venerdì 15 dicembre 2017

Le cose che non possono succedere

shirley

Il racconto di Shirley Jackson intitolato La lotteria ricorda da vicino, per la fama che lo circonda, la famigerata lettura radiofonica della Guerra dei Mondi di Orson Welles. Fama non immeritata, giacché la pubblicazione sul «New Yorker», nel 1949, scatenò un pandemonio. Molti lo presero alla lettera, reagendo all’istante e poi per lungo tempo con missive indignate o atterrite alla redazione. Certe cose non potevano, non dovevano succedere. Eppure la storia si presenta in tutta innocenza quale pura e semplice descrizione della lotteria che si svolge nell’atmosfera pastorale, quasi idilliaca, di un villaggio del New England in un luminoso mattino di giugno – come ogni anno da tempo immemore. Ma giunto al termine di questo racconto, come degli altri che compongono l’intensa silloge qui proposta, il lettore scoprirà da sé, in un crescendo di «brividi sommessi e progressivi» – come diceva Dorothy Parker –, che cosa li rende dei classici del terrore. Secondo un altro illustre ammiratore della Jackson, oltre che maestro del genere, Stephen King, lo sono perché «finiscono con una svolta che porta dritto in un vicolo buio».

La lotteria
- di Shirley Jackson -

La mattina del 27 giugno si levò chiara e piena di sole, con il calore di una bella giornata estiva; i prati erano pieni di fiori e l'erba era già alta. Gli abitanti del villaggio cominciarono a radunarsi nella piazza, tra l'ufficio postale e la banca, verso le dieci.
In alcune città gli abitanti erano così numerosi che la lotteria durava due giorni e doveva iniziare il 26 giugno, ma in quel villaggio, dove gli abitanti erano solo trecento, l'intera lotteria richiedeva meno di due ore: iniziava alle dieci del mattino e finiva in tempo per l'ora di pranzo.
I primi ad accorrere, come sempre, furono i bambini. La scuola era finita, e molti ragazzi non si trovavano a proprio agio, in tanta libertà; tendevano a riunirsi in silenzio per qualche minuto, per poi mettersi a gridare e a parlare di scuola e di insegnanti, di libri e di brutti voti.
Bobby Martin si era già riempito di pietre la tasca, e presto anche gli altri ragazzi seguirono il suo esempio, scegliendo le pietre più lisce e rotonde: Bobbie e Harry Jones e Dickie Delacroix finirono poi per ammonticchiarne una grande pila in un angolo della piazza, e la difesero dalle ruberie degli altri ragazzi.
Le ragazzine invece si tenevano da una parte, parlavano tra loro e di tanto in tanto si giravano a guardare i fratelli, mentre i bambini più piccoli giocavano con la terra.
Presto anche gli uomini si radunarono, e mentre tenevano d'occhio i figli parlavano di piante e di pioggia, di tasse e di trattori.
Stavano tutti insieme, e si tenevano lontano dalla pila di pietre ammassata dai ragazzi, scherzavano poco e anche se talvolta sorridevano, non ridevano mai.
Le donne, con indosso scialli e vecchi vestiti sbiaditi, giunsero dopo i loro uomini. Si salutarono e si scambiarono pettegolezzi, e poi cominciarono a chiamare i figli, che però, in quella giornata, erano troppo eccitati per ascoltarle; per farli muovere, occorreva chiamarli quattro o cinque volte.
La lotteria era diretta, come la quadriglia, come il club dei teenager e come il programma della festa di Ognissanti, dal signor Summers, che aveva tempo ed energia da dedicare a quelle attività sociali.
Era un uomo allegro e dalla faccia tonda, che commerciava in carbone; la gente lo compativa perché era senza figli e aveva la moglie bisbetica. Quando arrivò in piazza, con la cassetta nera di legno della lotteria, tra gli abitanti del villaggio si levò un mormorio, e lui salutò e disse: — Un po' in ritardo, eh?
Il direttore dell'ufficio postale, signor Graves, lo seguiva con lo sgabello; lo posò in centro alla piazza e il signor Summers vi posò la cassetta.
La gente si tenne a rispettosa distanza, e quando il signor Summers chiese: — Nessuno viene ad aiutarmi? — ci fu un attimo di esitazione.
Poi il signor Martin e il suo primogenito, Baxter, si fecero avanti per tenere ferma la cassetta mentre il signor Summers mescolava i fogli.
L'attrezzatura originale della lotteria era andata persa tanto tempo prima, e la cassetta era entrata in uso prima ancora che nascesse nonno Warner, l'uomo più vecchio del paese. Talvolta si parlava di una nuova cassetta, ma nessuno voleva rinunciare a quella tradizione: si diceva che la cassetta nera fosse fatta con alcuni pezzi di quella originale, costruita dai primi abitanti del villaggio.
Ogni anno, dopo la lotteria, il signor Summers diceva che era ora di rifarla, ma poi il discorso veniva lasciato cadere. La cassetta, però, si era un po' rovinata con il passare del tempo: in alcuni punti perdeva già la vernice, in altri era scheggiata.

