Lo scrittore Robert Louis Stevenson propone un Elogio dell'ozio (si può leggere e/o scaricare da qui) che si iscrive in una critica radicale del lavoro e dello sfruttamento capitalista. L'opuscolo, pubblicato per la prima volta sul Conrhill Magazine nel 1877, descrive il contesto dello sviluppo industriale dell'Inghilterra, con il suo lavoro in fabbrica e con la sua miseria sociale. La critica, del tutto pertinente ed attuale, denuncia una società di specialisti nella quale ciascuno rimane confinato nella sua piccola attività separata. Il rifiuto del lavoro provoca l'emarginazione di coloro che non vogliono sottomettersi alle regole.
Il romanziere, altresì, sviluppa una critica della scuola: la sottomissione alla disciplina scolastica lascia assai poco tempo per pensare, con le sue ore monotone perse a sonnecchiare in classe. La scuola della strada e della vita permette invece una scoperta sensuale del mondo, contro ogni scienza ufficiale, fredda e noiosa. La scuola serve soprattutto per imparare la disciplina, quando invece l'ozio permette di sviluppare immaginazione e creatività. E' l'arte di vivere, la materia di studio più appassionante e indispensabile.
Per Stevenson, è il diritto ad essere inattivi che contrassegna la coscienza della propria identità, mentre, al contrario, il lavoro consiste nel rinchiudersi nella routine e nella noia. Coloro che lavorano sono passivi e vuoti, non sono curiosi di niente, non si lasciano mai prendere da quello che il caso mette sul loro cammino e non traggono alcun piacere dall'esercitare gratuitamente le loro facoltà. Hanno un rapporto distaccato, comatoso, con la loro stessa propria esistenza, preoccupati solo degli affari e del rispetto della professionalità.
Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
domenica 24 novembre 2013
Lavorare stanca!
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