domenica 13 ottobre 2024

La Guerra Totale e il Lavoro Nazionale Totale

Lo stato di guerra
- di Frederick Harry Pitts -

«Se c'è qualcosa che assomigli a un'esperienza "Ur" per "l'homo fordisticus", è l'esperienza dei fronti di battaglia della Prima Guerra Mondiale». (Ernst Lohoff, 2013)

La guerra moderna è stata caratterizzata dall'intensificazione della dipendenza da queste relazioni sociali mediate. Il loro carattere mediato e impersonale può aver ridotto l'aggressione diretta e la violenza nella vita quotidiana, ma queste relazioni sociali mediate sono state garantite e sostenute da una più ampia capacità di sterminio e distruzione totale, concentrata nelle mani dello Stato e dei suoi eserciti. Con lo sviluppo di queste condizioni sociali e politiche, la conclusione logica delle precedenti guerre assolute, basate sulla sconfitta totale e sul rovesciamento di un nemico, si trovava così nella "guerra totale" del ventesimo secolo. Dal XX secolo in poi, con la capacità produttiva della società in piena mobilitazione a sostegno dello sforzo bellico, le infrastrutture civili divennero un obiettivo militare. Ciò produsse un'economia di guerra difensiva e offensiva permanente. La modernizzazione, che si è svolta dal XIX al XX secolo, ha rappresentato una serie di modi di gestire questa economia di guerra di base, sia sotto le spoglie del liberalismo del New Deal, della socialdemocrazia, del comunismo, o dei tipi di pianificazione caratteristici del cosiddetto "Stato in via di sviluppo" (Kurz, 2011b; Kurz, 2011c). Tutto ciò si basava sulla massificazione della produzione in linea con le esigenze fondamentali dell'economia di guerra, che estendeva l'astrazione del lavoro dagli eserciti permanenti alla società nel suo complesso. In questo contesto, sostiene Kurz, il "lavoro nazionale totale" ha raggiunto un nuovo status come parte centrale dello sforzo bellico e delle forme di "modernizzazione recuperativa" e di riforma sociale che ne sono seguite (Kurz, 2016). Decisivi, per questa maggiore astrazione del lavoro, suggerisce Kurz (2013a), sono stati i progressi scientifici e tecnici costretti a partire dal conflitto e dalla competizione tra gli Stati. Il processo lavorativo è stato rimodellato e reso più produttivo dalle nuove tecnologie, dalla gestione scientifica e dal sostegno statale alla ricerca e allo sviluppo di tecnologie a duplice uso civile-militare come l'elettronica, il cui risultato è stata la catena di montaggio. Nella grande produzione diretta dallo Stato, resa necessaria dalle due guerre mondiali, queste innovazioni hanno preso, insieme, la cooperazione soggettiva, individualizzata, arbitraria e immediata presente nella produzione durante le prime fasi dello sviluppo industriale, e l'hanno sottoposta a un quadro oggettivo, de-individualizzato, sistematico e mediato che ha trasformato attivamente l'esperienza concreta della vita lavorativa. Dopo le due guerre mondiali, sostiene Kurz, lo sviluppo della produttività sul posto di lavoro è rimasto contenuto nella "logica della competizione politico-militare", vista nella forma della Guerra Fredda. Mentre non c'è stato un ritorno alla vastità della violenza a cui si era assistito nella prima metà del XX secolo, Lohoff (2013) suggerisce che la Guerra Fredda ha visto un aumento dei poteri di distruzione investiti nello Stato, con la promessa di una distruzione reciproca assicurata, e con lo sviluppo di una capacità di uccidere sempre maggiore, in Occidente e in Oriente. Così, laddove gli anni della guerra avevano incubato le "forze produttive della seconda rivoluzione industriale" sotto forma di forze di distruzione, ecco che la Guerra Fredda le ha scatenate (Kurz, 2013b). Essendo stata perfezionata l'organizzazione fordista del processo lavorativo da parte dello Stato di guerra, i rapidi aumenti di produttività che essa generò in tempo di pace minacciarono di sovra-produrre merci rispetto alla domanda, svalutando le merci stesse e creando le condizioni per la crisi economica. Ma le innovazioni degli anni della guerra avevano portato a nuovi settori di produzione che hanno soddisfatto le nuove esigenze sbloccate in un'epoca di consumo di massa; ad esempio le automobili e gli elettrodomestici. Quindi, proprio come l'economia di guerra rappresentava l'applicazione scientifica del lavoro civile al servizio della distruzione, il successivo sviluppo della produzione e del consumo di massa di merci rappresentava la "continuazione della distruzione con altri mezzi", civile (Lohoff, 2013). La stabilità del capitalismo, nel contesto di questa rapida spinta alla produttività, è stata sovrastata dal forte ruolo dello Stato nel periodo della Guerra Fredda. Questo "capitalismo organizzato", sostenuto dal comando politico esercitato dallo Stato, sembrava, ad alcuni, aver sospeso la legge del valore stessa.

