Nel suo ultimo saggio, pubblicato nel mese di marzo di quest'anno, "Les mystères de la gauche" (I misteri della sinistra), con il sottotitolo "dall'illuminismo al trionfo del capitalismo assoluto”, Jean-Claude Michéa riprende la formula di Castoriadis secondo cui "è da molto tempo che il divario fra la destra e la sinistra, in Francia come altrove, non corrisponde più né ai grandi problemi del nostro tempo né a delle scelte politiche radicalmente opposte." Una valutazione assolutamente banale che però non sembra poi così condivisa a sinistra. Precisa l'autore, che il suo saggio trae origine da uno scambio epistolare con un militante del PCF/Front de gauche per il quale solo "la sempre più crescente indignazione della gente comune" (Orwell) nei confronti di una società sempre più amorale, ineguale ed alienante, può essere la cifra esclusiva della sinistra.
Ragion per cui, non sembra inutile a Michéa ricordare, fin dalle prime pagine - e sotto forma di invito a valutare la cosa -, che "né Marx né Engels si sono mai sognati, nemmeno una sola volta, di definirsi come uomini di sinistra"; aggiungendo inoltre che quando sono arrivati a fare uso di un tal genere di terminologia, per loro "la destra designa l'insieme dei partiti che rappresentano l'interesse (a volte contraddittorio) della vecchia aristocrazia terriera e della gerarchia cattolica. Mentre la sinistra , essa stessa molto divisa, costituisce il punto di incontro politico della classe media, della grande borghesia industriale e liberale - che di solito ha sposato i principi delle "libertà necessarie" di Adolphe Thiers - e fino alla piccola borghesia repubblicana e radicale.
Messa così, allora rimane da piazzare sulla scacchiera il movimento operaio socialista, in opposizione sia tanto alla "vecchia destra monarchica e clericale di un Joseph de Maistre", quanto alla "giovane sinistra liberale e repubblicana di un Benjamin Constant, di un Frédéric Bastiat o di uno John Stuart Mill".
Ed è proprio "nel contesto specifico dell'affare Dreyfus" che Michéa colloca l'inizio della dissoluzione della "specificità originale del socialismo operaio e popolare dentro quello che oramai viene chiamato il 'campo del progresso'", con una dinamica che la porterà a passare rapidamente sotto le bandiere della "filosofia dei lumi", creando in tal modo quella che può essere considerata "la genealogia rimossa della sinistra del XX secolo".
Quindi Michéa passa a rinfrescare la memoria del lettore di sinistra contemporaneo, ricordandogli che "le due più feroci e micidiali repressioni di classe che si sono abbattuti, nel corso del XX secolo, sul movimento operaio francese sono state operate, ogni volta, da un governo liberale e repubblicano (dunque di sinistra, nella prima accezione di questo termine):
1) le giornate del giugno 1848
2) con Thiers nel 1871, la Comune di Parigi
L'autore de "L’empire du moindre mal" (L'impero del male minore) continua e insiste: "Si è così compiuta la maggiore operazione filosofica che ha permesso, in un tempo estremamente breve" la conversione della sinistra al liberalismo economico, politico e culturale e che affonda le sue radici in "questa metafisica del Progresso e del 'Senso della Storia' che ha definito, dopo il XVIII secolo, il nocciolo duro di tutte le concezioni borghesi del mondo".
Appoggiandosi a tal fine al socialismo cosiddetto scientifico (versione dogmatica e semplificata del marxismo originale) che si è caratterizzato per:
1) Un modo di produzione capitalista come costitutivo di una "tappa storicamente necessaria tra il modo di produzione feudale e la società comunista futura".
2) La convinzione che la grande industria "ha rappresentato il solo modello organizzativo della produzione - agricoltura compresa - capace di soddisfare le esigenze di una società comunista.
