venerdì 2 novembre 2012

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Bronislaw Baczko, in un suo articolo intitolato "Paradiso e Utopia", constata le frequenti associazioni fra Paradiso terrestre ed utopia, ed afferma che "assimilare l'utopia ad una versione laicizzata del Paradiso, è diventato praticamente un cliché". Alcuni osano persino comparare il simbolismo dei miti giudaico-cristiani con l'idealità del marxismo. Il Giardino dell'Eden, ovvero l'età d'oro dell'umanità, trova una trascrizione nell'ideologia naturalista anti-urbana - e qui si pensa all'equilibrio ideale fra città e campagna - e nell'idealizzazione della società pre-agricole primitive che suggeriscono l'idea di comunità autonome, tematica centrale di certe correnti anarchiche e libertarie, introdotte dal principe Kropotkin.
La concezione cristiana del Paradiso non è affatto spirituale o simbolica: il Paradiso comporta una realtà autentica e fino al XVII secolo, al Regno dei Cieli corrisponde l'esistenza - da qualche parte - di un Paradiso terrestre, assimilato al Giardino dell'Eden, o delle Delizie, che esiste al di là di ogni dubbio per la quasi totalità dei credenti e delle menti più erudite; lo storico Jean Delumeau insiste sul fatto che la stessa parola "paradiso" evoca un giardino, termine ripreso dal persiano "pardez" (giardino chiuso) che si è trasmesso al greco "paradeisos"  e poi al latino cristiano "paradisus".
Il paradiso terrestre sarebbe perciò un giardino - il giardino dell'Eden - circondato da un muro di protezione dove si troverebbe l'Albero della Conoscenza del bene e del male e l'Albero della Vita, che dà l'immortalità, e solo la sua localizzazione terrestre e la sua estensione sono stati oggetto di discussioni e di domande. Sono state organizzate delle spedizioni per la sua ricerca; San Malo insieme a San Brendan tentò, su una fragile imbarcazione, la ricerca del Paradiso terrestre, se si dà retta ad una storia che racconta di sette anni di peregrinazione attraverso l'oceano (dal 550 al 557 d.C.). Parimenti, dopo la scoperta dell'America, si ammise che alcune regioni dalla vegetazione lussureggiante erano sicuramente uno dei luoghi del Paradiso perduto; la città d'Oro non era forse quella del mito? E gli indigeni, questa "giovane umanità", i discendenti di Adamo ed Eva.
Delumeau avverte che una storia semplificata del paradiso, vale a dire suddivisa in tempi cronologici troppo rigidi, non è possibile. La decostruzione del paradiso - celeste e terrestre - non è un fenomeno recente. Era già al lavoro nei testi fondatori; e se c'era pericolo di fare confusione, il pericolo si riduce nel corso dei secoli. Già qualche scettico degli albori dell'era cristiana denuncia l'idea materialista del Paradiso terrestre, ma è solo a partire dal XVII secolo, col progredire degli studi scientifici, che l'idea di un Paradiso terrestre verrà progressivamente abbandonata - col rischio di scomunica - a favore del Paradiso celeste. Gli artisti del Barocco di quest'epoca cessano di rappresentare il giardino delle Delizie, a favore dell'ascensione al regno celeste. L'evocazione, e non più la rappresentazione, del Paradiso si elabora lungo il passaggio da una visione del paradiso come luogo (topos) a quella di un paradiso come non-luogo (Utopos). Il mito del paradiso terrestre tende a sparire, e le scoperte di Galileo, di Copernico e di Cartesio pongono la questione del paradiso celeste e del "proporre un luogo proprio al soggiorno dei beati, volgarmente chiamato paradiso ..." - secondo Diderot.

