Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
venerdì 20 giugno 2008
L'amica di Kafka
Milena Jesenska.
Fin da quando era una ragazzina, tutta Praga parlava di lei e si raccontavano storie folli: che sperperasse denaro a fiumi, che avesse attraversato a nuoto la Moldava per arrivare in tempo ad un appuntamento, che fosse stata arrestata alle quattro di mattino per aver raccolto magnolie "pubbliche". Vestiva abiti impalpabili e fluttuanti alla Isadora Duncan, preferibilmente nei toni dell'azzurro o del verde acqua, i capelli ondulati, sciolti, spesso intrecciati con dei fiori. Milena, figlia unica dell'eminente professor Jesensky, chirurgo di fama, mal sopportava i lacci di una vita borghese. Frequentava l'esclusivo Minerva, uno dei primi licei femminili in Europa. Era quello che si diceva una ragazza emancipata, una personalità molto forte, tanto da essere presa a modello da molte sue compagne. La madre morirà quando Milena ha 17 anni ed il rapporto con il padre, da sempre difficile, peggiorerà di giorno in giorno.
Sarà una donna generosa, sino all'eccesso; in amore e in amicizia, valori che anteponeva a tutto. Ma, soprattutto, una donna coraggiosa che si costringerà a trasformare il suo forte individualismo dei giorni migliori in responsabilità sociale e politica. Nel 1938 quando la sua Boemia verrà soggiogata, inciterà alla resistenza contro i nazisti, aiutando a fuggire all'estero ebrei e compatrioti cechi. Di lì a poco verrà arrestata dalla Gestapo e morirà, a 47 anni, nel campo di concentramento di Ravensbrück nel maggio del 1944 poche settimane prima dello sbarco in Normandia.
Alla morte di Kafka, avvenuta nel 1924, aveva scritto:
"L'altro ieri è morto nel sanatorio di Kierling a Klosterneuburg vicino Vienna, il dottor Franz Kafka, uno scrittore di lingua tedesca vissuto a Praga. Qui lo conoscevano in pochi, poiché era un eremita, un uomo sapiente spaventato dalla vita. Era lungimirante, troppo saggio per poter vivere e troppo debole per poter combattere. Vedeva il mondo con una tale chiarezza e precisione da non poterlo sopportare, da doverne morire, egli infatti, non si è concesso scappatoie, non si è salvato come tanti altri rifugiandosi in qualche equivoco intellettuale per nobile che fosse. Era un uomo e un artista dotato di una coscienza così scrupolosa che rimaneva vigile anche là dove gli altri, i sordi si sentivano al sicuro".
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