"Questa fede religiosa in un senso della storia e del progresso materiale illimitato" produrrà tre conseguenze:
1) La valutazione negativa delle tradizionali classi medie viste come reazionarie, perché cercano di "far girare al contrario la ruota della storia". E inoltre, "la celebrazione continua, da parte dei nuovi dirigenti dei partiti marxisti europei, del progresso tecnologico ad ogni costo non poteva che allontanare sempre più tali categorie sociali". E, "questa miope politica progressista ha spinto poco a poco queste classi medie tradizionali a rifugiarsi sotto l'ala protettrice della destra conservatrice dell'epoca (evidentemente, assai più lucida sulle ambiguità del progresso)".
2) L'abbandono delle analisi di Marx, in particolare quella per cui "la ricchezza delle società dove regna il modo di produzione capitalista si realizza come un'immensa accumulazione di merci" e dunque tale corollario si può riassumere nella formula di John Ruskin: "le merci non vengono fabbricate in funzione della loro utilità, ma solo al fine di essere vendute". Da cui le crisi ricorrenti dei mercati che hanno per conseguenza la trasformazione della società in società dei consumi ("perciò basata principalmente sul credito - in altre parole, sull'indebitamento strutturale del sistema)" E questo si tradurrà nella creazione senza sosta di nuovi pseudo bisogni e nel dogma della crescita perpetua.
3) La liquidazione dei fondamenti stessi del progetto socialista per sostituirgli gradualmente questa ideologia della libertà pure che rende tutti uguali, e che costituisce il marchio di fabbrica della filosofia liberale.
Il termine 'socialismo', introdotto da Pierre Leroux, intendeva opporsi all'ascesa di un individualismo generalizzato. Da qui, la propensione dei socialisti originari, argomenta Michèa, "a mantenere un'immagine del passato e delle civiltà anteriori molto meno negative, in generale, rispetto a quelle proposte dai liberali". Si può perfino arrivare a dire che "se questi pensatori si opponevano con tanta energia all'ideologia liberale, era soprattutto perché quest'ultima si fonda su una concezione della libertà individuale che conduce necessariamente, ai loro occhi, a dissolvere l'idea della vita comune".
Questo perché per un liberale (Benjamin Constant), "tutte le forme di appartenenza o d'identità che non sono state liberamente scelte da un soggetto, sono potenzialmente oppressive e discriminanti"; così anche la nozione di famiglia, di lingua materna o di paese d'origine.
Michéa vede, in questa rappresentazione fantasmatica (simbolizzata dall'uomo che si è fatto da solo e che non deve niente a nessuno) caratterizzata da "l'elogio liberale dell'individualismo assoluto", uno sdradicamento integrale, un'atomizzazione del mondo, che rappresenta le idee della "guerra di tutti contro tutti" e della "disintegrazione dell'umanità in monadi". Va sottolineato come la critica socialista di questa idea, a proposito di un'umanità ridotta in monadi, recupera in parte quella della destra tradizionale francese (ma non per gli stessi motivi).
Nel saggio, si arriva così alle tensioni contraddittorie del progetto socialista contemporaneo che vede, da una parte, una corrente erede dell'Illuminismo ("la più parte degli enciclopedisti approvarono con entusiasmo le nuove idee liberali, tanto sul piano politico quanto su quello economico") e della Rivoluzione francese, e, dall'altra, una critica radicale "di questo nuovo mondo liberale e industriale".
E se il socialismo originario, per usare la terminologia di Hayek, è "una reazione contro il liberalismo della Rivoluzione francese, si troverà ben presto invischiato nella definizione liberale della libertà, vista essenzialmente come "proprietà puramente privata inerente all'individuo isolato".
Ed è qui che interviene il concetto di "Common decency", ripreso da Orwell e caro a Michéa, per mezzo dell'evocazione di Mauss e della "logica dell'onore e del dono (base di ogni rapporto reale di fiducia, reciproca e di amicizia), logica che, una volta sviluppata in senso moderno (ossia, in modo da dare il suo giusto posto alla cura di sé ed al legittimo bisogno di solitudine e di intimità) definisce il principio ed il punto di partenza obbligato di ogni coscienza morale."
Nessun commento:
Posta un commento