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Pertanto, il Paradiso terrestre, rappresentato tradizionalmente per mezzo di una natura generosa, abbondante e protettrice, finisce per influenzare una corrente di pensiero dei progressisti del XVIII secolo, che idealizzano i benefici e le virtù di una natura selvaggia contro, fra l'altro, i vizi delle grandi città, che stanno conoscendo proprio allora la prima età dell'industrializzazione. L'ideologia naturalista, esprimendo una concezione anti-urbana, si va a legare al mito del Paradiso terrestre, tratto d'unione fra gli innumerevoli racconti, a partire dall'Utopia di Tommaso Moro, che rappresentano, per lo più, delle comunità che vivono nell'armonia e nella giustizia sociale. La scomparsa, verso un orizzonte che si è fatto sempre più lontano, di un paradiso che una volta era assai prossimo, spinge molti autori a creare dei paradisi artificiali, non ultimi quelli più tardivi, cari a Baudelaire. Parallelamente alla voga dell'esaltazione dello stato di natura e alla sua propria critica della modernità, Rousseau sfrutterà anche il mito del buon selvaggio. Una tematica che, più tardi, si rivelerà fondamentale per le numerose correnti anarchiche e libertarie.
L'ideologia naturalista, teorizzata nel secolo dei Lumi, troverà nell'America del XVIII secolo un appropriato campo di applicazione, sostenuto dal presidente Thomas Jefferson - che si ispira a Rosseau - che cerca di orientare la società verso una politica agricola e anti-urbana, in opposizione al capitale industriale e finanziario urbano, allora nascente. L'economia basata sull'agricoltura, il sistema democratico basato sull'autonomia conferita agli organi eletti a livello locale e regionale, la politica di restrizione dello sviluppo dell'industria, sono sintomi della paura di Jefferson di fronte ai processi innescati dalla Rivoluzione; egli teme i pericoli di involuzione e che la competizione capitalista, lo sviluppo delle città , la nascita e la crescita del proletariato urbano, trasformino la democrazia in un nuovo autoritarismo. Poiché Jefferson è contro la città e contro lo sviluppo dell'economia industriale, tenta di opporsi alle conseguenze economiche iscritte dentro la logica della Democrazia. Jefferson si propone di perseguire la "resurrezione dei morti" - tanto per riprendere le parole di Marx - inventata dall'Europa dei Lumi al momento della crisi rivoluzionaria. Jefferson, schiavista e razzista nei confronti degli afro-americani, sarà tuttavia uno dei più grandi difensori delle tribù dei nativi: nel 1805, nel suo secondo discorso inaugurale, dichiara solennemente che gli Indiani devono essere trattati allo stesso modo dei Bianchi. Le trasformazioni dell'immaginario paradisiaco nella cultura cristiana prendono come contro-esempio le nascenti città industriali e l'inferno dei tenebrosi quartieri operai, la dissolutezza dei corpi dei diseredati, i costumi depravati delle prostitute e dei loro clienti. Si fa avanti, così, l'età degli utopisti e dei riformatori sociale, ma anche dei rivoluzionari, i veri eredi dell'idea di un paradiso terrestre. Marx ed Engels proporranno l'idea di un equilibrio fra città e campagna, non senza suggerire la terapeuticità della natura e l'inumanità delle grandi metropoli.
Ma saranno i libertari e gli anarchici che, alla fine del XIX secolo, manifesteranno un grande interesse per gli studi - concernenti le società primitive - dei primi etnologi, geografi e viaggiatori libertari, prendendoli come modello ideale di una società rurale pre-capitalista o, per i più radicali, pre-agricola, tutte anti-autoritarie. I fratelli Elia ed Eliseo Reclus, il principe anarchico Pietro Kropotkin, studiano alcune società primitive e, in Nuova Caledonia, Charles Malato e Louise Michel, condannati al bagno penale, sostengono l'insurrezione dei Kanak, facendo opera antropologica ed etnologica con lo studiare la loro lingua e i loro costumi, e scrivendone in delle pubblicazioni riservate. Nel mentre, lo scrittore libertario russo, Leone Tolstoj, scomunicato nel 1901 e che si ispira ad un ideale anarco-cristiano, si appella al messianesimo rivoluzionario: "Credo che in questo preciso momento sia cominciata la grande rivoluzione, che si prepara da 2.000 anni dentro il mondo cristiano, la rivoluzione che sostituirà al cristianesimo corrotto, e al regime di dominazione che ne consegue, il vero cristianesimo, base di eguaglianza tra gli uomini e di vera libertà, cui aspirano tutti gli esseri dotati di ragione".

