Il difficile nella riflessione sull'abitare è che da una parte vi deve essere riconosciuto ciò che è antichissimo - forse eterno -, l'immagine del soggiorno dell'uomo nel grembo materno; e che d'altra parte, malgrado questo motivo storico-originario, nell'abitare deve essere compresa, nella sua forma più estrema, una condizione di esistenza del XIX secolo.
La forma originaria di ogni abitare è il vivere non in una casa, ma in un guscio. Questo reca l'impronta di chi vi abita. Nel caso più estremo l'abitazione diventa guscio. Il XIX secolo è stato come nessun altro morbosamente legato alla casa. Ha concepito la casa come custodia dell'uomo e l'ha collocato lì dentro con tutto ciò che gli appartiene, così profondamente da far pensare all'interno di un astuccio per compassi in cui lo strumento è incastonato di solito in profonde scanalature di velluto viola con tutti i suoi accessori.
Per che cosa non ha inventato gusci, il XIX secolo! Per orologi da tasca, pantofole, uova, termometri, carte da gioco. E, in mancanza di gusci, copertini, tappeti, rivestimenti e fodere. Il XX secolo con la sua porosità, la sua trasparenza e la sua inclinazione alla luce e all'aria aperta, la fa finita con l'abitare nel vecchio senso della parola. Alla stanza delle bambole nell'appartamento del costruttore Solness, si contrappongono le "dimore per gli esseri umani". Lo Jugendstil ha scosso in modo radicale il concetto di guscio.
Oggi questo concetto è morto del tutto e l'abitare si restringe: per i vivi, con le camere d'albergo; per i morti, con i crematori.
Walter Benjamin
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