Affamata di tasse e di creazione di mezzi militari, sostiene Lohoff (2013), l'economia di guerra ha di fatto subordinato la produzione al consumo statale apparentemente "improduttivo". Piuttosto che dalle forze di mercato, la terza rivoluzione industriale è il risultato di un'ampia spesa statale in ricerca e in sviluppo, fatta in nome delle esigenze militari. Avendo "dissolto" tutto in "politica", in nome della lotta tra grandi potenze, lo Stato della Guerra Fredda veniva considerato come se fosse stato colui che aveva sfidato l'economia, e rimosso qualsiasi "limite interno oggettivo" alla produzione capitalistica, come dice Kurz (2016). Caratteristico del lavoro di Kurz e della Wertkritik in generale, tuttavia, è l'attenzione proprio a quei limiti interni, e alle tendenze alla crisi che essi generano. Come è emerso, l'apertura dell'economia occidentale alle pressioni competitive e alla capacità manifatturiera generate dalle tendenze alla modernizzazione in altre parti del mondo, ha finito per indebolire la posizione economica dell'Occidente in termini di "flussi di merci e capitali". La lunga recessione che ne seguì, tuttavia, fece ben poco per ostacolare l'espansione del cosiddetto "complesso militare-industriale" che aveva prosperato nella "economia di guerra permanente" dopo il 1945. Con la "terza rivoluzione industriale", la microelettronica ha rivoluzionato e computerizzato i sistemi d'arma ad alta tecnologia. Sotto Reagan, gli Stati Uniti vinsero in modo decisivo la corsa agli armamenti contro il loro rivale sovietico, attraverso una sorta di "keynesismo armato", che accumulò debito pubblico, interamente, contro l'assalto repubblicano alla spesa sociale keynesiana in altri settori dell'economia (Kurz, 2013b). La Guerra Fredda, sostiene Lohoff, rappresentò l'apice dello stato bellico. La corsa agli armamenti ha superato tutte le forme esistenti di distruttività e le sue implicazioni scientifiche ed economiche hanno completamente rivisto il terreno della competizione capitalistica all'interno e tra gli stati nazionali. Fino a un certo punto, l'Unione Sovietica è rimasta competitiva scientificamente e tecnologicamente, ma una serie di fattori ha esaurito questo stato di cose: l'ascesa delle tecnologie dell'informazione; un'economia più globalizzata in Occidente che consenta l'accesso alla produzione ad alta intensità di lavoro per evitare la crisi; e "l'accesso privilegiato degli Stati Uniti al capitale transnazionale", che ha permesso una maggiore spesa militare. La vittoria, che questi fattori hanno reso possibile, ha stabilito un ordine mondiale unipolare storicamente senza precedenti in cui qualsiasi nozione di equilibrio di potere è stata abolita (Lohoff, 2013).

- Frederick Harry Pitts - Pubblicato su European Journal of Social Theory Volume 27, °4 Nov. 2024 -

- 3 – Continua  -

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