precedenti e come concorda l'UNCTAD, gli aumenti dei tassi di interesse delle banche centrali non servono a controllare l'inflazione creata dalle interruzioni dell'offerta, quanto piuttosto a provocare una recessione globale e una crisi del debito dei "mercati emergenti". Le crescenti proteste e gli sconvolgimenti politici preoccupano le grandi potenze più della fame. Come ha detto il Segretario del Tesoro statunitense Janet Yellen: « L'inflazione sta raggiungendo i livelli più alti degli ultimi decenni. Il forte aumento dei prezzi di cibo e fertilizzanti mette sotto pressione le famiglie di tutto il mondo, soprattutto quelle più povere. E sappiamo che le crisi alimentari possono scatenare disordini sociali ».

Negli anni Quaranta del XIX secolo, quando il capitalismo divenne il modo di produzione dominante a livello globale, Marx parlò di un "nuovo regime" di produzione alimentare industriale-capitalista, collegato all'abrogazione della Corn Laws e al trionfo del libero commercio dopo il 1846. Egli associò questo "nuovo regime" alla conversione di «grandi estensioni di terra coltivabile in Gran Bretagna», guidata dalla "riorganizzazione" della produzione alimentare intorno agli sviluppi nell'allevamento e nella gestione del bestiame, e dalla rotazione delle colture, unita ai relativi sviluppi nella chimica dei fertilizzanti. La produzione alimentare capitalista aumentò drasticamente la produttività alimentare, e trasformò la produzione alimentare in un'impresa globale.  A metà degli anni Cinquanta del XIX secolo, queste tendenze erano già evidenti: quasi il 25% del grano consumato in Gran Bretagna veniva importato, il 60% del quale da Germania, Russia e Stati Uniti.  Ma la crisi ha portato anche crisi di produzione e di investimento regolari e ricorrenti, le quali hanno creato una nuova forma di insicurezza alimentare.  La carestia e la fame non potevano più essere imputate alla natura e al clima, se mai lo erano state. Ora erano chiaramente il risultato delle disuguaglianze della produzione capitalista e dell'organizzazione sociale su scala globale. E sono i più poveri a soffrire.  Karl Marx scrisse che la carestia «uccideva solo i poveri diavoli». E insieme all'agricoltura industriale è arrivato anche lo sfruttamento e il trattamento crudele degli animali, tanto quanto quello degli esseri umani.  Marx scrisse in un quaderno inedito: "Disgustoso!". L'alimentazione nelle stalle costituisce un «sistema di celle-prigione» per gli animali. « In queste prigioni gli animali nascono e vi rimangono finché non vengono uccisi. La domanda è se questo sistema, collegato al sistema di allevamento che fa crescere gli animali in modo anomalo, abortendo le ossa per trasformarli in mera carne e in una massa di grasso - mentre prima [prima del 1848] gli animali rimanevano attivi rimanendo il più possibile all'aria aperta - alla fine porterà a un grave deterioramento della forza vitale? ».
Questa è una crisi globale, e richiede un'azione globale analoga a quella secondo cui avrebbe dovuto essere affrontata la pandemia, e di cui ora ha bisogno la crisi climatica.  Ma questo coordinamento globale è impossibile se l'industria alimentare mondiale è controllata e posseduta da poche multinazionali produttrici e distributrici di cibo, e se l'economia mondiale si avvia verso un altro crollo.

- Michael Roberts - Pubblicato il 3/6/2022 su Michael Roberts blog. Blogging from a Marxist economist -

venerdì 3 giugno 2022

Il dito sul grilletto

Le loro armi non ti proteggeranno, ma possono farti restare ucciso
- Perché né la polizia né il controllo delle armi sono sufficienti a fermare le sparatorie -

Dopo una settimana e mezza da quando, in una sparatoria di massa in un supermercato di Buffalo, un 18enne suprematista bianco ha ucciso dieci persone, in Texas un altro 18enne ha ucciso diciannove bambini e due insegnanti in una scuola di Uvalde, frequentata prevalentemente da bambini latini della classe operaia. In seguito, anche il marito di una di queste insegnanti è morto per un attacco di cuore causato dal dolore. La città di Uvalde ha stanziato quasi mezzo milione di dollari per i servizi di sicurezza e il monitoraggio delle scuole, a cui si aggiungono altri 69.000 dollari del governo statale del Texas, spesi in metal detector, barriere, sistemi di sicurezza, «sistemi di allarme per fare in modo che si attivino dei tiratori a livello di campus» e altra roba simile. Ma, nonostante riceva quasi il 40% del bilancio comunale - oltre a un ulteriore mezzo milione di dollari di sovvenzioni statali - la polizia di Uvalde, durante il massacro, ci ha messo un tempo insolitamente lungo prima di riuscire a intervenire, mentre i genitori la imploravano di fare qualcosa. Come documentato dagli anarchici, la militarizzazione della polizia non è servita in alcun modo a proteggere le persone dalle sparatorie di massa. Nel 2020, le armi da fuoco sono diventate la principale causa della morte di bambini negli Stati Uniti. E questo va visto insieme al fatto che le uccisioni da parte della polizia erano già tra le principali cause di morte dei giovanissimi. Una società basata sulla coercizione e sul controllo non serve a proteggerci. Tutti i soldi, usati dai governi cittadini, statali e federali e che sono stati destinati ai dipartimenti di polizia, hanno reso tale polizia la forza più potente della nostra società, ma questo non è servito a rendere noi più sicuri. I poliziotti non usano le armi per evitare che ci venga fatto del male, ma solo per proteggere loro stessi, e per perseguire i loro propri interessi e per dominarci. Secondo i tribunali, gli agenti di polizia non hanno come priorità il dovere di proteggere gli studenti dall'essere uccisi. La polizia non serve a questo. Il ruolo della polizia non è quello di proteggere, ma piuttosto di controllare. Il loro compito non è quello di prevenire le crisi, ma stabilire chi è che ne deve soffrire. A tal proposito, le immagini dei poliziotti che trattengono fisicamente i genitori mentre i loro figli vengono uccisi, la dice lunga su questo. Sia il partito repubblicano che quello democratico stanno sfruttando questo momento al fine di ribadire quali sono i loro punti di vista circa chi dovrebbe, o non dovrebbe, avere armi. Ma nessuno di loro è in grado di riconoscere quali sono le cause profonde del problema. Pertanto, tutti propongono delle risposte che possono solo alimentare lo stesso circolo vizioso che ha prodotto questa tragedia.

I Repubblicani...
I repubblicani, da tempo legati alla National Rifle Association e all'industria delle armi, hanno risposto a questo massacro chiedendo più polizia e più guardie nelle scuole. Il loro intento è sempre stato quello di cercare di ridurre i finanziamenti per le scuole, e controllare ciò che vi si può insegnare, o anche solo dire, al loro interno, ma allo stesso tempo intendono convogliare sempre più risorse verso l'industria della sicurezza. Ovviamente, inondare la nostra società di un numero sempre maggiore di armi non ridurrà certo il numero delle sparatorie; e questo riferito sia a quelle della polizia in servizio, che a quelle della polizia fuori servizio, o di altri che hanno accesso alle armi. Alcuni repubblicani hanno inserito le sparatorie di massa nel loro programma, cercando di sfruttare queste tragedie come opportunità per diffondere disinformazione e odio. Il deputato dell'Arizona Paul Gosar, noto per aver partecipato alle conferenze dei nazionalisti bianchi, ha dichiarato che l'assassino era un «immigrato illegale transessuale di sinistra», ripetendo in tal modo quella che era una menzogna apparsa sulla piattaforma di reclutamento di estrema destra 4chan. Anche la stella mediatica di destra, Candace Owens, ha diffuso tale menzogna. Non è certo una coincidenza che poco dopo un gruppo di bigotti abbia ripetuto questa affermazione mentre aggrediva una ragazza trans minorenne. Alcuni repubblicani di base sono abbastanza creduloni da credere a queste bugie che vengono costantemente aggiornate per poter tenere testa ai fact-checkers operanti nel ciclo delle notizie. Certo, ci sono altri repubblicani che le riconoscono sicuramente come false, ma tuttavia in un mondo di fake news, le falsità proclamate con coraggio vengono interpretate come se fossero una dimostrazione di forza. Questa strategia cinica crea così un ciclo che si autoalimenta. Quanto più le cose peggiorano, tanto più la società precipita nella violenza autodistruttiva, e così aumentano ancora di più le opportunità per dare la colpa di questa violenza a un Altro - sia esso trans, di sinistra, senza documenti o nero - contro il quale viene richiesta una potenza ancora più violenta. Ecco perché nessuna sparatoria di massa - e quest'anno ce ne sono già state 214 - riuscirà mai a screditare i repubblicani, per quanto riguarda la loro base.

...I Democratici …
I Democratici, invece, hanno chiesto un maggiore controllo delle armi. Alcuni democratici di sinistra sono riusciti perfino ad arrivare a capire che nessuna misura di polizia riuscirà a fermare le sparatorie di massa. Ma il problema è: chi potrebbe far rispettare le leggi più severe sulle armi? La polizia, naturalmente. E la polizia applicherebbe queste leggi nella maniera altrettanto selettiva, con lo stesso razzismo e con la stessa violenza con cui applica tutte le altre leggi in vigore. Negli Stati Uniti ci sono più di 400 milioni di armi da fuoco di proprietà privata, ben più di una per ogni essere umano. Ora che tutte queste armi sono in circolazione, sarà difficile rimettere il genio nella bottiglia. Le campagne di riacquisto potrebbero avere un piccolo impatto, ma finché ci saranno nazionalisti bianchi e poliziotti armati, vedremo anche che le altre persone, giustamente, esiteranno a rinunciare alle loro armi. Fino a quando la nostra società non sarà pronta per un disarmo multilaterale - compreso quello dello Stato - quelle armi rimarranno in circolazione, e gli sforzi della polizia per controllarle porteranno solo ad altre incarcerazioni e ad altre violenze da parte della polizia. Se negli Stati Uniti, alla fine di un invasivo giro di vite senza precedenti, dovesse essere solo la polizia ad avere accesso alle armi da fuoco, ciò non porrebbe fine alle sparatorie di massa da parte dei suprematisti bianchi, come quella di Buffalo. La polizia è assolutamente coinvolta nei movimenti suprematisti bianchi; anche senza contare gli omicidi che commette nell'esercizio delle sue funzioni. Quando i Democratici criticano il comportamento della polizia - ad esempio la vigliaccheria dei poliziotti di Uvalde - la cosa spesso serve solo a razionalizzare ancora di più la necessità di destinare maggiori risorse alla polizia e ai suoi surrogati. Finché la logica del sistema giudiziario punitivo rimarrà indiscussa, anche le critiche più feroci verranno usate per giustificare la richiesta di nuovi gruppi, e di programmi di formazione per la polizia. I Repubblicani non vogliono ostacolare l'accesso alle armi da parte dei vigilanti bianchi, perché li considerano essenziali alla preservazione dell'ordine sociale dominante. I Democratici vogliono che lo Stato abbia il monopolio della forza, perché credono che questo sia il modo migliore per preservare lo stesso ordine sociale. Con Biden, i Democratici hanno fatto tutto il possibile per riabilitare l'immagine della polizia, associando falsamente il costante aumento della violenza e della disperazione ai movimenti per l'abolizione della polizia, e agli sforzi per abolire quelle disuguaglianze, di ricchezza e di potere, che la polizia ha il compito di imporre.

...e Noi
Qual è la soluzione, allora? Cosa possiamo fare per porre fine alle sparatorie di massa?
Se la polizia esiste per proteggere i ricchi (e loro stessi), ecco che allora, con l'aumento delle disparità di ricchezza e di potere, la polizia proteggerà sempre meno persone. Questo non è un segno del loro fallimento: è esattamente ciò che hanno sempre fatto. Il divario tra ricchi e poveri è aumentato costantemente da decenni, insieme alla violenza della polizia e alle sparatorie di massa. La disperazione e lo sconforto che ne deriva, contribuiscono a far sì che le persone diventino assassini di massa. La stessa cosa vale anche per i capri espiatori e la demagogia che sorgono sempre più in una società così profondamente diseguale, paurosa e acrimoniosa. Se vogliamo fermare le sparatorie, nel lungo periodo, dobbiamo abolire tutti i meccanismi che creano queste disuguaglianze, così come tutte le forze che preservano il capitalismo, la supremazia bianca e il patriarcato. A tal proposito, la lotta per fermare le sparatorie di massa deve porsi degli obiettivi molto più ampi, se vuole avere successo. Nel corso delle esercitazioni contro i killer attivi nelle scuole di tutti gli Stati Uniti, ai bambini viene insegnato che in caso di sparatoria, la cosa migliore da fare è reagire: lanciare i libri di testo, le sedie o qualsiasi cosa su cui si possa mettere le mani contro il killer. Questa è la risposta di una società che non intende proteggere i bambini, che non li ha mai protetti. Questo indica che siamo davvero soli. Dobbiamo capirlo e cominciare a organizzarci di conseguenza, piuttosto che riporre la nostra fiducia nei politici di qualsiasi partito. Uno dei ruoli fondamentali della polizia, è quello di scoraggiarci dal risolvere i problemi da soli, in modo da delegare alle autorità sia la nostra sicurezza che la risoluzione dei conflitti. Eppure la maggior parte dei genitori vorrebbe rischiare di più per poter proteggere i propri figli, più di quanto non farebbe mai la polizia. Che cosa sarebbe stato necessario ai genitori di Uvalde, per poter affrontare con successo la sparatoria, da soli, sfidando la polizia? Quali istituzioni di base avrebbero dovuto esistere, quali risorse e quali competenze avrebbero dovuto circolare? È orribile doverlo riconoscere, ma ci troviamo in una situazione in cui sempre più persone non hanno alternative migliori della polizia. Se dipende da noi affrontare queste sparatorie, allora, piuttosto che guardare ai Democratici, per rafforzare il controllo delle armi attraverso la legislazione e le azioni di polizia, potremmo invece iniziare a chiederci come potrebbe essere una campagna di azione diretta rivolta all'industria delle armi stessa. Cosa accadrebbe se potessimo fare completamento a meno della macchina Rube Goldberg della politica di partito, e tagliassimo i margini di profitto delle aziende che hanno fatto il pieno di vendite di armi da fuoco? Senza autodeterminazione non c'è sicurezza. Per essere sicuri, dobbiamo essere noi a definire ciò che conta come sicurezza, e dobbiamo avere il potere di plasmare le condizioni della nostra vita. Finora, i partecipanti più efficaci al movimento contro le sparatorie di massa sono stati gli studenti che hanno inscenato manifestazioni di protesta nelle loro scuole. Un altro punto di partenza è assicurarsi che gli studenti organizzatori abbiano tutto il sostegno e le risorse necessarie per capire da soli come preservare al meglio le proprie vite.

«Se la scuola ha insegnato qualcosa agli studenti di oggi, è che coloro che prendono decisioni per loro conto non sempre hanno a cuore i loro interessi. Nel mondo in cui si affacciano - afflitto da tremende disparità, minacciato da una catastrofe climatica e dilaniato da conflitti civili - la cosa più importante che potrebbero imparare, è come agire collettivamente per difendersi l'un l'altro. È questa l'abilità di cui avranno bisogno, più di qualsiasi prerequisito o formazione professionale».

- CrimethInc – 27/5/2022 -

giovedì 2 giugno 2022

Strada senza fine...

«Una buona causa la si può sempre esporre anche in modo divertente», così afferma al tavolino di un ristorante della stazione di Helsinki il fisico Ziffel che, scappato dalla Germania nazista, ora passa una parte delle sue difficili giornate a dialogare con un altro esule tedesco, l’operaio Kalle. Mentre l’Europa sprofonda nell’incubo della Seconda guerra mondiale, i due discorrono degli argomenti più disparati, dall’Invadenza degli uomini importanti al Triste destino delle grandi idee, dalla Peculiarità della parola «popolo» al Metter radici, dalla Paura del caos al Pensare come piacere, in un irresistibile botta e risposta sempre sorretto dal gusto per la battuta e per il paradosso. In quest’opera di limpida lucidità, composta nel 1940 durante l’esilio finlandese, Brecht mette a processo le sue stesse idee e offre un sarcastico repertorio delle contraddizioni dei sistemi politici. Ne nasce così un beffardo elogio del rifugiato che si leva come una risata di scherno contro tutti gli ottusi custodi delle frontiere. Dopo oltre quarant’anni di assenza dalle librerie, i Dialoghi di profughi tornano in una nuova edizione per la prima volta integrale, arricchita di un intero capitolo e altri passaggi inediti.

(dal risvolto di copertina di: «Dialoghi di profughi», di Bertolt Brecht. L'orma, pp.160, €17)

Il profugo Brecht cambia più paesi che scarpe per colpa del signor Comediavolosichiama
- Dopo l'incendio del Reichstag il drammaturgo lascia la Berlino di Hitler e si rifugia in Danimarca e Finlandia. Da quella esperienza di esiliato nasce l'idea delle conversazioni ironiche tra il fisico Ziffel e l'operaio Kalle -
di Luigi Forte

«Davvero, vivo in tempi bui!», suona un noto verso di Bertolt Brecht, oggi più che mai attuale di fronte all'orrore della guerra. Anche lui era un fuggitivo: aveva lasciato Berlino dopo l'incendio del Reichstag nel febbraio del 1933 per stabilirsi con la famiglia in Danimarca. E poi oltre, in Svezia e in Finlandia, «più spesso cambiando paese che scarpe», come scrisse nelle Poesie di Svendborg. In quegli anni maturò l'idea di una rappresentazione, spesso ironica e satirica, delle sue esperienze d'esiliato, soprattutto dopo la lettura del romanzo filosofico dell'amato Diderot, Jacques il fatalista e il suo padrone. Il progetto prese corpo durante il soggiorno finlandese tra l'aprile del 1940 e il maggio del 1941 con i Dialoghi di profughi, che L'Orma editore presenta nella versione di Margherita Consentino pubblicata da Einaudi nel 1961 e ora rivista da Eusebio Tabucchi, con l'aggiunta di alcuni inediti.
Come in Diderot, anche qui i protagonisti sono due: il fisico Ziffel, alto e ben piazzato, e Kalle, basso e tarchiato con mani da operaio metallurgico. Hanno attraversato molti paesi, nel caos della guerra, e s'incontrano per caso al ristorante della stazione di Helsinki. Un luogo di transito, una tappa del loro perenne esodo. Caratteri diversi, ma con una cosa in comune: la fuga dal fascismo e il bisogno di progettare un futuro, non di rado con un tono burlesco che accomuna divertimento e riflessione. Più ovvio e diretto il discorso di Kalle, più ponderato quello di Ziffel in un dialogo in cui talvolta i due si scambiano i ruoli nelle diciotto scene che in realtà, costruiscono un lungo monologo contro i nemici di sempre. Come le virtù borghesi, il rapporto fra capitalismo e fascismo, l'idea della razza esaltata dai nazisti, che è per Ziffel «il tentativo di un piccolo borghese di diventare un nobile». Kalle cita versi brechtiani e ambedue rendono più scorrevole il racconto con una serie di divertenti storielle che traducono la prosa in gesto teatrale. Come è stato detto, si sente non di rado l'eco del cabaret monacense dove furoreggiavano Karl Valentin e Frank Wedekind.
Sulla scena domina il gusto per la battuta esplosiva, mentre si stravolgono nell'assurdo i luoghi comuni e si smascherano le bugie della propaganda degli oppressori. E costante è la provocazione: «nessuno può essere spremuto quanto i poveri - suggerisce Ziffel - da loro vengono distorte persino le virtù» e poi, sciolto da qualsiasi laccio moralistico, esclama: «Io sono per un Paese dove abbia senso essere lussuriosi». Mentre Kalle lancia una delle sue impareggiabili boutade: «Non abbiamo bisogno dell'appetito: abbiamo la fame». Ziffel legge poi al compagno passi delle sue memorie: sulla propria educazione, gli anni di studio, la famiglia. E qui riaffiora l'insofferenza del giovane Brecht che ben si rispecchia anche nell'estraneità del suo personaggio agli entusiasmi collettivi perché indegno - sottolinea con vigore - «di essere guidato da capi energici» e dal signor Comediavolosichiama, cioè il dittatore Hitler.
Del resto Ziffer critica altresì la libertà elvetica, il patriottismo francese, praticato come un vizio, e la democrazia scandinava: anche dietro di loro il capitalismo può partorire terribili mostri. Bisogna dunque affidarsi al comunismo sotto il quale è proibito farsi sfruttare, come propone Kalle? Ziffel ha i suoi dubbi e sogna un paese dove regnino condizioni tali che virtù così faticose come l'amor di patria, la bontà, il disinteresse, siano ormai inutili. Forse, q questo punto, l'esilio non finirà mai. Del resto è la migliore scuola di dialettica, perché i profughi non fanno altro che studiare i cambiamenti. O forse una soluzione c'è:fondare la ditta di disinfestazione dalle cimici proposta da Kalle per ripulire il mondo e brindare al socialismo, ma con quattro idee ben chiare: il più grande coraggio, la più profonda sete di libertà, il massimo disinteresse e il più grande egoismo. Il futuro è ancora lontano e la strada dei profughi senza fine.