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Il Medioevo, praticamente all'unanimità, ritiene, con San Tommaso d'Aquino, che il paradiso terrestre, proibito a causa del peccato originario, continui ad esistere sulla nostra terra. Molte mappe medievali, lo situano in un luogo all'estremo Oriente ed è per tale motivo che mettono l'Est in alto. Lo immaginano come una città dalle alte mura d'oro, un regno dove gli eletti contemplano Dio e conoscono l'eterna felicità, un luogo di cui i veggenti hanno descritto le cose sorprendenti, descrizioni di bellezze che hanno ispirato, per secoli, illustratori, pittori, scultori e musicisti.
La posizione esatta rimane sconosciuta, ma i fiumi, menzionati nella Genesi - Gange, Nilo, Tigri ed Eufrate - si originano all'interno del paradiso terrestre. Poi, dopo un percorso sotterraneo, risalgono in superficie, nei luoghi delle loro sorgenti conosciute. Isidoro, vescovo di Siviglia nel VII secolo, riteneva che il paradiso terrestre fosse in Asia, circondato da un anello di fuoco che raggiungeva il cielo. Nel mappamondo di Hereford (1.300 ca.) è data una rappresentazione del giardino dell'Eden; che si trattasse di un'isola in mezzo all'Oceano si accordava con l'idea che si trovasse al di là del mondo abitato, situato nella parte settentrionale del globo, a sua volta circondata dal mare. Il simbolo dell'isola esprimeva anche la dimensione fondamentalmente "altra" dell'Eden, che era diverso dal mondo ordinario. Ma le posizioni sono talmente numerose che nel 1691 venne pubblicato un "Trattato della situazione del Paradiso Terrestre":
"E' stato posto nel terzo cielo, nel quarto, nel cielo della Luna, nella regione media dell'aria, sotto terra, in luoghi segreti lontani dalla conoscenza degli uomini. E' stato posizionato sotto il Polo Artico ... sulle rive del Gange o nell'isola di Ceylon, facendo anche derivare il nome delle Indie dalla parola Eden ...Da parte di altri in America, altri in Africa sotto l'Equatore, altri ancora nell'Oriente dell'Equinozio, altri sulle montagne della Luna, da dove credevano che sgorgasse il Nilo; la maggior parte in Asia, gli uni nell'Armenia maggiore, gli altri nella Mesopotamia o in Assiria, o nella Persia, o nella Babilonia, o in Arabia, o in Palestina. Si è perfino voluto fare onore alla nostra Europa, cosa che oltrepassa il limite dell'impertinenza".
Il Rinascimento, e poi l'età classica, abbandoneranno progressivamente questa geografia paradisiaca. Al contrario, più di prima, gli eruditi tenteranno di situare più vicino il luogo dove Dio aveva piantato il giardino dell'Eden, e la loro erudizione si sforzerà di eliminare le localizzazioni fantasiose.
"Così tanti eruditi" - annota a metà del XVII secolo  il prete siciliano Agostino Inveges - "hanno scritto a proposito del paradiso terrestre che il numero dei volumi redatti sulla questione è pressoché infinito; cosicché il paradiso potrebbe essere definito un labirinto, piuttosto che un giardino!"
E' il Rinascimento che mobilita i saperi del suo tempo per fare più luce possibile sul paradiso delle origini. Un approccio multidisciplinare che fa anche uso di tutte le informazioni che l'erudizione dell'epoca poteva trarre dalle lingue antiche conosciute, in particolare l'ebraico, ma anche dalla storia, esaltata dalla cultura umanista, e dalla geografia, rinnovata per mezzo dei viaggi e delle scoperte. Così le migliaia e migliaia di pagine che vennero consacrate al giardino dell'Eden furono il prodotto di inchieste che volevano essere rigorose e tecniche, e che accumulavano citazioni, riferimenti e, allo stesso tempo, usavano le conoscenze più recenti per chiarire in modo definitivo l'inizio dell'umanità.
Si può parlare, quindi, di una "razionalità" e di una "scientificità" dei numerosi lavori che hanno assunto il paradiso terrestre come oggetto storico!
Raleigh, all'inizio della sua "Storia del mondo", se la prende con quelli che parlano di paradiso terrestre senza alcun riguardo per la geografia e senza rispetto per l'est e per l'ovest, senza considerare il luogo dove Mosè ha scritto, ed a partire dal quale ci ha indicato il cammino per ritrovare il posto del giardino dell'Eden. Raleigh critica anche quelli che trattano simili questioni senza conoscere l'ebraico. Una precisione che testimonia di uno spirito assai differente da quello del Medioevo. Si cerca di ripulire le leggende, di farla finita con le localizzazioni fantasiose, si cerca di stabilire con esattezza la cronologia dei giorni della creazione, e di fissare, con altrettanta certezza il momento del peccato originale. Se ne può ridere, oggi, dell'enormità di simili ambizioni, ma questo era il lavoro a cui si erano votate le migliori intelligenze di quei tempi.
Intanto, col passare degli anni, dei secoli, e, considerato che l'Eden non si trova, comincia a farsi strada, sempre più, la tesi che il paradiso terrestre non sia sopravvissuto al diluvio universale. Un buon escamotage, non c'è che dire!