Mentre i due Martin tenevano ferma la cassetta, il signor Summers mescolò ben bene i foglietti di carta ripiegati. Dato che gran parte del rituale era andata persa col tempo, il signor Summers era riuscito a introdurre l'uso dei foglietti invece degli originali bastoncini di legno, che andavano bene, aveva detto, quando il villaggio era piccolo, ma che adesso erano diventati scomodi.
Perciò, la sera prima della lotteria, lui e il signor Graves tagliavano la carta e la piegavano, per poi chiudere il tutto nella cassaforte fino al mattino. Per tutto il resto dell'anno, la scatola nera veniva messa via, talora da uno talora dall'altro, ma in genere rimaneva sotto il banco dell'ufficio postale.
Prima di iniziare la lotteria, occorrevano però alcuni preparativi. Occorreva compilare gli elenchi dei capifamiglia e dei singoli membri delle varie case, e il signor Summers doveva prestare giuramento nelle mani del signor Graves.
Una volta, ricordavano alcuni, c'era un discorso che veniva ripetuto ogni anno, ma alla fine si era deciso che era solo una perdita di tempo. Inoltre, c'era un saluto rituale che il direttore rivolgeva a ciascuno di coloro che venivano a estrarre, ma anche a questo si era rinunciato, e adesso le cerimonie si limitavano al giuramento e al breve discorso di accettazione, e il signor Summers era molto bravo in questo, e riusciva a sembrare molto
importante, quando lo pronunciava.
Quando il signor Summers terminò il suo discorso e si rivolse agli abitanti del villaggio, giunse di corsa la signora Hutchinson, che si fermò in fondo alla piazza.
— Mi ero proprio dimenticata di che giorno era — spiegò alla signora Delacroix, ed entrambe risero piano. — Pensavo che mio marito fosse semplicemente uscito per raccogliere la legna, e poi ho guardato dalla finestra e non ho visto neppure i ragazzi. Allora mi è venuto in mente che è il ventisette, e sono venuta di corsa.
E la signora Delacroix la rassicurò: — Non preoccuparti, non hanno ancora finito di parlare, laggiù.
La signora Hutchinson sporse il collo per cercare il marito e i figli, e li vide in prima fila. Salutò la signora Delacroix e cominciò a farsi strada verso di loro, mentre qualcuno diceva: — Hutchinson, arriva tua moglie — e il signor Hutchinson commentava: — Ehi, Tessie, pensavo di dover fare a meno di te.
— Allora — disse il signor Summers — è meglio cominciare, e fare in fretta, così possiamo tornare al lavoro. Manca qualcuno?
— Dunbar — dissero alcune persone.
Il signor Summers consultò i suoi elenchi. — Clyde Dunbar — disse. — Giusto. Ha una gamba rotta. Chi tira per lui?
— Io — disse una donna, e il signor Summers si girò a guardarla.
— La moglie tira per il marito — disse. — Non hai un figlio maggiorenne che tiri per te, Janey?
Anche se il signor Summers, come del resto tutti, nel villaggio, sapeva già la risposta, era compito del direttore rivolgere ufficialmente la domanda.
— Horace ha solo sedici anni — disse la donna. — Temo proprio di dover tirare io per il mio vecchio, quest'anno.
— Va bene — disse il signor Summers. Prese un appunto, poi chiese: — Quest'anno, tira il giovane Watson?
Un giovane alto si fece avanti.
— Sono qui — disse. — Tiro per me e per mia madre.
Dalla folla, qualcuno commentò: — Bravo, Jack. È bello vedere che tua madre ha finalmente un uomo che tira per lei.
— Bene — disse il signor Summers — credo che con questo siamo a posto. Nonno Warner c'è?
— Certo — disse una voce, e il signor Summers annuì. Poi si schiarì la gola e guardò l'elenco, e nella piazza scese il silenzio.
— Tutti pronti? — chiese. — Allora, iniziamo a leggere i nomi. Per primi, i capifamiglia, e quando li chiamo vengano a estrarre un foglio. Tenete in mano il foglio, senza guardarlo, finché tutti non lo hanno preso. Chiaro?