- Luigi Forte - Pubblicato su Tuttolibri del 30/4/2022 -

L'inedito: «Dialoghetto della "Fede"»
- di Bertolt Brecht -

Ziffel:  «Mi ha subito disgustato quanto fosse importante la parola "fede". Esigevano la mia fede, e io non possa dare quel che non possiedo. Da me possono pretendere tasse, alcuni servizi, un certo comportamento, ad esempio chiedermi di sollevare il piede in loro presenza, ma non di avere fede. Non credo neppure a Newton, che pure era un uomo di straordinaria intelligenza, e dovrei aver fede nel Comediavolosichiama? Ho sudato sangue per imparare a non credere a niente, neppure al fatto che la somma degli angoli di un triangolo sia 180 gradi, né che un corpo lanciato in aria cadrà a terra, né tantomeno che lei sia davvero seduto là dove io la vedo: come ho detto, sradicare la mia naturale propensione alla credenza mi è costato caro, anche in termini finanziari, e ora dovrei credere a questa gentaglia? Il cammino che porta dal boscimano all'uomo civilizzato è lungo quanto quello che separa l'uomo civilizzato dal boscimano, e bisogna percorrerlo».

Kalle: «Capisco bene quello che prova, e spero che anche i suoi colleghi abbiano le sue stesse difficoltà con la fede; sa, non è proprio il loro campo. Prenda ad esempio la religione. Ci sono persone le quali non credono che la somma degli angoli di un triangolo sia sempre di tot gradi, ma poi sono sicure dell'esistenza dei fantasmi».

Ziffel: «Non scherzi con i santi! Magari non tutti i fisici saranno dei geni come Planck, ma uno che creda ai fantasmi non l'ho ancora incontrato».

Kalle: «Forse non ai fantasmi, ma a Dio sì. E il suo signor Planck fa proprio al caso mio. Dicono sia religioso, l'ho letto sul giornale. All'inizio non credevamo che credesse, ma poi ci siamo dovuti rassegnare a crederci. A causa sua ho litigato con un operaio metallurgico, un libero pensatore, e mi sono ritrovato a difendere la Società Kaiser Wilhelm di cui Planck è presidente per poi dover ammettere che magari quell'istituto non riesce a comunicare con un aborigeno in materia di atomi, ma sulle questioni religiose invece si intendono a meraviglia».

Ziffel: «Vuole forse dire che in ogni PlancK si nasconde un boscimano?»

Kalle: «Lasciamo stare i boscimani! L'idea che siano tanto arretrati e irrazionali è anch'essa una credenza, propagandata dai giornali del colonialismo imperialista. Non mi meraviglierei se Planck credesse a cose in cui nessun boscimano si sognerebbe mai di credere, ad esempio in campo sociale».

Ziffel: «È un ambito di cui non capisco niente».

Kalle:«Quanto meno ci capisce, tanto più ci potrà credere».

(traduzione di Marco Federici Solari)

mercoledì 1 giugno 2022

Nella Raspoutitsa !!

Addio alla vita, addio all'amore...
- Ucraina, guerra e auto-organizzazione -
di Tristan Leoni, 8 maggio 2022

«Quanto sangue ha bevuto questa terra
Sangue di operaio e sangue di contadino
Per i banditi che causano guerre
Non muoiono mai, solo gli innocenti vengono uccisi»
[*1].

Clausewitz, per riferirsi all'incertezza del campo di battaglia, evocava la «nebbia della guerra», e il termine potrebbe benissimo essere applicato, altrettanto facilmente, alla valanga mediatica che stiamo vivendo dal 24 febbraio 2022 a proposito dell'Ucraina. Le due fazioni sono impegnate in un quella che è una guerra di immagine e di propaganda piuttosto classica, rafforzata in maniera inedita attraverso i social network. Da questo punto di vista, gli ucraini sono avvantaggiati; per loro, sono disponibili molte più immagini (scattate da civili o da giornalisti), mentre sono assai meno quelle da parte russa (niente smartphone per i soldati, nessun civile, ben pochi giornalisti). Da questo, ad esempio, all'inizio, ne è derivata una sovrabbondanza di veicoli russi distrutti. È questo ciò che vedono gli occidentali (noi), ma si tratta solo di una parte della realtà. Tanto più che gli algoritmi accentuano la banalità dei nostri rispettivi pregiudizi cognitivi, e ci spingono a privilegiare quelle informazioni che confermano le nostre opinioni e i nostri presupposti: è il cosiddetto «problema di Diagora», solo che in tempo di guerra una simile gara quotidiana diventa eccessiva, soffocante. Non è per niente facile mantenere la distanza necessaria, e il sangue freddo per capire cosa sta succedendo e, se necessario, agire di conseguenza; lo è ancora meno quando si vive in un Paese belligerante o co-belligerante.

Il buono, il brutto e il cattivo

« Non si preoccupi, quelli qui non ci arrivano » [*2].

La Russia ha invaso l'Ucraina, non il contrario. Tuttavia, per quanto importante, la differenza tra "aggressore" e "aggredito" non è un criterio sufficiente per comprendere la situazione. Il democratico e l'autoritario, il buono e il cattivo, ecc. Il 28 luglio 1914, dopo l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, il potente Impero austro-ungarico (50 milioni di abitanti) dichiarò guerra alla piccola Serbia (dieci volte meno popolata). Nei giorni successivi, attraverso il gioco delle alleanze, tutte le potenze europee entrarono in guerra e uno degli argomenti di Francia e Inghilterra fu la difesa dei deboli contro i forti. «Nessuno può credere in buona fede che siamo noi gli aggressori», dichiarò René Viviani, Presidente del Consiglio di una democraticissima Repubblica francese alla quale la Germania, necessariamente dispotica e crudele, aveva appena dichiarato guerra. Mentre la stragrande maggioranza dei socialdemocratici di tutti i Paesi (e persino alcuni anarchici, tra cui Pëtr Kropotkin) aderì a questa narrazione e alle rispettive politiche dell'Unione Sacra, il Partito Socialista Serbo rifiutò la difesa nazionale e non votò per i crediti di guerra. Nel 1914, furono pochi i rivoluzionari che non cedettero alla propaganda bellica [*3]. Ma le cause della Prima Guerra Mondiale non si spiegano più in questo modo. L'iniziatore o l'evento scatenante di un conflitto è solo un elemento di una situazione complessiva molto più complessa [*4]. Ogni Paese può legittimamente affermare che si sta difendendo, l'invaso contro l'invasore, naturalmente, ma anche l'invasore che interviene per impedire a una terza parte di occupare, dominare o manipolare l'invaso. L'URSS lo ha fatto in Ungheria nel 1956, la Gran Bretagna e la Francia in Egitto nello stesso anno, gli USA in Vietnam, l'URSS in Afghanistan, ecc. I deboli esistono solo perché i forti li proteggono da altri forti, e ognuno si difende per evitare che il vicino lo attacchi o che serva da base per farlo. Come tante altre prima di essa, la guerra che si sta combattendo oggi sul territorio ucraino, e a spese della sua popolazione, si inserisce nel quadro più ampio del confronto tra grandi blocchi; e la caratterizzazione dei regimi coinvolti (democratici o meno) è (come sempre) aneddotica. In Occidente, alcuni benpensanti deplorano il fatto che, invece di sciogliere la NATO quando il Patto di Varsavia si è sciolto dopo la dissoluzione dell'URSS nel 1991, gli Stati Uniti abbiano gradualmente ampliato questa alleanza militare per includere la maggior parte degli ex satelliti dell'URSS. Come reagirebbero gli Stati Uniti se il Messico o il Canada si unissero a un'alleanza militare diretta contro di loro? [*5] Nel 2022, l'invasione russa ha il vantaggio di giustificare retrospettivamente e continuare l'allargamento della NATO (Svezia, Finlandia). No, non è questo il problema. Era ovvio che gli Stati Uniti (e i loro alleati) avrebbero colto l'opportunità della scomparsa dell'URSS per promuovere i loro interessi e limitare la potenza russa. Proprio come ha fatto l'URSS in passato ogni volta che ha potuto. L'Ucraina è un territorio troppo strategico (soprattutto la parte orientale e meridionale del Paese) perché una delle due parti possa cederlo facilmente (massa di popolazione e quindi di proletari, industrie, irrigazione, numerose risorse esistenti o potenziali anche sotto il Mar Nero, accesso e controllo di questo mare, ecc.)
« Fermate la guerra. Non credete alla propaganda. Qui vi stanno mentendo »... Ci è voluto coraggio perché Marina Ovsiannikova, il 14 marzo 2022, osasse denunciare pubblicamente la guerra condotta dal suo stesso Paese. Non è certo che il telegiornale di un importante canale francese possa essere interrotto alle 20.00 da un'inopportuna messa in discussione della propaganda bellica occidentale. Ci sarebbero più pacifisti a Mosca che a Parigi? Rudyard Kipling forse non avrà mai scritto che «la prima vittima della guerra è la verità», ma comunque... Certo, c'era da aspettarselo, ma è sorprendente vedere come i media di ogni Paese esprimano rapidamente un consenso corrispondente alla politica dei governanti [*6]. L'accettazione più o meno generale della gestione della crisi della Covid-19 da parte della popolazione non ha impedito atti di protesta, che sono in minoranza e tuttavia si ripetono con una certa eco. La guerra non crea solo sottomissione, ma anche adesione, almeno finché il conflitto non si trascina fino al punto in cui i suoi obiettivi appaiono sempre meno credibili. Sapendo che nel 2022 decine di milioni di uomini non saranno più chiamati a prestare servizio nell'esercito: centinaia di milioni di spettatori saranno mobilitati davanti ai loro schermi. A Parigi o a Marsiglia, tutti sono contrari alla guerra... ma vogliono che l'Ucraina vinca, vogliono che vengano fornite altre armi, e vogliono che vengano inviati soldati francesi. Le manifestazioni «pacifiste» con i colori giallo e blu sono molto pacate e scarne se le confrontiamo con le infuocate manifestazioni contro la guerra del 2003, dove - è bene ricordarlo - nessuno auspicava la vittoria dell'Iraq, nessuno proponeva di rifornire di armi Baghdad affinché potesse abbattere gli aerei americani. È vero che l'obiettivo ufficiale di quella operazione molto speciale era de-islamizzare e smilitarizzare il Paese, di combattere il terrorismo, di liberare un popolo e di portargli la democrazia. C'è un po' di confusione.

Ma allora perché?

