Un'epoca oscura, nell'Inghilterra di Shakespeare (non fosse stato per lui!), il sedicesimo secolo. Quasi privo di scoperte e di invenzioni, vuoto e senza sostanza, grezzo. Un periodo buio, insomma, quello in cui il giovane matematico inglese, William Ebony Milf, venne a capo di quella che viene comunemente, ed erroneamente, chiamata "Teoria del caso". Ebony analizzava tutti i componenti di quella che viene chiamata "fortuna", e cercava, in una forma quanto meno encomiabile, di dimostrare che potevano essere manipolati a volontà e, pertanto, permetterci di prendere in mano il timone della barca del caso. Dominare la fortuna! A partire da questo, col tempo e con l'acquisizione di una certa maturità, si concentrò sulle equazioni intrinseche alle probabilità, come quelle di estrarre un N quantità di palline rosse e nere, annotando coscienziosamente sul proprio avambraccio la frequenza con cui uscivano palline dello stesso colore.
Alcune dame, appartenenti all'alta borghesia londinese, si mostrarono molto interessate al progetto e si offrirono di coprire i costi della ricerca. Così Ebony avrebbe potuto finalmente imbarcarsi in un viaggio alla ricerca di tutte le forme di caso esistenti nel mondo. Desiderava conoscerle, toccarle con mano, dissezionarle e alla fine sottometterle. Una per una. Da nord a sud, dalla Groenlandia ad Alpedrete. Ma la cosa cominciò subito male. La disfatta, subita in una partita a dadi, nella quale perse perfino il monocolo, lo obbligò a ridurre il suo ambito di studio alla riva sinistra del Tamigi. "Va tutto bene" - ripeteva. Aveva subìto solo una battuta d'arresto, solo un piccolo inciampo che sarebbe servito a rafforzare la base su cui poggiare la sua ricerca. Le formule erano esatte, la precisione del suo impianto inaudita, i suoi capelli lisci rilucevano e le sue ascelle parlavano la lingua di un deodorante a buon mercato. Non poteva fallire!
Dotato di un budget che sarebbe un eufemismo definire "tagliato", si avventurò verso il suo secondo appuntamento con la storia che aveva preso la forma di una partita a domino. Il luogo era il frequentatissimo Pub Malory, ad Upper Ground, precisamente nel seminterrato, dal momento che le severe leggi locali proibivano il gioco, ai mancini, nei giorni della settimana con dentro una "r". Dentro la sua testa ribolliva un torrente di incognite, di elevazioni alla potenza, numeri anti-naturali e, insieme, il ricordo della suggestiva scollatura della cameriera che lo aveva accompagnato. Rimise a posto, dentro la sua testa, le tabelle che spiegavano il caso, ripulì mentalmente tutti i rimasugli e le briciole del dubbio, e ripartì. Una volta che ebbe le carte in mano, concentrato dentro quel locale cupo, si ricordò e maledisse la perdita del suo monocolo. Non ci vedeva. L'ambiente era così malamente illuminato che non vedeva le carte. Tentò di intuirle al tatto, strofinandoci sopra la punta delle dita, alla ricerca di una qualche rugosità in animo di delazione. Niente. Un amalgama di colori e forme sbiadite gli ballavano davanti agli occhi, fra le mani, scalzandolo dagli scalini verso il successo. Di colpo, fu allora che, iperossigenato e in un empito di orgoglio, cominciò ad applicare le sue formule infallibili, fidando nel fatto che l'intuizione gli avrebbe dettato quali carte aveva. Il risultato fu un dramma. A malapena, e fra i singhiozzi, acconsentirono a lasciargli le mutande. Mutande sulle quali aveva fatto serigrafare lo slogan "I am the future".
La gloria non era un compito facile, ma le delusioni non bastarono a fargli rinunciare ad assaggiare il miele del successo. Con una manciata di scellini, ottenuti promettendo il suo impegno - una sorta di sussidio concessogli dagli imprenditori - decise di ridurre ancora la portata titanica della sua ricerca. All'ambito del quartiere. Era arrivato il momento di crescere, di vincere e i ottenere l'eternità.
Dopo aver fallito il colpo ad effetto, era ossessionato dall'ottenere una vittoria che gli facesse da apripista, per cui pensò di trasformarsi nel re, nel dio, di "testa o croce". Perciò, confidando pienamente nelle sue teorie inappellabili, decise di truccare una moneta, in modo da ottenere sempre "testa". Sarebbe stato il suo amuleto ed il suo jolly, la chiave che gli avrebbe aperto tutte le porte del rispetto e dell'ammirazione. Ma, poco esperto di manualità, il risultato non fu proprio quello richiesto da un simile magistrale stratagemma. Per prima cosa, le due teste non erano affatto uguali: una mostrava il profilo decadente di Enrico VIII, mentre l'altra il sottile collo della giovane Isabella II. La cosa provocava un certo sconcerto. Poi, le due monete utilizzate per creare l'ibrido del suo esperimento non avevano lo stesso valore e, quindi, nemmeno lo stesso diametro. Un'aberrazione numismatica!
Non è perfetta - si disse - però non lo sono nemmeno loro! Non la noteranno.
Incoraggiato da tale ragionamento, si lanciò verso la sua epopea al grido di: Scommettete! Testa o Croce!
Camminava tronfio, ansioso, lanciando in aria la moneta che era di piombo da una parte e di rame dall'altra. Tale era l'impeto e la fretta che la sua "opera" gli scivolò di mano, cadendo vicino ad un bambino di un anno seduto sul marciapiede. Il bimbo prese la moneta, con la sua manina, e balbettò le sue prime due parole: "moneta falsa". Inutilmente cercò di scappare. La folla lo circondava. "Le formule funzionano" - gridava disperato. "La fortuna mangia dalla mia mano. Vi farò tutti ricchi!" Fu proprio allora che, per sua fortuna, arrivarono i garanti dell'ordine, e gli evitarono un sicuro linciaggio.
Ebony venne portato in tribunale, dove poté esporre dettagliatamente le sue teorie, cosa che lo aiutò notevolmente a farsi giudicare pazzo, invece che truffatore. I giudici sancirono, in un solenne comunicato, che "Il caso non può essere controllato dal momento che la sua naturalezza risiede, precisamente, nella nostra impossibilità ad esercitare dominio su di esso. Colui che si proclama capace di dominare il caso incorre nella menzogna. Colui che ha fatto di ciò lo scopo della sua vita sfugge ad ogni raziocinio e deve quindi essere considerato socialmente pericoloso ed alienato e, pertanto, dev'essere recluso".
William Ebony Milf finì i suoi giorni nell'ospedale psichiatrico di Bethlem, dove cercò di perfezionare le proprie teorie, e riuscì ad accumulare un debito scandaloso, giocando a poker con gli alri internati.
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