giovedì 7 novembre 2013

Il diritto al crimine

lacenaire

Dice Lacenaire: « Arrivo alla morte per una cattiva strada, ci arrivo salendo una scala ».
Disertore e falsario in Francia, assassino in Italia, poi ancora ladro e assassino a Parigi, occupato senza tregua, come scrive egli stesso, a « meditare sinistri progetti contro la società ». Lacenaire dedica i pochi mesi che  precedono l'esecuzione a redigere le sue Mèmoires, révélations er poésies, e si adopera in ogni modo per fare del suo processo uno spettacolo. Le ombre delle sue vittime: dello Svizzero di Verona, di un suo vecchio compagno di cella, Chardon, e della madre di quest'ultimo, come pure l'immagine dell'esattore che cercò di derubare ed uccidere, non lo distolgono neanche per un attimo dall'atteggiamento distratto, e insieme divertito, che conserva fino alla fine delle udienze. Per nulla preoccupato di salvarsi la testa, si concede un ultimo gioco crudele, infierendo contro i suoi complici intenti a difendersi, e si limita, per quanto lo riguarda, a cercare di fornire una giustificazione materialista dei suoi delitti. Dal punto di vista morale, sembra non esservi mai stata coscienza più tranquilla di quella di questo bandito.
Alla vigilia della morte, prende in giro i preti che lo importunano, i frenologi e gli anatomisti impazienti di esaminare il suo caso, e confessa di essere soggetto a « qualche piccola crisi di malinconia » che lo « diverte »; la notte, attraverso le sbarre della cella, « quasi quasi faccio cucù al secondino ».
Un critico, nel celebrare recentemente il centenario di una famosa opera di Balzac, ha potuto scrivere: « Nel 1836, quando il libro esce, è accolto freddamente e quasi denigrato dalla stampa; la grazia del Lys dans la valléè non viene immediatamente apprezzata dal pubblico, ancora follemente infatuato di Lacenaire, l'elegante assassino in finanziera blu, poeta di corte d'assise e teorico del "diritto al crimine" ».

- André Breton - Antologia dello humour nero -

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