« -È una guerra antifascista...  - È una guerra. Con le sue origini profonde, le sue ragioni storiche, le sue spiegazioni. Il nazionalismo, trattato di Versailles, le rivalità tra potenze espansionistiche. »  [*7]

Ma allora perché la Russia si è imbarcata in questa operazione le cui conseguenze saranno catastrofiche, anche per essa stessa? Quale è stato il suo interesse?
Innanzitutto evitiamo le spiegazioni psicologizzanti, o patologizzanti, che oggi vanno molto di moda quando si parla di un avversario; qui non è in discussione la senilità o la confusione mentale di un leader politico; evitiamo anche la personalizzazione, perché nessuno comanda mai da solo. In realtà, la storia ci insegna che scatenare una guerra - questa «follia» -  in un determinato momento, è, per uno Stato, l'opzione più ragionevole; ma la logica e gli interessi delle classi dirigenti sono assai differenti da quelli delle persone oneste e dei proletari. Notiamo, per prima cosa, che anche se la minaccia esisteva, l'avvio di questa operazione, e soprattutto la sua portata, hanno sorpreso quasi tutti gli osservatori e gli specialisti. L'invasione dell'Ucraina era stata prevista e pianificata (gli stati maggiori fanno sempre piani per le situazioni più diverse), ed è stata preceduta da gigantesche manovre in Bielorussia. Ma non è certo, però, che l'operazione sia stata realmente decisa, e ancora meno era stata decisa la data del suo avvio; potrebbe essere stata imposta ai leader russi a partire da una complessa ma fatale spirale di confronto tra la Nato e la Russia (soprattutto dopo il 2014), nella quale si inseriscono elementi come:

-  la rivalità tra Stati Uniti e Russia nell'approvvigionamento energetico dell'Europa;
-  l'incremento, negli ultimi anni, del dispiegamento di truppe Nato nella regione (paesi baltici, Polonia e Romania);
-  l'aumento delle forniture di armi occidentali all'Ucraina, nel 2021, e quindi il rafforzamento dell'esercito ucraino, il quale in futuro (ma quando?) potrebbe essere abbastanza forte da riconquistare i territori secessionisti del Donbass o, quantomeno, da opporsi in maniera efficace a un nuovo intervento russo;
-  l'evoluzione e il fallimento dei negoziati sullo statuto dell'Ucraina (neutralità? smilitarizzazione? adesione alla NATO?) e del Donbass (autonomia? indipendenza?), e questo anche nelle settimane precedenti l'offensiva;
-  le dichiarazioni di Joe Biden che - mentre gli Stati Uniti denunciano l'imminenza dell'invasione russa - annuncia di non avere «alcuna intenzione di dispiegare forze americane o della Nato in Ucraina» (25 gennaio 2022): cosa che, in termini diplomatici, può essere interpretata come un «buon accordo»
[*8];
- i Paesi europei che appaiono deboli, divisi e troppo dipendenti dalla Russia per imporre nuove sanzioni economiche;
- alcuni elementi che oggi ci sfuggono: alcuni esperti parlano di una possibile inversione di rotta da parte della Russia avvenuta intorno al 21-23 febbraio;
- una finestra di opportunità che sembra chiudersi: «Ora o mai più».

Immaginata come una possibilità, e brandita come una minaccia, nel poker diplomatico, l'invasione dell'Ucraina è stata probabilmente decisa e poi rimandata; forse più volte. La decisione finale è stata probabilmente presa solo all'ultimo momento, dopo aver quindi perso diverse settimane, con condizioni meteorologiche molto sfavorevoli, in un periodo di «Raspoutitsa". [N.d.T. La rasputiza è il termine che indica sia il rammollimento del suolo causato dal disgelo primaverile o dalle piogge autunnali, rendendo i sentieri e le strade sterrate impraticabili a causa del fango, sia il periodo stesso in cui avviene (da:Wikipedia)]

Lo svolgimento delle operazioni

« Nessun piano può sopravvivere al primo contatto con il nemico » [*9 ].

Ciò che per prima cosa sorprende gli osservatori «sgamati», è il fatto che l'offensiva di terra russa è stata preceduta solo da poche ore di bombardamenti aerei, e lanci missilistici contro caserme, basi aeree, sistemi di difesa aerea e radar ucraini [*10]. In secondo luogo, l'audacia del piano iniziale (degno di un pericoloso lancio di dadi in un wargame). L'obiettivo era probabilmente quello di far capitolare l'Ucraina in pochi giorni, per mezzo di un'operazione su larga scala. attuata con elicotteri, contro un aeroporto alla periferia di Kiev, aprendo la strada a una rapida penetrazione di mezzi corazzati, che avrebbe causato la presa della capitale e la caduta del governo. Sebbene i paracadutisti abbiano preso l'aeroporto, l'operazione è fallita perché sono stati sopraffatti da una controffensiva. Allo stesso tempo, in diversi punti, colonne di mezzi corazzati hanno attraversato il confine e sono penetrate nel Paese, ma senza precauzioni o protezioni, senza supporto aereo tattico e soprattutto, altra sorpresa, senza assistenza, o supporto di artiglieria; nel momento in cui, invece, secondo la dottrina sovietica, «l'esercito russo è innanzitutto una grande artiglieria che si muove, insieme a una forza di attacco aerea che sgancia bombe di precisione» (Michel Goya). Non vengono distrutti nemmeno i siti strategici, la distribuzione dell'elettricità o le comunicazioni (in Serbia, nel 1999, la Nato prese di mira le centrali elettriche e i ponti). A prescindere da ciò che dicono i media occidentali, nei primi quindici giorni di offensiva la Russia porta avanti una guerra relativamente «contenuta». Ciò può essere spiegato a partire dalla pressione dei media, ma anche con il desiderio che ha la Russia di preservare le infrastrutture e le industrie pesanti delle aree che vuole annettere, e soprattutto a partire dalla prospettiva di risparmiare una popolazione russofona, da parte della quale credeva che sarebbe stata ben accolta e che, ufficialmente, sosteneva di voler liberare dal giogo nazista. Ma questa strategia si è risolta in un fallimento. Le analisi dei servizi segreti russi erano completamente sbagliate: la popolazione si è rivelata ostile ai soldati, e talvolta ha improvvisato azioni di resistenza armata (lancio di bombe molotov). Inoltre, l'invasione russa sta affrontando un'opposizione molto più ostinata del previsto da parte dell'esercito ucraino. Ciò è dovuto principalmente al fatto che l'esercito russo non beneficia di alcun effetto sorpresa; se le settimane di manovre in Bielorussia hanno ovviamente destato preoccupazione, gli ucraini hanno ricevuto dall'intelligence americana i dettagli precisi dell'operazione imminente e si sono preparati ad essa, in particolare disperdendo truppe ed equipaggiamenti in modo da limitare gli effetti dei primi bombardamenti russi. Le colonne russe di veicoli blindati, o di camion di rifornimento che avanzano come su un terreno conquistato, si trovano di fronte a una guerriglia virulenta; sono un bersaglio privilegiato, non tanto per i civili armati quanto per piccoli gruppi di soldati pesantemente equipaggiati (in particolare i formidabili missili anticarro americani Javelin o svedesi NLAW [*11]), o per i droni da combattimento (Bayraktar turchi). I progressi sembrano essere ostacolati anche dalla mancanza di carburante, cibo e persino munizioni, ovvero da una logistica carente e/o dall'impreparazione. Da qui il morale relativamente basso dei combattenti, soprattutto dopo settimane di estenuanti manovre. Dopo quindici giorni di combattimenti, con l'estendersi del disgelo e del fango e l'irrigidimento delle posizioni, gli attaccanti hanno cominciato a fare un uso assai meno moderato dell'artiglieria, soprattutto contro le periferie delle grandi città assediate, dove era posizionata la fanteria ucraina. L'aviazione russa che era rimasta poco utilizzata, sembra avere poche munizioni di precisione, per cui gli attacchi devono essere effettuati a vista, e quindi in giornate limpide, ma il tempo è brutto e la visibilità molto bassa, per cui gli aerei entrano nel raggio d'azione dei Manpad ucraini (missili antiaerei portatili), che infliggono loro pesanti danni. Inoltre, l'esercito ucraino ha beneficiato molto rapidamente di un sostegno significativo da parte della NATO, sia in termini di equipaggiamento (consegne massicce sempre più in aumento di armi ed equipaggiamenti), così come di addestramento (in loco o nei Paesi occidentali), di supervisione (in loco [*12] ) o di intelligence [*13]. Ben presto si è cominciato a parlare di un fallimento, o di uno stallo dell'esercito russo [*14] , senza tuttavia conoscere quali fossero gli obiettivi iniziali del Cremlino; inoltre, esiste una differenza tra obiettivi politici e obiettivi militari, i quali devono essere più ampi dei primi per consentire la presa di luoghi che serviranno come merce di scambio in futuri negoziati. Invadere l'intera Ucraina non è probabilmente il progetto del Cremlino: troppo costoso, troppo complesso (soprattutto per occupare il territorio), mentre sarebbe più pratico mantenere un'Ucraina ridotta alla sua parte occidentale (se non altro per accogliervi i milioni di rifugiati e le popolazioni più ostili alla Russia). La volontà di annettere nuove province più o meno travestita (sponda orientale del Dnieper, parte o tutta la costa del Mar Nero), è più probabile. In ogni caso, a meno che non venga umiliata (agli occhi del mondo e della propria popolazione), la Russia non può interrompere le sue operazioni, non prima di aver conquistato un minimo di posizioni strategiche. «Putin si trova nell'esatta posizione di un giocatore d'azzardo. Ha fatto una scommessa, l'ha persa in partenza. Fino a che punto continuerà a scommettere per non rimanere senza un soldo in tasca? È proprio questo il punto. E l'Occidente deve capire che non può andarsene con le tasche vuote, perché se ha la sensazione di potersene andare con le tasche vuote continuerà a scommettere. Questo è il miraggio della vittoria che attanaglia tutti i leader che si impegnano in un'operazione militare» (Generale Vincent Desportes) [*15]. Alla fine di marzo, allorché lo stallo era confermato e si doveva evitare un amaro fallimento, le truppe russe si sono ritirate dai territori conquistati intorno a Kiev e nel nord del Paese, e si sono ridispiegate a est. D'ora in poi, l'obiettivo del Cremlino sarà quello di completare la conquista del Donbass e di assicurare la continuità territoriale tra questo territorio e la Crimea, e persino con la Transnistria. A tal fine, le unità russe sono tornate alla loro dottrina classica e hanno dato ampio spazio alla preparazione dell'artiglieria e al bombardamento aereo. Alla fine di aprile, lentamente ma metodicamente, queste truppe hanno avanzato; il confronto, sia meccanico che umano, è stato feroce, soprattutto perché le forze erano ora relativamente equilibrate. Mosca, che in questa guerra aveva mobilitato solo un numero relativamente piccolo di uomini, circa 200.000 (rispetto ai 200.000-300.000 di Kiev), aveva beneficiato di una certa superiorità aerea (limitata però dai missili antiaerei dell'avversario) e di artiglieria (limitata dalle potenti fortificazioni dei difensori). Se non riuscirà a spezzare la resistenza nel Donbass, per non perdere la faccia, la Russia dovrà trovare un'altra soluzione... tanto più che alcuni parlano già della possibilità di un ribaltamento della situazione e di offensive ucraine contro la Transnistria o la Crimea. Dal momento che pochi Paesi sembrano lavorare per la descalation - al contrario - il rischio di un'escalation è ora molto reale.