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La convinzione del gesuita spagnolo Juan de Pineda, che difende, come Goropius, la dottrina che assimila il paradiso terrestre alla terra intera, è particolarmente interessante; in seguito, verrà ripresa e si farà corrispondere il paradiso terrestre ai tempi mitici in cui gli uomini vivevano della generosità divina. I cacciatori e i raccoglitori, detti "primitivi", vivevano senza sofferenza, in opposizione al "lavoro" dell'agricoltura che i popoli "civili" hanno l'obbligo di svolgere, come punizione per aver disobbedito ed aver mangiato il frutto dell'albero della conoscenza.
Un punto di vista combattuto: Kant, nel 1785, pur rimanendo fedele alla dottrina cristiana, secondo la quale l'uomo è portatore di un "male radicale", rifiuta formalmente l'idea di un paradiso originario dove gli uomini "potevano trascorrere l'esistenza a sognare e a giocare in perfetta uguaglianza e in pace perpetua". Questo è solo "frutto della loro immaginazione". Bisogna che sia respinta "la vana nostalgia dell'età dell'oro tanto celebrata dai poeti".
L'età d'oro, un mito presente nelle altre religioni più antiche, e ripreso - come tanti altri miti - dal cristianesimo. Così alcuni antropologhi vedono l'umanità come se provenisse, culturalmente, da una disorganizzazione primitiva, da una vita facile, verso l'ordine della civilizzazione del lavoro, percepita come una sofferenza. AL contrario, gli eruditi ebrei e cristiani leggono nella Genesi l'esatto contrario: l'espulsione di una coppia, e non già dell'umanità, da un "giardino" ordinato e civilizzato, verso una giungla selvaggia - la caccia e la raccolta sono condizioni primitive di lotta, di morte, una lotta senza fine per la sopravvivenza. Il libro della Genesi formula chiaramente che l'agricoltura esisteva sia prima che dopo la vita nel giardino.
Alcuni autori hanno interpretato l'uccisione fratricida di Caino come se fosse il risultato del conflitto fra una cultura di tipo cacciatore/raccoglitore e di pastorizia nomade ed la nuova cultura che si sviluppava presso i popoli che si sedenterizzavano grazie all'agricoltura e ad un allevamento stanziale. Caino agricoltore uccide suo fratello pastore. L'agricoltore proibisce al suo fratello nomade l'accesso alle terre e alle acque più ricche, adesso riservate all'agricoltura, alla piscicoltura, alla silvicoltura, a danno dei possessori nomadi di greggi itineranti. Si può vedere in questo mito, l'opposizione fra, da un parte, la nuova cultura dello spazio privatizzato e, dall'altra, la cultura dello spazio condiviso. Più in generale, questo mito evoca il contrasto fra cultura e natura, tra lo sfruttamento razionale dell'ambiente ed il riconoscimento della naturalità dell'uomo, e della sua relazione con la natura. Dio preferisce Abele e le sue offerte. E nel Nuovo Testamento pastori e sacrificio di agnelli sono temi ricorrenti, e Cristo viene frequentemente presentato come pastore, ed il suo popolo come un gregge.

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Nella sezione "Rivolta" dei "Fiori del Male", Baudelaire scrive "Abele e Caino". La razza di Caino, laboriosa e affamata, sopraffatta dalla punizione secolare contro di essa, opposta alla razza di Abele, che si ingrassa nella grazia di Dio. Come non vedervi l'influenza del 1848, gli ideali repubblicani traditi, e il socialismo nascente?

 

 

Razza d’Abele, dormi, bevi e mangia;
Dio ti sorride con compiacenza.
Razza di Caino, striscia nel fango
E muori miserabilmente.
Razza d’Abele, il tuo sacrificio
Solletica il naso del Serafino!
Razza di Caino, il tuo supplizio
Avrà mai una fine?
Razza d’Abele, guarda le tue semine
E il tuo bestiame prosperare;
Razza di Caino, le tue viscere
Urlano la fame come un vecchio cane.
Razza d’Abele, riscalda il tuo ventre
Al tuo focolare di patriarca;
Razza di Caino, nel tuo antro
Trema di freddo, povero sciacallo!
Razza d’Abele, ama e moltiplicati!
Anche il tuo oro genera prole.
Razza di Caino, cuore che brucia,
Guardati dai grandi appetiti.
Razza d’Abele, tu cresci e bruchi
Come le cimici dei boschi!
Razza di Caino, per le strade
Guidi la tua famiglia all'agonia.
Ah! razza d’Abele, la tua carogna
Ingrasserà il terreno fumante!
Razza di Caino, il tuo lavoro
Non è ancora stato svolto a sufficienza;
Razza d’Abele, ecco la tua vergogna:
La spada vinta dallo spiedo!
Razza di Caino, scala il cielo,
E scaglia Dio sulla terra!

CHARLES BAUDELAIRE

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