mercoledì 26 giugno 2013

Orlov

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Stalin non aveva dubbi circa il come poteva essere risolto il problema spagnolo nella maniera più efficace: assassinare Francisco Franco. Ed in tal senso, l'Unione Sovietica inviò almeno tre spedizioni sul territorio controllato dal bando nazionalista, per portare a termine questa missione. La prima, nella primavera del 1937, era comandata da Grigori M. Semiónov, ufficiale dell'Intelligence; con lo stesso compito, venne inviato il giornalista inglese del Times, Kim Philby, in qualità di corrispondente di guerra presso l'esercito di Franco, sebbene i servizi sovietici fossero a conoscenza del fatto che Philby non era in grado di uccidere il generalissimo. La terza opzione aveva il nome di Elli Bronina, moglie di una spia sovietica a Shangai. Non serve sottolineare che tutte queste operazioni fallirono. Anche perché, per Stalin, l'eliminazione di tutti i trotskisti, reali o immaginari, godeva di una priorità assai superiore all'eliminazione di Franco. Una logica terrificante, quella di Stalin, secondo la quale per combattere con successo il nemico, bisognava prima farla finita col "nemico interno". A tal fine, inviò in Spagna Lev Nikolsky, alias Alexander M. Orlov.
Le azioni, i piani e le peripezie di Orlov in Spagna nel 1936, 1937 e 1938, come capo della NKVD (polizia segreta precedente al KGB) sono state indagate da Boris Volodarsky, storico russo ed ex-agente del servizi segreti, in "El caso Orlov", un'opera di una precisione e di un'ampiezza senza precedenti, sull'attività dei servizi segreti sovietici in Spagna.

orlov libro

Nel 1936, quando sbarcò in Spagna, Orlov aveva 41 anni e la valutazione dei suoi servizi, durante la guerra civile, può essere definita, senza dubbio, come disastrosa. Nonostante ciò, c'era un settore in cui Orlov non fallì: l'assassinio selettivo dei trotskisti, considerati da Stalin come i peggiori nemici. Nel 1936, il Comitato Esecutivo del Comintern (ECCI) comunicava al Partito Comunista Spagnolo (PCE): "Succeda quel che succeda, dobbiamo garantire la distruzione dei trotzkisti, indicandoli alle masse come un servizio segreto fascista che realizza azioni di provocazione al servizio di Hitler e del generale Franco per cercare di dividere il Fronte Popolare conducendo una campagna diffamatoria contro l'Unione Sovietica".
L'omicidio selettivo veniva utilizzato, comunque, in rare occasioni ed era sempre strettamente coordinato da Mosca. Il numero di vittime della NKVD, in Spagna, "con quasi assoluta certezza, non superò mai le venti persone", così come il numero degli agenti in Spagna rimase limitato a dieci. "La quantità di vittime del KGB/NKVD nel corso della guerra civile spagnola, non può essere paragonato, neppure lontanamente, con quelle della Polonia (nel 1939-41), della Finlandia (1939-40), dell'Austria (1945-55), dell'Ungheria (1956) o dell'Afghanistan (1979) - annota lo storico, il quale aggiunge che questi omicidi "non avvennero mai a beneficio della Repubblica spagnola" ma " sempre in difesa degli interessi del Cremlino."
Nel libro, vengono segnalate, fra le vittime, Dmitry Navashin (a Parigi), Brian Goold-Verschoyle (sequestrato a Barcellona, e morto in campo di prigionia in Russia), Marc Rein (morto in Spagna), Hans Freund (Moulin), Ignatz Reiss (scomparso in Svizzera), Kurt Landau, il generale Skoblin (un agente della NKVD morto a Barcellona), Georges Agabekov (un ufficiale sovietico di alto rango che disertò, poi arrivò in Spagna e venne assassinato) e il leader del POUM, Andreu Nin.
Viene chiarito, dallo storico, l'inizio dell'odio, da parte del Comintern/PCE, nei confronti del POUM. Alla fine del 1936, il POUM denunciò pubblicamente le esecuzioni in Unione Sovietica di Kamenev, Zinoviev e degli altri vecchi bolscevichi. Inoltre, i repubblicani, i socialisti e i comunisti credevano che la difesa delle milizie rivoluzionarie, fatta dalla CNT e dal POUM, stesse minando lo sforzo bellico. Poi, la goccia che fece traboccare il vaso, per Stalin, fu l'invito, fato da Nin, capo del POUM, a Trotsky, allora in esilio in Norvegia, di andare a Barcellona. Con questo gesto, venne sigillato il destino del partito e dello stesso Nin.
"Il fatto di accusare Nin, e qualche altro dissidente, di essere un trotskista, era dovuto, non all'importanza dei trotskisti, ma all'abitudine oramai acquisita, da parte dei comunisti, di denunciare come troskista chiunque non fosse d'accordo con loro su una qualsiasi cosa".
Il 23 maggio del 1937, Orlov comunicò il suo piano per farla finita con Nin e con il POUM. Bisognava aspettare l'approvazione di Mosca. Qualche giorno dopo, Mosca diede il sì definitivo. Il piano di Orlov consisteva nell'elaborare un falso documento che rivelasse la collaborazione dei dirigenti del POUM con la Falange e, di conseguenza, con Franco e con la Germania di Hitler.
"Codificheremo il contenuto del documento, utilizzando il codice segreto di Franco, che abbiamo a disposizione, e lo scriveremo sul retro del documento" - scrive Orlov a Mosca.