L'auto-organizzazione della popolazione

«Non c'è più motivo di combattere, non abbiamo più un esercito, né tu né io, solo stracci di diversi colori che ora si chiamano uniformi. Cosa sembriamo ora vestiti di questi stracci? Non ci sono più confini, non ci sono più governi, non ci sono più cause nobili, pertanto non c'è motivo di battersi...»[*16].

Come abbiamo visto, la Russia si aspettava una buona accoglienza nelle regioni russofone dell'est e del sud del Paese, ma è accaduto il contrario. Nei primi giorni è stata posta molta enfasi, sia da parte dei media borghesi che nelle reti militanti, sulla mobilitazione della popolazione ucraina; questo ci sembra che ricada in due campi diversi. Come prima cosa, c'è la solidarietà materiale di base a fronte di un disastro: aiutare e accogliere dei rifugiati che fuggono dalle zone di combattimento della guerra (sono i vostri vicini o vengono dalla città vicina), soccorrere i feriti o le persone sepolte sotto le macerie di una casa, ecc. Ci organizziamo al meglio, in coordinamento con i servizi di emergenza, il municipio, una ONG o semplicemente tra vicini. Questi gesti sono stati talvolta interpretati come segnali che annunciano un'auto-organizzazione dei proletari, necessariamente emancipatrice, nel caso essa si fosse diffusa e rafforzata. Messa così, ci sembra particolarmente esagerata, perché questi gesti sono il risultato di riflessi minimi di aiuto reciproco, i quali sono abbastanza comuni tra gli esseri umani. Poi, c'è una mobilitazione che si potrebbe definire marziale, con l'obiettivo di contrastare l'offensiva russa. Anche in questo caso, la gente si organizza come meglio può, nel momento in cui i servizi statali sono completamente sovraccarichi: artisti che mettono su un laboratorio per la fabbricazione di molotov, ristoratori che allestiscono una mensa per fornire razioni ai soldati, aziende che si convertono alla fabbricazione di ostacoli anticarro, donne che si riuniscono per cucire reti mimetiche, pensionati che riempiono sacchi di sabbia, abitanti che costruiscono barricate, ecc. Ciò che colpisce particolarmente chi non è abituato alla guerra (noi), sono i civili che fanno la fila per indossare l'uniforme ed entrare nella Difesa Territoriale (TD), il ramo dell'esercito ucraino composto da riservisti e volontari. Decine di migliaia di fucili d'assalto sono stati distribuiti alla popolazione, dei detenuti sono stati rilasciati in cambio della loro partecipazione ai combattimenti, ecc. Ben presto, sono state le armi e i materiali che hanno cominciato a scarseggiare, per i volontari; all'inizio, chi si arruolava doveva equipaggiarsi a proprie spese, nei magazzini di articoli militari (tute, elmetti, giubbotti antiproiettile, ecc.). A coloro che seguivano, soprattutto a coloro che erano iscritti nelle liste d'attesa, a meno che non avessero esperienza militare, il governo chiedeva soprattutto di continuare a lavorare, un'altra forma essenziale di resistenza. Il valore tattico delle unità così composte è, comprensibilmente, piuttosto ridotto, ma il ruolo della TD è soprattutto quello di sollevare i soldati meglio addestrati dai compiti più ingrati e impegnativi: sorvegliare le retrovie (magazzini, ponti, ecc.), pattugliare le città, imporre il coprifuoco e combattere i saccheggi. La porta a tutti gli «abusi», è aperta: si moltiplicano i posti di blocco e i controlli d'identità (sotto l'autorità del vicino di casa, del droghiere o del collega di lavoro), i cittadini più attenti osservano e denunciano, i civili sospetti (spie, sabotatori, filorussi?) vengono braccati e trasferiti chissà dove per poi essere interrogati, ecc. Dal momento che i tribunali hanno smesso di funzionare, sono i TD che a volte applicavano una giustizia rapida, in particolare contro i ladri e i saccheggiatori (quelli che non vengono fucilati sul posto rimangono legati a un palo, in mezzo alla strada, con i pantaloni calati sulle caviglie, al freddo pungente).
Senza voler fare l'apologia di un beato pacifismo, appaiono più interessanti le manifestazioni da parte dei civili, che talvolta abbiamo osservato e che miravano a bloccare le corsie del traffico, a fermare le colonne di carri armati con azioni non violente (cose già viste in Iran nel 1979, a Pechino nel 1989, in Slovenia nel 1990). Ma anche qui, ciò che viene espresso non è un rifiuto viscerale della guerra, un pacifismo un po' ingenuo, ma piuttosto un profondo nazionalismo; non vengono sventolate bandiere della pace, ma l'emblema ucraino. Con questa crisi, stiamo indubbiamente assistendo, «in diretta», al completamento della costruzione della nazione ucraina, frutto di un processo iniziato con l'indipendenza: una popolazione che, a prescindere dalla lingua, è improvvisamente consapevole delle proprie specificità storiche, culturali e persino religiose (la Chiesa ortodossa, ancora dipendente da Mosca, se ne sta separando) e che, al di là delle classi, è orgogliosa di sé stessa... anche se, alla luce della storia, queste specificità possono sembrare piuttosto artificiose, e sebbene vengano create ex novo per l'occasione (come avvenne dopo la disgregazione della Jugoslavia negli anni '90). Qualcuno troverà tutto questo commovente. In ogni caso, non sembra preoccupare molti umanisti e socialdemocratici occidentali, di solito più reticenti nei confronti del nazionalismo; illustra tutto questo, in maniera superba, il regista Mathieu Kassovitz, che spiega a un giornalista che gli ucraini, che lui conosce bene, sono «ultranazionalisti nel senso buono del termine, vale a dire, sono orgogliosi del loro Paese e vogliono proteggerlo assolutamente». La stessa cosa sembra valere anche per alcuni attivisti dell'estrema sinistra francese (per i quali, in generale, sventolare una bandiera tricolore in una manifestazione è segno di fascismo). Ma esistono da tempo perfino degli anarcosindacalisti ucraini che promuovono un «nazionalismo liberatorio e creativo»! [*17] Un sentimento nazionalista che, piuttosto logicamente, va di pari passo con il sostegno della popolazione al proprio esercito, un sostegno vivace e di lunga data, che si unisce a un rapporto con la virilità un po' diverso da quello che conosciamo in Europa occidentale, che spiega «naturalmente» questa volontà di prendere le armi per difendere il proprio paese, anche se «il formarsi, il mantenimento e l'armamento dell'Ucraina, così come le richieste del FMI in termini di crediti concessi allo Stato, sono allo stesso tempo anche le cause strutturali dello smantellamento degli ospedali, dei mancati investimenti nell'istruzione, delle misere pensioni per i pensionati e dell'assenza di qualsiasi aumento degli stipendi nel settore pubblico» [*18]. Poiché difendere il proprio Paese significa innanzitutto - ricordiamolo - difendere gli interessi della propria borghesia contro quelli della borghesia contrapposta. L'esaltazione che si lega alla terra, al sangue e alla democrazia, ha comunque qualche limite. Fin dall'inizio dell'invasione, quando venne deciso di decretare la coscrizione, rendendo così possibile l'arruolamento di tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni, la cosa si accompagnò al divieto di lasciare il territorio... e ciò in quanto non tutti gli ucraini sembravano voler entrare nell'esercito o nella TD. Ci sono infatti insubordinati e disertori; alcuni cercano di nascondersi, di ottenere documenti falsi, di fuggire all'estero; non per niente esistono i controlli alla frontiera per l'uscita dei rifugiati. Altri, con cautela, si uniscono alla TD locale, nelle retrovie, per evitare di essere incorporati a forza in un'unità che poi andrebbe in battaglia. Purtroppo per loro, le forniture della Nato (ad esempio, decine di migliaia di elmetti e gilet antiproiettile) hanno permesso di equipaggiare un numero crescente di nuove reclute (e di membri della TD), insieme al loro invio sul temuto fronte orientale... da lì, meccanicamente, si è visto un numero crescente di soldati refrattari, e forse anche le prime manifestazioni contro la coscrizione obbligatoria (a Khoust, nell'ovest del Paese). Ma anche se l'Ucraina ha visto qualche settimana di esitazione, il governo ha preso rapidamente in mano la situazione, in particolare - bisogna ammetterlo - grazie al sostegno dei suoi cittadini. Questi ultimi non si sono auto-organizzati contro lo Stato, o a causa della sua assenza, ma lo hanno fatto al fine di evitare che crollasse sotto i colpi dei russi. Si tratta di una reazione abbastanza «normale» in un Paese con un forte senso di unità nazionale, che viene formattato a questo scopo da una propaganda ad hoc. Tutto ciò conferma, ancora una volta, che l'auto-organizzazione non è di per sé rivoluzionaria.

Cosa fare... sotto le bombe?

«La vittoria, al suo canto, ci apre la porta; La libertà guida i nostri passi» [*19].

