lunedì 25 novembre 2013

«Noi non votiamo, noi facciamo saltare le cose!»

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Paul Mattick, militante e teorico marxista, non ha mai scritto un'autobiografia, ma questo libro, appena pubblicato in Francia, si basa su una lunga intervista rilasciata nel 1976 e serve allo scopo, colmando quella che sarebbe stata una grave lacuna storica. Un racconto molto vivido che parla, prima, della sua giovinezza nella Germania della Grande Guerra e della rivoluzione, e poi delle sue esperienze militanti in quel paese e negli Stati Uniti. La forma orale viene ben restituita, ed il libro è corredato da numerosi documenti fotografici.
Mattick, figlio di un operaio sindacalista e comunista, fin da giovanissimo entra in contatto col movimento operaio. Racconta, a proposito della sua infanzia, le punizioni corporali subite a scuola, e le loro conseguenze: "la paura ci impediva di pensare e di apprendere". Parla anche delle devastazioni causate dall'alcol, riferendosi espressamente al padre. A proposito della prima guerra mondiale, descrive gli effetti del blocco militare sulla Germania: i bambini, fra quali egli stesso, erano costretti a rubare il cibo, per poter mangiare, e molti di loro alla fine morivano a causa della denutrizione e delle loro condizioni di vita, " Dopo il 1917 ed il 1918, ci sono vere e proprie epidemie di tubercolosi. Nel nostro stabile, più della metà dei bambini che ci vivevano ne sono morti."
Da adolescente, viene assunto come apprendista alle officine Siemens e milita nella Freie Sozialistische Jugend a Charlottenburg, una città confinante con Berlino che in futuro sarebbe stata da questa integrata. E' a partire dal novembre del 1918 che partecipa alla rivoluzione tedesca e si ritrova ad essere eletto come rappresentante degli apprendisti in un consiglio operaio. In seguito farà dei piccoli lavoretti qua e là, senza mai smettere la sua attività militante, e sfuggendo per un soffio alla morte durante il putsch di Kapp, nel 1920. Nel corso dell'ondata di scioperi che si verificherà negli anni seguenti, viene arrestato e detenuto per breve tempo. Mattick, a partire dal 1920 milita nel KAPD (Partito Comunista Operai di Germania), scissione di ultra-sinistra del Partito Comunista.
Il racconto non si sofferma in modo dettagliato su quest'organizzazione, che nel giro di pochi anni verrà decapita, riducendo i suoi aderenti a qualche centinaio - da decine di migliaia che erano. La descrizione di questo periodo, nelle parole di Mattick, si sofferma a raccontare come il riflusso rivoluzionario, fra le altre cose, possa portare i militanti verso la criminalità.
Nel 1926, Mattick parte per gli Stati Uniti, dove troverà lavoro, prima come meccanico, poi come attrezzista. Arrivato in Michigan, va a vivere a Chicago, dove aderisce agli IWW (Industrial Workers of the World) e si avvicina al Proletarian Party of America. In seguito, parteciperà alla scissione di questo partito, e si unirà a quello che prenderà dapprima il nome di United Workers Party, e poi Groups of Council Communists. Nel corso della seconda metà degli anni '30, col riflusso delle lotte sociali, questo gruppo sparirà.
Ma per Mattick quello che rimane essenziale è la lotta sociale diretta. In seguito alla crisi del 1929, "si cominciano a costituire assemblee di disoccupati, per lo più spontaneamente". Partecipa a questi movimenti di disoccupati, che cominciano ad occupare dei locali rimasti vuoti in seguito alla crisi e ad utilizzarli come luoghi di riunione e di solidarietà pratica. I disoccupati organizzati danno anche sostegno attivo ai lavoratori in sciopero, tenendo assemblee e partecipando ai picchetti. Allo stesso tempo, lottano contro gli sfratti degli inquilini morosi. Mattick, di tutto questo continua ad esserne entusiasta, nel 1976, al tempo dell'intervista, e dice che quello fu "un periodo meraviglioso, un periodo che ancora oggi mi appare in sogno".
E' alla fine di quel periodo, nel 1934, che Mattick, con i suoi compagni, fonda la rivista Internacional Council Corrispondence, che si pone in linea con gli altri Comunisti dei Consigli in tutto il mondo. A questa rivista seguirà, a partire dal 1938, Living Marxism, che nel 1942 cambierà la testata in New Essays. Nella sua difesa di un "marxismo vivente", per Mattick si tratta di "opporsi alla teoria bolscevica, al capitalismo di Stato". In effetti, queste riviste si iscrivono in una corrente marxista che non solo è anti-staliniana, ma anche anti-leninista, e che considera l'Unione Sovietica come l'esempio, fin dall'inizio, di una dittatura capitalista di Stato.
Il racconto di Mattick si interrompe al momento in cui la sua esistenza diventa un po' meno agitata, seppure ancora dedicata alla lotta contro l'oppressione capitalista; tanto che, quando ormai prossimo alla fine della sua vita, ad un giornalista televisivo che un giorno a Boston lo vuole intervistare, e gli domanda per chi avesse votato, risponde: «Noi non votiamo, noi facciamo saltare le cose!»

Paul Mattick, La Révolution fut une belle aventure. Des rues de Berlin en révolte aux mouvements radicaux américains (1918-1934), L’échappée, 2013, 191 pages, 17 euros. Préface de Gary Roth, postface de Laure Batier et Charles Reeve.

fonte: La Bataille socialiste

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ottima segnalazione, Franco. Mi riconosco molto nel percorso militante e politico di questo compagno...magari mi auguro di seguirlo più qua nel suo percorso esistenziale, perchè ancora non mi sento "pronto" a saltare nel buio! Ho messa questa rivista tra i siti preferiti perchè mi piacciono le schede sui libri anche comprarli sarebbe costoso. Gianni

BlackBlog francosenia ha detto...

I libri costano, ahimé, e quindi ci perdoneranno se qualcuno lo scarichiamo aggratis :-) Detto questo, non credo Gianni che si tratti di "saltare nel buio", quanto piuttosto di conservare ed affinare la capacità critica di riuscire a discernere cos'è che fa parte del problema da quello che fa parte della soluzione; e capirlo prescindendo da una sedicente appartenenza ad una corrente storico-politica piuttosto che un'altra. Tempo fa, con Oreste, capitò di discutere a proposito del fatto che bisognerebbe davvero avere il coraggio di resettare la situazione a quelli che erano i tempi della prima internazionale, e da lì ripartire, senza personalismi e buttando a mare per davvero quello che fa parte del "problema" (comunque esso si autodefinisca) e lavorare e lottare insieme a coloro che fanno parte della "soluzione".

Anonimo ha detto...

Franco, il mio "salto nel buio" si riferiva "al fine vita" ! Era una battuta e non una considerazione politica, tant'è che sono d'accordo con le considerazioni tue e di Oreste che più volte si è definito comunista libertario o comunista anarchico. Oggi ritengo fondamentale rinboccarsi le maniche e cominciare da principio, dai soviet, dai consigli, dall'autoganizzazione senza perdere di vista le differenze tra metodo leninista e metodo anarchico nella formazione di un rivoluzionario. Io provengo dal marxleninismo, dal troskismo che ho rifiutato venendo via da potere operaio e successivamente, come ben sai dalla "lobbi" anarchica, tornando ad impegnarmi nei vari collettivi e comitati. Tutto chiaro, no? Gianni

BlackBlog francosenia ha detto...

Chiarissimo! :-)