orlov PoumLeadership

Il testo compromettente per il POUM sarebbe stato scritto con inchiostro simpatico ed inviato ai servizi di controspionaggio del governo della Repubblica che avrebbe arrestato Nin come traditore e per essere stato parte fondamentale nella sollevazione franchista. Il risultato è noto: il sequestro, l'interrogatorio e l'assassinio di Nin.
"La data esatta della morte di Nin, probabilmente non verrà mai conosciuta, ma con ogni probabilità venne assassinato dopo il 22 giugno del 1937" - scrive Volodarsky.
Il 16 giugno 1936, Nin stava preparando il congresso del POUM, che doveva svolgersi di lì a tre giorni. La sera venne avvertito, in due occasioni, che la sua vita era in pericolo. "Non ne avranno il coraggio!" - contestò, ridendo, Nin, al secondo avviso. Pochi minuti dopo venne arrestato vicino al palazzo della Virreina e subito trasferito nella sede della Gioventù Comunista Iberica, al Paseo de Gracia. Poi, fu portato a Valencia, e da lì a Madrid, dove venne imprigionato nel centro di detenzione di Atocha. Ma si vede che la prigione non dava abbastanza garanzie di sicurezza, perciò il leader del POUM venne portatp in una casa ad Alcalá de Henares, cittadina nei pressi di Madrid, dove venne interrogato in segreto per due o tre giorni.
"Orlov era sicuro che il suo piano avrebbe funzionato e che, sotto costrizione, Nin finalmente sarebbe crollato e avrebbe confessato, firmando la confessione che aveva già pronta. Però il capo del POUM stava ancora nel suo paese, circondato dalla sua gente, gli agenti della polizia repubblicana, dai quali non aveva niente da temere" - assicura lo storico, che aggiunge essere "ovvio" che durante questa fase Nin non venne torturato.
E' a questo punto che Orlov organizza lo spettacolo finale. Un gruppo di uomini in uniforme, con ordini firmati dal generale Miaja e dal colonnello Ortega, entrano nella casa, ordinando che venga loro consegnato il prigioniero. Questo gruppo neutralizza le guardie e si porta via Nin, lasciando dietro di sé una scia di false prove in grado di collegare la "liberazione di Nin" ai fascisti di Franco e ai nazisti tedeschi. Gli aggressori, invece, erano lo stesso Orlov, Grigúlevich, Tacke, Nezhinsky e due spagnoli identificati come "L" e "AF".
"Nin andò via senza opporre resistenza e si sedette al suo posto sulla macchina che si diresse a sud-est, verso Perales de Tajuña. Dopo circa venti chilometri, il veicolo si fermò. Non si sa, e probabilmente non si saprà mai cosa accadde lungo la strada, se i rapitori e la vittima scambiarono qualche parola".
Alla fine, "il gruppo arrivò a destinazione e, secondo Victor, l'autista, si addentrò per cento metri in un campo. Quasi certamente fu Grigúlevich che sparò a Nin". Secondo lo storico, il motivo dell'assassinio di Nin è dovuto al fatto che era diventato un testimone scomodo, al punto che "non c'era altra scelta che ucciderlo". Dopo la sua morte, a differenza di quanto viene sostenuto da altri storici, non ci sarebbe stata un'offensiva stalinista e nessuno dei circa mille detenuti del POUM venne accusato di spionaggio.
"Non bisogna dimenticare che Madrid non era Mosca e che i dirigenti repubblicani non erano affatto come Molotov e Kaganovich" - sentenzia Vodolarsky.
Poi, lo storico continua, assicurando che "Stalin non aveva alcuna intenzione, né l'interesse, né la possibilità, di sovietizzare o stalinizzare la Spagna, come affermano alcuni autori. Non era interessato ad una Spagna comunista, poiché questo avrebbe pregiudicato le sue opportunità di negoziare con Inghilterra e Francia".
Gli interessi di Stalin nella guerra civile spagnola, spiega Vodolarsky, risiedevano più nell'opportunità storica di guadagnarsi la simpatia di milioni di persone nel mondo, per incrementare il saldo commerciale dell'URSS, e nell'utilizzare la guerra civile come campo per sperimentare nuovi aerei e carri armati, tattiche, strategie ed operazioni speciali a fronte della II guerra mondiale e, soprattutto, sapere con quali armi l'avrebbero combattuta i suoi nemici.

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