Noi non ci troviamo nella situazione degli ucraini, né in quella degli anarchici o dei comunisti che vivono in Ucraina; è difficile sapere cosa bisognerebbe fare in quella situazione, dare un giudizio immediato sulla loro azione, perché (qualunque siano le nostre idee) non sappiamo come reagiremmo noi al loro posto; il retro-pensiero storico spesso permette questo genere di giudizio, visto che è facile avere ragione quando si conosce il seguito, e la fine degli eventi [*20]. Ma tuttavia, i nostri compagni ucraini, solo grazie alla loro condizione di essere «i primi a essere coinvolti» dovrebbero essere esenti da critiche? Quanto meno, se la loro attività è affar loro, il discorso che portano avanti lì, che ci rivolgono e che viene trasmesso in Francia merita un'attenzione completamente diversa. Le reazioni dei militanti «radicali» ucraini appaiono molto differenziate, a volte perfino contraddittorie. Alcuni compagni antimilitaristi e pacifisti mantengono posizioni rivoluzionarie disfattiste, ma la propaganda in tal senso appare piuttosto rischiosa, in Ucraina come in Russia. Altri sono impegnati nell'assistenza ai rifugiati o ai feriti [*21]. Tuttavia, quel che ha sorpreso, in Francia, è stato il venire a sapere, attraverso alcuni testi e testimonianze, che gli anarchici ucraini si erano arruolati nell'esercito o nella TD. Sembra che alcuni gruppi abbiano in tal modo approfittato della distribuzione di armi al fine di formare unità di combattimento; un opuscolo menziona la creazione di «due squadre»; una ventina di militanti in tuta da lavoro e kalashnikov posano per una foto intorno a una bandiera nera con una A cerchiata, e la didascalia della foto che afferma cautamente che questi gruppi «avrebbero un certo grado di autonomia» all'interno della TD - cosa che, si può capire, significa un certo grado di subordinazione [*22] . Infatti, anche dopo un breve periodo di caos, è chiaro che l'esercito abbia cercato di controllare i gruppi di civili armati, soprattutto se questi proclamavano apertamente un'ideologia politica non compatibile con l'autorità statale. Rimane il fatto che le unità militari anarchiche, o antifa, probabilmente non comprendono più di qualche decina di combattenti locali (magari affiancati da qualche decina di europei), e questo in un'area in cui si combattono due giganteschi eserciti di diverse centinaia di migliaia di uomini [*23]... Va ricordato che il famoso reggimento Azov - una delle branche militari delle molteplici organizzazioni dell'estrema destra ucraina - è un'unità permanente della TD che comprende diverse migliaia di combattenti e dispone di veicoli blindati e carri armati. Le prime immagini di un'imboscata riuscita a un convoglio russo, hanno indotto alcuni a credere che - se lo Stato ucraino dovesse crollare - l'esercito russo dovrebbe affrontare una vasta guerriglia popolare composta da gruppi autonomi che agiscono a modo loro; gruppi che sono certamente motivati soprattutto da sentimenti patriottici, ma in mezzo ai quali i gruppi anarchici potrebbero forse giocare un ruolo influente... Questo porta a dimenticare che, per essere efficace, una resistenza di questo tipo deve essere particolarmente strutturata, disciplinata, finanziata, e ricevere il sostegno di altri Stati. Ma dopo alcuni giorni di spettacolari azioni di tecno-guerriglia condotte da piccole unità di soldati professionisti (addestrati a questo tipo di azione dagli americani), i combattimenti hanno ben presto assunto una fisionomia più classica, vale a dire, quella di uno scontro tra grandi unità pesantemente equipaggiate, in cui sono diventati centrali il coordinamento, il movimento, le fortificazioni, i duelli di artiglieria e il flusso di munizioni e carburante. In questo vortice, che ne è stato delle «squadre» anarchiche? È improbabile che la loro «autonomia» sia aumentata. Allora perché farsi coinvolgere? In diversi loro testi, gli anarchici e i radicali ucraini asseriscono di voler «pesare» sugli eventi, di essere pronti «in caso di necessità» e di non voler rimanere tagliati fuori dal resto della società [*24]; è alla difesa di questa «società», che spiegano di voler partecipare, ma ovviamente non alla difesa dello Stato e, inoltre, se alcuni dichiarano di aver sospeso la lotta antistatale, ciò è stato per poi riprenderla con più forza al ritorno della pace. Prima vincere la guerra, poi lavorare per la rivoluzione... il ritornello è noto. Se, evidentemente non traggono alcun insegnamento né dalla guerra civile russa né dalla guerra di Spagna, ci sono alcuni che si giustificano facendo riferimento alla memoria di queste guerre che hanno preceduto le rivoluzioni russe del 1905 e del 1917 - si può pensare perfino al 1871 - oppure al presunto ruolo che il conflitto afghano ha avuto nel crollo dell'URSS. Tuttavia, se il corso delle guerre, e soprattutto le loro conseguenze, possono innescare e scatenare una rivoluzione, per far sì che ciò sia possibile, la situazione deve essere già matura; non c'è nulla di meccanico. E, soprattutto, non si riesce a capire come si possa prendere parte attiva a un simile conflitto, unendosi a uno degli eserciti in questione, e che cosa cambierebbe facendolo [*25]. Storicamente, la stragrande maggioranza dei proletari, in occasione di ogni conflitto bellico, si è sempre schierata con il proprio capitale nazionale e con il fronte imperialista di cui faceva parte (nell'era dell'imperialismo, ogni capitale nazionale è potenzialmente imperialista, allo stesso modo in cui ogni guerra è per definizione imperialista). È stato quando il conflitto si è prolungato - al di là delle aspettative degli stessi governi che lo avevano promosso - fino a far sentire pesantemente i suoi effetti sulle condizioni di vita e di lavoro, ed è stato a quel punto che i proletari si sono opposti più o meno vigorosamente [*26]. Bisogna anche ricordare che se la storia dell'umanità è costellata di guerre, nella quasi totalità dei casi le loro conseguenze sui proletari sono catastrofiche. Sotto i colpi di un malcontento popolare, o di una rivolta proletaria, la Russia, seguendo il proprio esercito, potrebbe crollare? Il basso morale delle truppe d'invasione ha fatto inizialmente credere che sul campo, nell'esercito russo stesse soffiando un vento di ammutinamento, ma non era così. Il ritiro delle forze intorno a Kiev è avvenuto senza intoppi e l'offensiva lanciata ad aprile nel Donbass dimostra che gli errori delle prime settimane sono stati corretti. Sebbene in diverse città russe si siano svolte manifestazioni pacifiche, gran parte dell'opinione pubblica (compresi alcuni partiti di opposizione) sostiene l'attuale invasione. Si sa che, in genere, una guerra esterna costituisce un buon modo per saldare i cittadini attorno a un governo, in modo da far loro dimenticare i mali quotidiani sotto una pioggia di propaganda (si veda ad esempio la guerra contro la Libia nel 2011). In questo contesto, se le sanzioni economiche impoveriscono le popolazioni, spesso hanno l'effetto di rafforzare il sentimento nazionale e quindi il regime in carica (Cuba, Iraq, ecc.). Tuttavia, se il governo russo venisse indebolito dal prolungamento della guerra e dovesse emergere una rivolta popolare, e se la repressione fosse inefficace, la classe dirigente cercherebbe allora di dirottare la protesta verso un'alternativa politica: estrema (dalla parte dei falchi del Cremlino che trovano l'invasione dell'Ucraina priva di fermezza), o più democratica (senza tuttavia saltare in groppa al cavallo occidentale). La probabilità di una rivolta in Ucraina sembra ancora più bassa. Abbiamo detto cosa pensiamo dell'auto-organizzazione dei cittadini sulla base del sentimento nazionale; lo Stato ne è stato rafforzato, così come il governo ne esce per il momento legittimato in quella che è la sua gestione della crisi. Un grande slancio popolare di sentimento nazionale è, per sua natura, interclassista e controrivoluzionario. È difficile prevedere se tutto questo rafforzerà il processo di democratizzazione. Finora abbiamo assistito a una (vera e propria) militarizzazione della società, alla censura dei media, alla messa al bando delle forze di opposizione di sinistra, alla caccia ai ribelli, eccetera; sono soprattutto le forze nazionaliste e reazionarie ad avere il vento in poppa, il che in Ucraina non è una novità. Se Anatole France fosse vivo, probabilmente lo riassumerebbe così: «si crede di morire per la democrazia, si muore per degli industriali». Ci si potrebbe chiedere perché si stiano dedicando così tante righe a un simile tema quando, alla fine, il ruolo degli anarchici e dei radicali ucraini in questo conflitto è così esiguo. Innanzitutto, l'interesse di un argomento non si misura dal numero di persone coinvolte. In secondo luogo, molti media, anche borghesi, e naturalmente i social network, parlano di questo impegno; i militanti che si trovano sul posto, comunicano abbondantemente, e la loro prosa trova una certa eco in Francia; non sarebbe perciò sorprendente se, in un prossimo futuro, la figura del combattente anarchico in Ucraina dovesse diventare, dopo quella del soldato curdo del Rojava, il riferimento in termini di radicalismo politico. A nostro avviso - si sarà capito - ciò sarebbe oltremodo deplorevole.

Cosa fare... in Francia?

«Innanzitutto, non lasciarsi trascinare dall'aspetto immediato degli eventi, dalla propaganda, dalla facilità delle semplificazioni. Ci sono periodi in cui non abbiamo alcun controllo sul corso delle cose. È meglio saperlo, e non mascherare la propria impotenza con atteggiamenti di circostanza o, peggio, imbarcarsi in qualcosa che non ci appartiene» [*27].

Il problema è che, concretamente, non si possono fare grandi cose. La più classica, e più in linea con i vecchi principi del disfattismo rivoluzionario, se quantomeno pensiamo che i proletari non hanno patria, sarebbe lottare, qui, contro la nostra propria borghesia. Sarebbe logico, visto che la Francia è quasi cobelligerante. Sebbene questa posizione internazionalista rivoluzionaria viene sostenuta da diversi gruppi o raggruppamenti anarchici, di ultrasinistra, di sinistra comunista o perfino trotskisti, non è detto però che essa sia maggioritaria tra gli attivisti e i militanti del movimento. Sappiamo qual è lo stato attuale della lotta di classe in Francia; e da questo, ancora una volta, come sta avvenendo molto spesso, ne deriva un disperato senso di impotenza. Sembra che quanto più i tempi sono cupi, tanto più forte diventa l'ingiunzione ad agire: come se si trattasse di essere efficaci, di «impattare» la realtà, nello stesso momento in cui il movimento rivoluzionario forse non ha mai contato così poco... Da qui l'attrazione per i terreni di lotta lontani e per la necessità di scegliere una parte, anche a costo di accettare compromessi e, salvo cattiva coscienza, l'obbligo morale di aiutare chi sta facendo davvero qualcosa, qualunque cosa sia. Un commento acido, trovato su Twitter, circa l'appello dei compagni a partecipare alle ultime elezioni presidenziali (votando per un candidato di sinistra), potrebbe applicarsi altrettanto bene ad alcune prese di posizione sulla guerra in Ucraina: «queste persone pensano davvero che il loro appello [...] sia una rottura con la loro militanza abituale, mentre invece ne è solo la conseguenza». Acido...
Cosa fare, allora? È difficile - allo stesso modo in cui hanno fatto alcuni libertari a favore del Rojava - manifestare chiedendo alla NATO forniture di armi... ne arrivano già a migliaia di tonnellate, accompagnate da miliardi di dollari. È difficile, tuttavia, come stanno facendo alcuni umanitari, chiedere l'invio di soldati francesi nella regione, o addirittura l'imposizione di una no-fly zone sull'Ucraina, azioni che equivarrebbero a una dichiarazione di guerra alla Russia. Il fatto è che questa visione di un campo del Bene aggredito dal campo del Male (che è molto meno sottile di quanto lo sia nelle opere di J.R.R. Tolkien) ci riporta in primis alla necessità di avere buoni eserciti; quelli che vengono schierati per difendere la democrazia e i «nostri valori», e pertanto all'utilità della NATO [*28] , e quindi all'importanza dei bilanci della difesa consistenti, e di un complesso militare-industriale performante e innovativo, che sia all'avanguardia rispetto alle controparti cinesi e russe. Bisogna sapere cosa si vuole. L'unione sacra costituitasi intorno alla figura della democrazia, e più in generale al campo del Bene, sostituisce ovviamente quella che un tempo si poteva costituire attorno alla patria; è meglio presentare i patrioti - che possono essere differenziati dai nazionalisti - come dei combattenti per la libertà. Questa logica è presente anche negli ambienti militanti più radicali [*29]: va preso nota che esiste anche una corrente più riservata che, attraverso un antiamericanismo piuttosto primordiale, difende le posizioni di Mosca. Sostenere (finanziariamente) gli anarchici e gli antifa che combattono nelle file dell'esercito ucraino? Se alcuni fanno questa scelta organizzando feste o concerti, in genere tendono a minimizzare il carattere militare della questione e, senza dubbio un po' imbarazzati, si lanciano in incerte contorsioni lessicali: un giornale militante che, nel 2016, aveva denunciato la creazione di una guardia nazionale di riservisti in Francia, ora elogia i meriti di quella esistente in Ucraina; inoltre, si parla piuttosto di «resistenza», di «volontari in armi», o di una «struttura di milizia» che evoca la Spagna del 1936 (anche se qui sono due i campi nazionalisti che si contrappongono), si relativizza il peso dell'estrema destra, che è comunque assai presente nell'esercito di Kiev, ecc. [*30].

