Nella sua Introduzione alla Tragedia di Sofocle, una delle sue prime opere (note del corso tenuto all'Università di Basilea nell'estate del 1870), Nietzsche dà inizio a quello che poi approfondirà ne La nascita della tragedia: la questione - tanto filosofica quanto filologica - del passaggio dal "sentimento" alla “ragione”, il passaggio dal "gesto patetico" del rituale dionisiaco alla "messinscena", alla "conoscenza cosciente". Per Nietzsche, Sofocle è stato l'ultimo grande poeta tragico greco, una figura che opera all'interno di quel passaggio, che vive simultaneamente in entrambi i lati della questione - il lato della "visione tragica" corporale ed anche quello della "visione contemplativa" del "logos".
Walter Benjamin, nel suo saggio su Proust, "Un'immagine di Proust", parla della reiterazione di quest'idea, parla di questo procedimento critico. Benjamin commenta che spesso si parla, "a ragione", di come le grandi opere inaugurano o superino i generi. In breve, le grandi opere vivono in quel momento di passaggio dentro il quale anche Nietzsche colloca Sofocle. Più che una caratteristica essenziale comune tanto a Sofocle quanto a Proust, quello che qui Benjamin e Nietzsche rappresentano è proprio questo procedimento critico ricorrente, che consiste nell'eleggere un punto di rottura - che è anche un punto di permanenza - rispetto alla tradizione ed esplorare, in maniera discorsiva, le sue caratteristiche, i segnali e gli indizi che confermano una tale elezione.
Il lavoro di Auerbach su Dante, "Dante also Dichter der Irdischen Welt", è basato interamente su questo procedimento (procedimento che verrà poi ampliato e migliorato nel corso di tutto il suo libro, "Mimesis", anch'esso interessato ai diversi casi di personaggi-limite della tradizione occidentale). Auerbach analizza Dante nell'ottica di questa sua duplice appartenenza, nel suo posizionamento al centro di un passaggio - dal divino al mondano, dal latino al volgare, dal medievale al moderno, o perfino dalla parola all'immagine (quando Auerbach accosta, ad esempio, Dante a Giotto).
Parlando di Sofocle e della tragedia greca, Nietzsche introduce quella che sarà la questione centrale della sua opera: il confronto fra apolinneo e dionisiaco, e i possibili attraversamenti fra "lógos" e "páthos". Una questione centrale anche per Warburg, a partire da Nietzsche, anche se implica un passaggio dal "dionisico" al "demoniaco"; termine assai più ampio, come viene sottolineato da Didi-Huberman. E questa polarità si trova annunciata già in Omero, soprattutto ne L'Iliade: da un lato ci sono i greci, dall'altro i "barbari", ossia, quelli che parlano il greco e che mentre lo parlano sembrano balbuzienti (bar, bar, bar...).
Scrive Pierre Vidal-Naquet: «L'opposizione fra greci e barbari compare in tutte le Storie di Erodoto, che desiderava sapere da cosa proveniva il conflitto fra greci e persiani e, fra gli antefatti di questo conflitto, aveva incluso il rapimento di Elena da parte di Paride; episodio che aveva scatenato la guerra di Troia. Pertanto, per loro i troiani sono barbari, e lo stesso avviene per quanto riguarda i grandi poeti tragici del V secolo: Eschilo, Sofocle ed Euripide. Troia per loro è una città barbara, anche se Euripide si interroga, chiaramente, circa il valore di tale opposizione.» (“Il mondo di Omero”, Donzelli). E più avanti: «Come si distingue Troia dagli assediatori? Agli occhi dei greci, essa ha alcune tracce orientali: l'abbondante presenza di oro nella città, per esempio, e anche negli ornamenti dei guerrieri alleati con Troia.»
Nella sezione n°12 de La Nascita della Tragedia, Nietzsche indica Le Baccanti di Euripide come una sorta di ritrattazione di ogni tendenza anti-dionisiaca delle sue opere precedenti. Da parte sua, Said, in Sullo Stile tardo, riabilita Euripide in contrapposizione a Sofocle, mostrando l'ambivalenza del primo, il suo intenso utilizzo di riferimenti storici ed il suo attraversare il contemporaneo; qualcosa che nel secondo non è poi così tanto presente.
Nessun commento:
Posta un commento