« Sogniamo. da parte nostra, su questa supposta parentela che il sogno ha con la scrittura, per non dire con la parola. Sicuramente, chi si sveglia prova un curioso desiderio di raccontarsi le cose, e cerca immediatamente un interlocutore mattutino renderlo partecipe delle meraviglie che ha vissuto, e a volte rimane un po' sorpreso del fatto che questo uditore non sia altrettanto meravigliato. Ci sono eccezioni tristi, ci sono sogni fatali, ma per lo più siamo felici dei nostri sogni, siamo orgogliosi di essi, di quell'orgoglio ingenuo che si addice agli autori che sono sicuri di avere successo, riguardo al sognare, opera originale, anche se neghiamo di essere in quei sogni per qualcosa. Tuttavia, bisognerebbe chiedersi se una tale opera vuole veramente essere resa pubblica, se ogni sogno cerca di essere divulgato, anche se tenta di nascondersi.
Nell'antichità sumera ci si raccomandava di relazionare, di raccontare i sogni: si trattava di liberarsi al più presto del loro potere magico. Raccontare, era il modo migliore per allontanare le loro conseguenze funeste, oppure si decideva di tracciare i segni caratteristici del sogno su una tavoletta di argilla che poi veniva scagliata in acqua: la tavoletta di argilla prefigurava il libro; l'acqua, il pubblico. Invece, la saggezza dell'Islam sembra essere più sicura di voler dare al sognatore il consiglio di scegliere bene coloro con cui confidarsi, e persino a mantenere segreto il sogno, piuttosto che consegnarlo incautamente: "Il sogno, si dice, è del primo interprete; non dev'essere riferito se non in segreto, come se ti fosse stato dato... E non devi dirlo a nessuno che è un brutto sogno".
Raccontiamo i nostri sogni per una necessità oscura: per renderli più reali, vivendo con qualcuno di diverso la singolarità che ad essi appartiene e che sembrano non essere destinati solamente ad uno, ma a più d'uno: per appropriarsene, costituendosi, grazie alla parola comune, non solo in padroni del sogno, ma anche come autori principali e appropriandosi così, con decisione, di quell'essere simile, anche se eccentrico, che siamo stati durante la notte. »
( Blanchot - Sognare, scrivere, in "L’amicizia", Marietti, 2010 - )
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