Traduciamo e diffondiamo testi che evocano la situazione, con un leggero disagio e molta indulgenza, perfino con un pizzico di quella condiscendenza che è stata espressa per i curdi in Siria, solo che in Ucraina non c'è nemmeno l'ombra dell'illusione di un cambiamento sociale. Ciò che ancora una volta distorce il punto di vista e l'analisi è, ovviamente, il fatto che gli uomini scelgono di imbracciare le armi e rischiare la vita, mentre noi ne discutiamo sprofondati nel divano. E il prestigio dell'uniforme, del combattente, del tizio che brandisce un fucile d'assalto - facilmente criticabile quando si tratta di estrema destra - a quanto pare esiste anche tra i sostenitori dell'emancipazione sociale (dalla Spagna al Rojava passando per il Nicaragua).
Sostenere i disertori? Per lo meno si tratta di una classica attività rivoluzionaria in tempo di guerra (organizzazione di reti per attraversare le frontiere, ottenimento di documenti falsi, rifugio di fuggitivi), ancora più applicabile nei Paesi limitrofi. In Francia si possono certamente immaginare striscioni o iniziative a sostegno dei «disertori, dei refrattari alla leva e dei fuggiaschi russi», ma non, a quanto pare, a favore dei loro omologhi ucraini, il cui numero è comunque in aumento. La situazione potrebbe evolversi, ma per il momento ci ricorda che, durante la guerra in Siria, i curdi che rifiutavano il servizio militare obbligatorio all'interno dell'YPG sono stati convenientemente dimenticati mentre molti di loro si sono rifugiati nelle principali città europee [*31]. Ripetiamo, qui non si tratta di criticare il modo in cui le persone reagiscono al bombardamento della loro città o del loro Paese, ma, eventualmente, del discorso che possono rivolgere a noi e, soprattutto, quello che viene rivolto loro. Negli ambienti militanti è ormai consolidata la propensione a vedere un «potenziale» rivoluzionario ovunque, soprattutto se la regione da cui proviene è lontana ed esotica... un punto di vista che in questo caso è particolarmente inverosimile. Ma al di là di questo riflesso, gli spettri che infestano la questione ucraina, in maniera assai ammaliante, lo fanno forse in maniera più palese che in altri «teatri operativi», e non sono altro che il militarismo, il nazionalismo e il concetto di «Union Sacrée»; tutte varianti morbose dell'interclassismo. Ideologie, dalle quali anche i militanti più esperti, e teoricamente solidi, possono essere travolti qualora le circostanze sono favorevoli, come la storia ha tristemente dimostrato. Tuttavia, si dà il caso che non stiamo venendo bombardati, che non ci sono combattimenti nelle nostre strade e che non rischiamo di restare uccisi ogni minuto. Quindi non abbiamo scuse, non abbiamo alcuna scusa per perdere la testa. Possiamo godere di un ambiente relativamente confortevole in cui riflettere con calma sugli eventi attuali. Sbaglieremmo a non approfittarne, perché questo quadro forse scomparirà più velocemente di quanto crediamo.

Il ritorno della guerra [*32]

« He said Son, don’t you understand now? » [*33]

La formula implicita è quella che sostiene si tratti del ritorno della guerra in Europa. Ma se ne era mai andata? La differenza sta nel fatto che nel 2022 colpisce il centro dell'Europa, e non la periferia, come avveniva negli anni '90 nell'ex Jugoslavia, fino all'offensiva della NATO contro la Serbia nel 1999. Oggi, chi può dubitare che dopo tutto queste guerre siano state molto redditizie, sia per l'Unione Europea (UE) che per la NATO, se non altro per aver portato all'integrazione di nuovi membri [*34]. Sarajevo ha un bell'essere più vicina a Parigi che a Kiev, ma la Serbia non ha mai sfidato la supremazia degli Stati Uniti e dell'UE sull'Europa: la Russia, oggi lo sta facendo. Contrariamente a quello che in passato è stato il destino della Bosnia, la questione ucraina è cruciale in quanto tocca il cuore dell'Europa, dove si trova uno dei maggiori centri industriali, finanziari e commerciali del mondo. È cruciale perché coinvolge alcune delle maggiori potenze mondiali, comprese quelle nucleari, perché mobilita considerevoli forze meccaniche e umane - se ci sarà un ritorno, sarà quello della guerra ad alta intensità - e perché ha già ripercussioni economiche gigantesche .
Attualmente, l'esito più probabile, e «ragionevole», sarà che la Russia riesca a breve termine a completare la conquista degli oligopoli del Donbass, che i combattimenti cessino, che inizino i negoziati e che portino a un accordo di pace, oltre che al riaggancio di queste regioni alla Federazione Russa; un aggiustamento territoriale che si sarebbe potuto ottenere attraverso i negoziati nel 2021, senza guerra, e che oggi sarebbe andato a vantaggio sia dei russi che degli ucraini. Nessuno vorrebbe una guerra prolungata che vedrebbe, per la Russia, una sorta di stallo in stile afghano. Nessuno, tranne gli Stati Uniti, ma saranno proprio essi a decidere cosa succederà. Sceglieranno di concedere alla Russia una magra vittoria, facendo sì che il conflitto continui ancora per qualche mese o di combattere fino all'ultimo soldato ucraino?
Nel frattempo, le forniture militari della NATO all'Ucraina, già cospicue anche prima dell'invasione, si accumulano per migliaia di tonnellate di acciaio e miliardi di dollari. Ma non solo.
Un processo in atto da diversi anni sta improvvisamente accelerando. Benché la Russia abbia appena mostrato le proprie debolezze, assisteremo comunque a un incremento dei budget militari relativi ai Paesi dell'UE e della NATO, i quali si stanno già affannando a piazzare ordini all'industria militare statunitense (carri armati, aerei da combattimento, ecc.). Sono questi ultimi, per il momento, i grandi vincitori della guerra. Mentre si scavava la tomba delle industrie militari del Vecchio Continente, anche l'idea di una difesa europea veniva definitivamente seppellita a favore di una NATO rinvigorita. Molti Paesi stanno ora optando apertamente per il loro consapevole vassallaggio a Washington. Una sottomissione volontaria (e molto costosa) che potrebbe essere interrotta solo se, ad esempio, emergesse una nuova potenza militare in Europa, ma questo è improbabile visto che una delle funzioni della NATO è proprio quella di prevenirla [*35]. Tuttavia, tra le sorprendenti conseguenze della guerra in Ucraina, vediamo la rimilitarizzazione della Germania, la quale ha già annunciato 100 miliardi di euro in più per il 2022 (per un bilancio della difesa che ammonta a circa 50 miliardi, mentre quello della Francia è di 40 miliardi); un investimento che, per il momento, si traduce solo in ordini di attrezzature americane. Per continuare...
Potrebbe essere di certo allettante, per alcuni governi occidentali, impegnarsi e sconfiggere la Russia in Ucraina, ma le potenze coinvolte ai margini non dovrebbero trovarsi accidentalmente immerse in un'escalation militare, e far sì che il conflitto non degeneri e si estenda e che, alla fine, non obblighi al coinvolgimento diretto della Nato, e quindi degli Stati Uniti; come nel caso di un incidente intorno a Kaliningrad e al Varco di Suwalki (ad esempio un tentativo di blocco), oppure di un'invasione degli Stati baltici da parte di una Russia disperata. Questo non significherebbe necessariamente una guerra nucleare, ma potrebbe portare a un impantanamento americano in Europa; che è altamente inopportuno dal momento che la Terza Guerra Mondiale deve essere combattuta nel Pacifico [*36]. La domanda è quindi: fino a che punto dobbiamo spingerci? Se escludiamo i morti sul campo (che la classe capitalista non ha mai problemi a provocare), il principale danno collaterale di tutta questa storia è, ovviamente, la conferma del fatto che la Russia ha rotto con l'Europa per rivolgersi verso l'Asia e, in particolare, verso la Cina. È un problema? In questo passaggio scompare la fantasiosa e irrealizzabile idea di un avvicinamento e poi di un'alleanza tra l'UE e la Russia (che avrebbe potuto favorirne la democratizzazione). Si costituiscono e si formalizzano i blocchi. Il rischio è che la guerra in Ucraina, nonostante i suoi orrori, sia solamente una schermaglia che annuncia conflitti di ben altra portata nel breve o medio termine. Nel frattempo, a pagare i danni sono sempre gli stessi, i proletari: accentuazione della crisi, aumento della concorrenza internazionale e dello sfruttamento, inflazione, aumento dei bilanci militari, che può solo significare aumento delle tasse e tagli ai servizi (sanità, istruzione), ecc. Si verificheranno rivolte locali, soprattutto in Francia, ma per il momento nulla che possa scuotere l'ordine capitalistico o spegnere le tensioni interstatali. Scommettiamo però che se nei prossimi mesi, o anni, la Francia e il suo esercito dovessero essere coinvolti molto più direttamente in una guerra ad alta intensità (come quella che sta vivendo l'Ucraina), allora il governo e i media ci spiegheranno che ciò sarà per difendere la giustizia, il diritto e la democrazia, come era stato nel 1914! E allora, per essere coerenti, cosa faremo?