La gente l'aveva già fatto così tante volte che non stava neppure ad ascoltare. Tutti erano ammutoliti e si leccavano nervosamente le labbra, senza guardarsi attorno. Poi il signor Summers alzò una mano e disse: — Adams.
Un uomo uscì dalla folla e il signor Summers lo salutò. — Ciao, Steve.
— Ciao, Joe — disse il signor Adams.
Si sorrisero senza alcuna allegria e poi il signor Adams tuffò la mano nella scatola e ne trasse un biglietto piegato. Abbassò subito la mano e tornò con la famiglia, senza guardare il foglio che aveva estratto.
— Allen — continuò il signor Summers. — Anderson. Bentham...
La scena si ripeté senza variazioni finché non si arrivò a Graves, il quale, invece di uscire dalla folla, si chinò sulla cassetta e prese un foglio.
— Harburt. Hutchinson.
— Tocca a te, Bill — disse la signora Hutchinson, e qualcuno rise.
— Jones.
— Ho sentito dire — commentò il signor Adams, rivolto a nonno Warner che gli stava vicino — che nel villaggio a nord del nostro vogliono sospendere la lotteria.
Nonno Warner scosse la testa. — Pazzi — disse. — Ascoltano troppo i giovani, non c'è mai niente che gli vada bene. A dare retta a loro, si tornerebbe a vivere nelle caverne. C'è sempre stata la lotteria, e la lotteria è una cosa seria. È già abbastanza brutto vedere come la organizza il giovane Joe Summers, che scherza con tutti.
— Ma in alcune città non la fanno più da tempo — disse la signora Adams.
— Pazzi scatenati — brontolò nonno Warner. — Si attirano solo guai.
— Martin. Overdyke. Percy.
— Perché non si sbrigano? — brontolò la signora Dunbar.
— Hanno quasi finito — disse il figlio.
— Tu, sta' pronto a correre da tuo padre — gli ricordò la madre.
Il signor Summers pronunciò il proprio nome e prese un foglio dalla scatola. Poi chiamò: — Warner.
— Sono settantasette anni che partecipo alla lotteria — disse nonno Warner, con orgoglio. — Sissignori, settantasette.
— Watson.
Il ragazzo si fece avanti, impacciato.
— Non essere nervoso, Jack — disse qualcuno, e il signor Summers aggiunse: — Fa' con comodo, figliolo. — E infine: — Zanini.
Dopo l'ultimo nome scese un lungo silenzio, finché il signor Summers non alzò il suo foglietto e disse: — Va bene, amici. Apriamo.
Un istante più tardi, tutti cominciarono ad aprire i biglietti e le donne presero a chiedere: — Chi è? Chi lo ha trovato? I Dunbar? O i Watson?
Poi le voci cominciarono a dire: — È Bill. È Hutchinson. L'ha trovato Bill Hutchinson.
— Va' a dirlo a tuo padre — disse la signora Dunbar al figlio.
La gente cominciò a girarsi verso gli Hutchinson. Bill Hutchinson era immobile, e continuava a fissare il foglio che aveva in mano. All'improvviso, Tessie Hutchinson gridò al signor Summers: — Non gli hai dato il tempo di scegliere il foglio che voleva. Ti ho visto. Non è giusto!
— Non protestare, Tessie — disse la signora Delacroix.
E la signora Graves aggiunse: — Il rischio è uguale per tutti.
— Sta' zitta, Tessie — disse Bill Hutchinson.
— Finora — disse il signor Summers — abbiamo fatto in fretta; vediamo di terminare altrettanto in fretta.
Consultò un altro elenco.
— Bill — disse — tu hai estratto per la famiglia Hutchinson. Ci siete solo voi, di Hutchinson?
— Ci sono Don ed Eva — gridò la signora Hutchinson. — Anche loro devono rischiare.
— Le figlie tirano con la famiglia del marito, Tessie — disse il signor Summers. — Lo sai.
— Non è giusto — ripeté Tessie, ostinata.
— Già — disse Bill Hutchinson. — Comunque, nostra figlia tira con la famiglia del marito.
— Ci sono altre famiglie di Hutchinson? — chiese il signor Summers.
— No. C'è solo la nostra. E in famiglia ci siamo solo noi due e i ragazzi.
— Quanti sono? — chiese il signor Summers, in tono ufficiale.
— Tre — rispose Bill Hutchinson. — Bill junior, Nancy e il piccolo Dave. Oltre a me e Tessie.
— Esatto — disse il signor Summers. — Harry, ti sei fatto ridare i biglietti?
