La «crisi finanziaria» è una crisi del modo produzione capitalista
- Tesi di Norbert Trenkle -
1.
Le cause dell'attuale crisi economica non vanno ricercate nella speculazione, né nell'indebitamento. D'altra parte, possiamo constatare come la gigantesca espansione dei mercati finanziari sia l'espressione di una profonda crisi del lavoro e della valorizzazione del capitale, le cui origini risalgono ad almeno trent'anni fa.
2.
Dopo il crollo dei mercati finanziari del 2008, rimproverare agli «speculatori» ed ai «banchieri» la loro «sete di profitto» e la loro «rapacità», è diventato come una sorta di sport popolare. Ma, in realtà, la ricerca di un sempre maggior profitto rappresenta di fatto quello che è il motore di base dell'insieme del modo di produzione capitalistico. Funziona secondo il principio di «fare soldi per mezzo del denaro» (A - M - A'). È quella che viene chiamata valorizzazione del capitale. La produzione di merci e il dispendio di forza lavoro non sono altro, nel sistema di produzione delle merci, che un mezzo per poter raggiungere quel fine. Dal punto di vista della valorizzazione del capitale, non interessa sapere che cosa viene prodotto (per esempio, delle bombe a frammentazione o del ketchup), o sapere in che modo quella cosa viene prodotta (intensificazione permanente del lavoro, precarizzazione, lavoro infantile), o perfino sapere quali possono essere le conseguenze (distruzione delle risorse naturali della vita).
3.
La logica della valorizzazione capitalistica reca in sé una fondamentale contraddizione interna che non può essere risolta. Da un lato, bisogna che nella produzione di merci venga spesa sempre più forza lavoro, al fine di garantire così la valorizzazione del capitale; invece, la moltiplicazione del denaro - divenuta un fine in sé, e che avviene attraverso il dispendio di forza lavoro - è astratta e quantitativa, e da parte sua non conosce affatto questo limite logico. Dall'altro lato, l'onnipresente concorrenza obbliga ad aumentare continuamente e costantemente la produttività, attraverso la «razionalizzazione» della produzione. Questo vuol dire che per ogni unità di tempo si devono produrre sempre più beni, ossia, bisogna ridurre il tempo di lavoro necessario , fino ad arrivare a rendere «superflua» la forza lavoro.
4.
Il fondamentale potenziale di crisi che implica questa contraddizione, ha potuto, fino agli anni '70, essere differito in maniera permanente grazie ad un'accelerazione del ritmo della crescita. Estendendo la valorizzazione del capitale a tutto il pianeta, e a dei nuovi rami di produzione, la domanda assoluta di mano d'opera è stata così aumentata, e quindi è stato controbilanciato l'effetto della razionalizzazione. Ma la «terza rivoluzione industriale» (basata sulle telecomunicazioni) ha reso inefficace questo meccanismo di compensazione. Essa ha innescato in tutti i rami di produzione una massiccia perdita di posti di lavoro. Malgrado l'espansione e la globalizzazione della produzione, sempre più persone sono divenute «superflue» dal punto di vista della valorizzazione capitalista. Ed è così che si è sviluppato un fondamentale processo di crisi il quale mina il modo di vita e di produzione capitalistico.
5.
Ma cosa c'entra il gonfiamento dei mercati finanziari con tutto questo? La crisi della valorizzazione del capitale, vuole innanzitutto dire che il capitale sempre più difficilmente trova il modo di investire nell'«economia reale». Ed è questo il motivo per cui il capitale si rivolge ai mercati finanziari e causa così un gonfiamento del «capitale fittizio» (speculazione e credito). È successo esattamente questo a partire dall'inizio degli anni '80. Questa dislocazione verso i mercati finanziari non rappresenta altro che una forma di sospensione della crisi. Il capitale in eccesso aveva trovato una nuova possibilità di investimento («fittizio»), sfuggendo in questo modo alla minaccia della svalorizzazione. Allo stesso tempo, l'espansione del sistema di credito e di speculazione ha creato più potere di acquisto, spingendo in tal modo ad un ampliamento della produzione (per esempio, il boom dell'industrializzazione in Cina).
6.
Il prezzo da pagare per questo rinvio della crisi, è un accumulo sempre più grande del suo potenziale distruttivo ed un'estrema dipendenza dai mercati finanziari. «L'accumulazione» fittizia del capitale deve proseguire senza sosta. Quando una bolla esplode, i governi e le banche centrali non hanno altra scelta, se non quella di salvare le banche e gli investitori, ed iniettare massicciamente nei mercati liquidità scoperta, che finisce per ricreare delle nuove bolle. I leader politici di tutti i partiti si fanno perciò delle illusioni quando reclamano una rigorosa limitazione della speculazione. Anche se eventualmente sono possibili delle misure specifiche di regolazione, si può dire che generalmente il sistema si basa sulla speculazione, e che il credito deve perdurare, poiché il sistema capitalista può continuare solo su questa «base». Non è un caso il fatto che la «realpolitik» abbia proceduto esattamente secondo un tale schema, cercando di rimettere in moto la dinamica dei mercati finanziari.
7.
La crisi attuale rappresenta un punto di svolta qualitativo, in quanto il collasso ha potuto essere riassorbito solo grazie da una massiccia espansione del debito pubblico. Ecco perché ora la crisi sta colpendo la società sotto forma di una crisi del bilancio («programmi di austerità»). Ma quando oggi ci viene detto che bisogna fare economia perché «viviamo al di sopra dei nostri mezzi», le cose ci vengono presentate a rovescio. Se con meno lavoro si può creare sempre più ricchezza materiale, questo in linea di principio apre la possibilità di una vita migliore per tutta l'umanità. Ma il fatto di rimanere sottomessi alle relazioni capitalistiche porta ad una diminuzione della produzione di valore. È da questo, e unicamente da questo, che proviene «l'imperativo di fare economia» per una società governata dalla cosiddetta produzione di valore. Anche il gigantesco indebitamento è espressione del fatto che il potenziale produttivo creato dal capitalismo fa esplodere la sua stessa logica, e che la produzione di ricchezza sotto il capitalismo può continuare solo per mezzo della violenza. La società deve liberarsi da questa forma di produzione di ricchezza, se non vuole essere trascinata nell'abisso insieme ad essa.
- Norbert Trenkle - Pubblicato il 20/6/2010 su Krisis - Kritik der Warengesellschaft -
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