- Tristan Leoni, 8 mai 2022 -

NOTE:

[*1] - Montéhus, La Butte rouge, 1923.

[*2] – Un soldato ucraino che rassicura un giornalista francese sul fuoco di artiglieria, Le Figaro, 4 marzo 2022.

[*3] - Avremo così, ad esempio, i bolscevichi e i menscevichi in Russia, Karl Liebknecht e poi Otto Rühle in Germania. Su questo tema si veda l'opuscolo Gli anarchici contro la guerra. 1914-2022.

[*4] - Nel settembre 1939, Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania, che aveva appena invaso la Polonia. Pochi mesi dopo, i due Paesi pianificarono una grande operazione militare contro il principale alleato del Terzo Reich, l'URSS, che aveva appena attaccato la Finlandia. Si trattava dell'Operazione Pike, un vasto programma di bombardamento dei pozzi petroliferi di Baku; l'offensiva tedesca del 10 maggio 1940 portò all'abbandono del progetto.

[*5] - Al momento in cui scriviamo, basti pensare agli sforzi degli Stati Uniti per impedire alle Isole Salomone di firmare un accordo di difesa con la Cina.

[*6] - Su questo tema, si prendano gli esempi delle guerre in Kosovo, Iraq, Afghanistan o Libia, si veda : Serge Halimi, Mathias Reymond, Dominique Vidal, Henri Maler, L'opinion, ça se travaille... Les médias et les "guerres justes", Agone, 2006, 272 p.

[*7] - Louis Mercier Vega, La Chevauchée anonyme, éditions Noir, 1978, p. 78.

[*8] - Oggi sappiamo che nel 1990, poche settimane prima dell'invasione del Kuwait da parte delle truppe di Saddam Hussein, i diplomatici americani avevano fatto capire alla loro controparte irachena che gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti in caso di un'operazione militare di questo tipo.

[*9] - Helmuth Karl Bernhard von Moltke, feldmaresciallo prussiano (1800-1891).

[*10] - L'esercito statunitense e i suoi ausiliari occidentali, invece, in genere non si avventurano sul campo prima di aver bombardato le posizioni e le città nemiche per settimane, se non per mesi (Iraq 1991, Serbia 1999, Iraq 2003, Mosul 2017, ecc.). Ciò che differenzia veramente questi eserciti è il loro rapporto con la morte, quella dei propri soldati.

[*11] - Fino al 23 febbraio 2022, alcune unità delle forze speciali statunitensi, britanniche e canadesi sono ufficialmente presenti in Ucraina per addestrare i soldati all'uso di queste armi; lasciano il Paese poche ore prima dell'offensiva russa.

[*12] - Alcuni membri delle forze speciali statunitensi e britanniche hanno la deplorevole tendenza a essere messi in attesa e ad acquisire immediatamente una nuova nazionalità, in questo caso ucraina. I giornalisti hanno dimostrato, ad esempio, che sono gli americani a gestire e controllare il reclutamento dei volontari stranieri nell'esercito ucraino, Régis Le Sommier, "Avec des volontaires français", rivista Le Figaro, 8 aprile 2022, pagg. 55-57.

[*13] - Se i satelliti spia occidentali sono al lavoro, lo sono anche gli aerei di intelligence elettronica o droni della NATO che, dall'inizio dell'invasione, volano lungo i confini ucraini e le acque territoriali russe (a volte possono essere visti sul sito web Flightradar24 ) e forniscono a Kiev informazioni cruciali per i combattimenti in tempo reale.

[*14] - Secondo i media francesi, le truppe russe stanno bombardando solo scuole, asili, reparti di maternità e ospedali... è quindi comprensibile che facciano fatica a superare le forze ucraine. La natura della guerra moderna è quella di svolgersi nelle aree urbane, in mezzo ai civili, nelle loro case e nei loro luoghi di lavoro. E quando le truppe ucraine riprendono una città dai russi, è dopo aver usato i loro stessi metodi, quasi lo stesso equipaggiamento (meno l'aviazione) e quasi la stessa dottrina. Per un punto di vista serio e tecnico, si veda ad esempio Gaston Erlom, "Force ou faiblesses de l'armée russe", Raids, n. 430, p.29-42.

[*15] -  "Guerre en Ukraine: quelle est la stratégie militaire de Poutine?", video.lefigaro.fr, 3 marzo 2022.

[*16] - Montgomery Pittman, "Due", primo episodio della terza stagione di "Ai confini della realtà", 1961.

[*17] - Perrine Poupin, "L'irruzione della Russia in Ucraina. Intervista a un volontario della difesa territoriale di Kiev", Mouvements, 29 marzo 2022.

[*18] - "Lettere dall'Ucraina", prima parte sul sito web Tous dehors.

[*19] - Marie-Joseph Chénier, Chant du départ, 1794.

[*20] -  Ma che cosa avremmo fatto allora in Francia nell'agosto 1914, o nel giugno 1940? Su queste questioni, si consiglia la lettura del libro di Louis Mercier Vega "La Chevauchée anonyme : une attitude internationaliste devant la guerre" (1939-1942) o il libro di Pierre Lanneret, Les Internationalistes du "troisième camp" pendant la Seconde Guerre mondiale (Acratie, 1995), disponibile in formato PDF su: archivesautonomies.org

[*21] - Si veda in particolare il blog "Une autre guerre": uneautreguerre.wordpress.com .

[*22] - Tra due fuochi. Una raccolta provvisoria di testi di anarchici di Ucraina, Russia e Bielorussia sulla guerra in corso, 13 marzo 2022, 64 p.

[*23] - Usiamo il termine uomini come sinonimo superato di soldati, poiché le forze coinvolte sembrano essere piuttosto insensibili ai recenti sviluppi occidentali in materia di genere. Qui, anche se siamo in Europa, lo schema è molto più convenzionale: coloro che combattono sono uomini (con forse qualche rarissima eccezione nei TD) e coloro che fuggono dai combattimenti sono donne, bambini e vecchi.

[*24] - «Se stiamo lontani dai conflitti tra Stati, stiamo lontani dalla vera politica. Si tratta di uno dei conflitti sociali più importanti della nostra regione. Se ci isoliamo da questo conflitto, ci isoliamo dall'attuale processo sociale. Quindi dobbiamo partecipare in qualche modo». Vedi "Intervista: "Gli anarchici e la guerra in Ucraina". «[...] qualsiasi forza che viene investita nello sviluppo politico a venire, deve essere presente qui e ora, accanto al popolo. Vogliamo fare dei passi per entrare in contatto con le persone su scala più ampia, per organizzarci con loro. Il nostro obiettivo a lungo termine, il nostro sogno, è quello di diventare una forza politica visibile in questa società per avere una reale opportunità di promuovere un messaggio di liberazione sociale per tutti». Cfr. "Intervista: Comitato di resistenza, Kiev", marzo 2022.

[*25] - Nel 1870 e nel 1914, quanti proletari che indossavano l'uniforme di un esercito imperiale molto poco democratico immaginavano di partecipare in seguito (per alcuni di loro) alla Comune di Parigi o alle rivoluzioni tedesca e russa?

[*26] - Un compagno italiano de Il lato Cattivo,«Ucraina "Almeno, se vogliamo essere materialisti"».

[*27] - Louis Mercier Vega, op. cit.

[*28] - Quando si parla di valori e democrazia, è sempre bene ricordare che la NATO si prende cura della sua reputazione LGBTQI+friendly. «La NATO si impegna a favore della diversità. La discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale, del sesso, della razza o dell'origine etnica, della religione, della nazionalità, della disabilità o dell'età è severamente vietata. È stata inoltre pioniera nell'essere la prima organizzazione al mondo a riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso, offrendo alle coppie omosessuali gli stessi benefici dei coniugi eterosessuali, in un periodo in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso era riconosciuto solo in un paese, i Paesi Bassi». www.nato.int .

[*29] - Dopo la guerra contro la Serbia, Claude Guillon pubblicò "Dommages de guerre. Parigi-Pristina-Belgrado", 1999 (L'Insomniaque, 2000, 128 p.), un libro incisivo che ripercorre le esitazioni e i compromessi di una parte dei "radicali" francesi nei confronti della NATO.

[*30] - Si pensi che in Francia Marine Le Pen e Éric Zemmour vengono descritti come nazisti; che in confronto ai membri del reggimento Azov i militanti dell'RN sembrano timidi socialdemocratici; che, a parte l'Ucraina, sono relativamente pochi i Paesi al mondo in cui le organizzazioni di estrema destra hanno proprie unità militari integrate nell'esercito nazionale.

[*31] - Per quanto riguarda i disertori dell'esercito francese, ogni anno se ne contano circa 2.000, i quali preferiscono fuggire ed essere clandestini piuttosto che continuare il loro impegno; alcuni finiscono in tribunale. Ma la cosa non interessa a nessuno. Tutto ciò, in futuro potrebbe cambiare.

[*32] - Su questi temi si veda il nostro libro "Manu militari? Radiographie critique de l'armée", Le Monde à l'envers, 2020 (nuova edizione), 120 p.

[*33] - Bruce Springsteen, Born in the USA, 1984.

[*34] - Oltre al profitto che la guerra rappresenta per il complesso militare-industriale statunitense e per la sua industria del gas, e anche se probabilmente causerà un disastro economico per l'UE; è una manna per alcuni settori di attività, in particolare grazie all'arrivo dei rifugiati ucraini; questo è il caso del settore della prostituzione (in Germania) o del settore industriale e manifatturiero in Polonia (un paese che è a corto di manodopera poiché i suoi proletari partono per lavorare nei paesi dell'Europa occidentale).

[*35] - Nelle parole del suo primo Segretario Generale, Lord Ismay, il ruolo della NATO è quello di «tenere fuori i russi, dentro gli americani e sotto controllo i tedeschi». Vedere Wikipedia.

[*36] - Le ingenti consegne di armi all'Ucraina previste dagli Stati Uniti stanno già rallentando quelle che erano destinate a Taiwan. Cfr. Laurent Lagneau, "Taiwan si preoccupa di possibili ritardi negli ordini di attrezzature militari statunitensi", Military Zone, 3 maggio 2022. L'Ucraina ha già ricevuto circa 7.000 missili anticarro Javelin, che rappresentano circa un terzo delle scorte statunitensi, con un tempo di sostituzione stimato in tre o quattro anni. Cfr. Matías Maiello, "Alcuni elementi di analisi militare sulla guerra in Ucraina", Rivoluzione permanente, 28 aprile 2022.

fonte: DDT21 Douter de tout…