Il signor Graves annuì e mostrò i fogli.
— Allora, mettili nella cassetta — disse il signor Summers. — Aggiungi quello di Bill.
— Dobbiamo ricominciare tutto — protestò la signora Hutchinson. — Non è giusto. Non lo hai lasciato scegliere. L'hanno visto tutti!
Il signor Graves aveva infilato i cinque fogli nella cassetta; ora gettò via gli altri, che vennero trasportati dal vento.
— Sentite, tutti... — continuava a protestare la signora Hutchinson, rivolta a coloro che le stavano vicino.
— Sei pronto, Bill? — chiese il signor Summers, e Bill Hutchinson, pallidissimo, annuì.
— Ricordate — riprese il signor Summers — prendete i fogli e teneteli piegati finché tutti non ne avranno preso uno. Harry, tu aiuta il piccolo Dave.
Il signor Graves prese per mano il bambino, che lo seguì, con orgoglio, fino alla cassetta nera.
— Prendi un foglio, Davy — disse il signor Summers.
Davy infilò la mano nella cassetta e rise.
— Solo un foglio — disse il signor Summers. — Harry, tienlo tu per lui.
Il signor Graves si fece dare dal bambino il foglio; Dave lo guardò senza capire.
— Adesso, Nancy — disse il signor Summers.
Nancy aveva dodici anni, e le sue compagne di scuola trattennero il fiato mentre prendeva un foglio dalla cassetta.
— Bill junior — disse il signor Summers, e Billy, rosso in faccia, per poco non rovesciò la cassetta nel prendere il foglio.
— Tessie — disse il signor Summers.
La donna rimase immobile per qualche istante, si guardò attorno con aria di sfida e poi serrò le labbra e prese un foglietto.
— Bill — disse il signor Summers, e Bill Hutchinson prese l'ultimo foglio dalla cassetta.
La folla taceva. Una ragazzina bisbigliò: — Spero che non sia Nancy — e tutta la folla prese a mormorare.
— Non è più come una volta — si lamentò nonno Warner. — La gente non è più quella di una volta.
— Va bene — disse il signor Summers. — Aprite i fogli. Harry, tu quello del piccolo Dave.
Il signor Graves aprì il foglio e tutta la folla sospirò nel constatare che era vuoto.
Nancy e Bill junior aprirono contemporaneamente i loro fogli, e infine sorrisero, sollevandoli al di sopra della testa.
— Tessie — disse il signor Summers.
Nessuno si mosse, e il signor Summers guardò Bill Hutchinson, che aprì il suo foglio e lo mostrò. Era vuoto.
— È Tessie — disse il signor Summers, a bassa voce. — Prendi il suo foglio, Bill.
Bill Hutchinson si avvicinò alla moglie e le tolse il foglio di mano. C'era un cerchio nero, il cerchio che il signor Summers aveva tracciato la sera prima nell'ufficio della sua ditta. Bill Hutchinson lo sollevò e per la folla corse un mormorio.
— Va bene — disse il signor Summers. — Finiamo in fretta.
Anche se la gente del villaggio aveva dimenticato il rituale e perso la cassetta originale, sapeva ancora come si usavano le pietre. La pila preparata in precedenza dai ragazzini era pronta, e per terra, oltre ai foglietti trascinati dal vento, c'era anche una buona scorta di ciottoli. La signora Delacroix prese una pietra talmente grande che dovette sollevarla con tutt'e due le mani, poi si girò verso la signora Dunbar.
— Andiamo — disse — sbrighiamoci.
La signora Dunbar aveva in mano alcuni ciottoli. Disse, ansimando: — Non posso correre. Va' avanti tu, io ti raggiungo.
I ragazzi avevano già preso le pietre, e qualcuno ne aveva data una anche al piccolo Davy Hutchinson.
Tessie Hutchinson era adesso in mezzo a uno spazio vuoto, e tendeva disperatamente le braccia mentre la gente del villaggio avanzava verso di lei.
— Non è giusto — protestò ancora. Una pietra la colpì sulla tempia.
Nonno Warner diceva: — Avanti, avanti tutti.
Steve Adams era tra i primi, e accanto a lui c'era la signora Graves.
— Non è giusto, non è giusto — gridò ancora la signora Hutchinson, e poi tutti calarono su di lei.

- Shirley Jackson1948 -

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