lunedì 21 ottobre 2024

Uno strano stenografo!!

Oltre che il titolo di una sua celebre opera teatrale, True West è la storia del lungo e accidentato viaggio di Sam Shepard da una piccola città della California fino a diventare un drammaturgo e una star del cinema di fama internazionale. Figlio unico di un padre alcolizzato con cui non è mai riuscito a relazionarsi, Shepard si è creato un personaggio pubblico come un autentico archetipo americano: il solitario, il cowboy, il vagabondo, lo straniero in terra straniera. In questa biografia “definitiva”, Robert Greenfield accompagna il lettore sui palchi di quartiere a Lower Manhattan negli anni Sessanta, nella scena jazz del Village Gate di New York, nel teatro off di Londra negli anni Settanta, nel leggendario tour Rolling Thunder di Bob Dylan e nella realizzazione delle sue opere maggiori, tra cui Buried Child (Il bambino sepolto), per cui ha ricevuto il premio Pulitzer nel 1979. Esplorando i rapporti del drammaturgo con Patti Smith, Bob Dylan, Joni Mitchell e Jessica Lange attraverso il lungo arco della sua brillante carriera, Greenfield descrive chi era veramente Sam Shepard, compiendo il ritratto di una personalità complessa e difficile da gestire. Ne emerge non solo un grande autore americano, ma anche un personaggio unico e ricco di sfaccettature che è stato in grado di trasformare il dolore delle sue esperienze di vita in opere geniali e per nulla canoniche, la cui accettazione ha sempre rappresentato un problema per pubblico e critica. Ribelle, visionario, talentuoso e mai scontato, Sam Shepard ha sempre reagito alle critiche nel miglior modo possibile: continuando a fare le cose a modo suo.

(dal risvolto di copertina di: Robert Greenfield, "True West. La vita il lavoro e i tempi di Sam Shepard", pagg.460, €24)

Sam Shepard bello e impossibile
- di Alberto Anile -

La prima cosa che s’impara leggendo True West di Robert Greenfield (appena tradotto ed edito da Jimenez) è che Sam Shepard era un formidabile contapalle. Mentiva alle sue donne, perché ne frequentava più di una per volta; mentiva ai giornalisti, per far più belle le sue risposte; usò le sovvenzioni destinate agli scrittori per comprarsi una Dodge Charger e una chitarra Stratocaster; quando lo chiamarono alla leva per il Vietnam si finse schizofrenico (anni dopo raccontò a un giornalista di essere stato riformato per due vertebre rotte cadendo da cavallo). La seconda cosa che s’impara è che Sam Shepard ha avuto una vita pazzesca, più avventurosa e affascinante dei protagonisti dei suoi drammi e dei personaggi interpretati al cinema. Era bello in modo spudorato, una specie di incrocio fra James Dean, Gary Cooper e l’uomo di Marlboro Country. È stato punk prima del punk, suonando la batteria con gli Holy Modal Rounders. Ha vinto il Pulitzer. Ha lavorato per un’agenzia investigativa e come inserviente in un locale musicale. Ha fatto abbondante uso di LSD e soprattutto metanfetamina («quando camminavi per strada era come avere le scintille sotto i piedi»). Joyce, la sua prima donna, lo abbandonò perché si rese conto d’essersi messa con un drogato, donnaiolo e figlio di un alcolizzato. Con Patti Smith, che per lui lasciò Robert Mapplethorpe, compose in due serate una nuova pièce. Joni Mitchell, un’altra delle sue amanti, scrisse per lui Coyote (album Hejira). Lasciò definitivamente la moglie, pluricornificata, per Jessica Lange: le chiese di sposarlo, rimanendo poi insieme trent’anni senza anello al dito.
Ha scritto un film per i Rolling Stones, Maxagasm, che non è stato mai girato. Ha cominciato a scrivere un film per Bob Dylan che poi, col titolo Renaldo e Clara, è diventato tutt’altra cosa. Ha cominciato a scrivere Zabriskie Point per Michelangelo Antonioni senza seguirlo fino alla fine. Ha scritto per Wim Wenders Paris, Texas, seguendolo fino alla fine ma rifiutando di interpretarlo. Accettò di interpretare Settembre di Woody Allen ma poi il regista buttò via l’intero film e lo rigirò con un altro cast. Figlio di un aviatore, non sopportava di andare in aereo. La sera del debutto di una delle sue piéce, subì un tentativo di rapimento (un pittore mezzo matto ce l'aveva con lui perché a suo parere si stava troppo commercializzando), e quella stessa notte il locale in cui si festeggiò la "prima", chiuso miracolosamente anzitempo, venne raso al suolo da una carica esplosiva piazzata dalle Pantere Nere. La lettura di queste oltre 400 pagine andrebbe fatta con un computer davanti, cercando le foto descritte lungo gli snodi fondamentali della biografia: Shepard e Patti Smith sul balcone del Chelsea Hotel, Shepard e il padre alcolizzato l’ultima volta che s’incontrarono, Shepard e Lange beccati dal paparazzo Ron Galella, la foto segnaletica di Shepard 72enne, arrestato per quella che sembrava ubriachezza (ed erano invece i primi sintomi della sla). Greenfield racconta la grande facilità con cui Shepard scriveva. «Per me, quello non era un problema», sosteneva il drammaturgo. «C’erano così tante voci che non sapevo da dove cominciare. Era splendido, davvero. Mi sentivo come una specie di strano stenografo. Non intendo farla passare per un’allucinazione, ma di sicuro c’erano delle cose là fuori e io mi  imitavo a metterle per iscritto».
Si parla tanto di capolavori come Curse of the Starving Class, Il bambino sepolto, True West e Pazzo d’amore ma a Greenfield interessa più l’uomo dell’autore, più i fatti che l’analisi delle opere. D’altra parte la stragrande maggioranza di ciò che Shepard ha scritto è una versione rimaneggiata di una vita rock ’ n’ roll. Si potrebbe realizzare un’opera teatrale o un film su di lui utilizzando esclusivamente brani dai suoi testi. Allora, domanda: scriveva perché la vita folle che ha vissuto reclamava di essere messa su carta o ha vissuto al massimo perché sapeva che questo poteva nutrire i suoi scritti? Alla fine del libro il mistero di Sam Shepard rimane intatto, ma lo ami di più. Qualche difetto però il volume ce l'ha. Anche di traduzione: le macchine da presa del cinema non sono «telecamere» ma «cineprese», e i testi per il teatro si chiamano «copioni» non «sceneggiature». Greenfield elargisce a volte dettagli inutili (a cosa ci serve sapere che nel '59 «il milkshake Silver Goblet, disponibile solo al cioccolato, alla vaniglia e alla fragola, veniva trenta centesimi»?. Poi, come capita spesso ai saggisti americani, topp quando parla di italiani: secondo lui, «Zabriskie Point è stato il più grande fallimento critico e commerciale della carriera di Michelangelo Antonioni» - ma ti pare?

- Alberto Anile, pubblicato su Robinson del 14/1/2024 -

Nessun commento: