Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
martedì 3 giugno 2008
radio GAP
Non sapevo che il libro fosse accompagnato da un DVD. Il libro è uscito per Derive Approdi, "La banda 22 ottobre" di Paolo Piano, ed ho cominciato a leggerlo. Il DVD, "Tre della ventidue" di Stefano Barabino e Andrea Teglio, l'ho già visto. Una sorta di monologo a tre voci, quelle di Gino Piccardo, Mario Rossi e Beppe Battaglia, riesce a tessere la trama di una storia, con i suoi errori e con la sua generosità e con le sue anime. Le diverse anime, quella sotto-proletaria di Piccardo, avvezzo alla galera e ai codici che la governano, quella di Rossi, politico e naturalista-autodidatta e quella di Battaglia la più lucida, anche dopo tutti questi anni. Gli occhi scuri di un meridionale immigrato vedevano più chiaro.
Vale la pena ascoltarne le voci, osservarne gli sguardi, di queste tre persone che per tutti questi anni, decenni, non hanno mai indugiato ad un'intervista. Non hanno mai emesso un lamento. Neppure un libro. Non hanno mai fornito alcun tipo di pentimento. Una sorta di silenzio eloquente, fino ad ora, quasi un controcanto a chi spesso sente il bisogno quasi di giustificarsi, se non di scusarsi.
La storia, nel libro, viene ricostruita passo per passo ed è corredata di tutta una serie di documenti che meglio aiutano a comprendere le ragioni della lotta armata, a partire dai suoi albori.
Una nota curiosa. Viene riportato nel libro, la storia della messinscena di una rappresentazione teatrale, "Homo sine pecunia, imago mortis est" (il titolo riprendeva una frase del cardinale Siri). La storia si basava sulla vicenda della rapina allo Iacp e su Mario Rossi. Messa insieme su due piedi, sulla base di un canovaccio scritto dagli occupanti dell'Università in cui venne rappresentata durante la notte di natale.
Claudio Flamigni, militante del Potere Operaio genovese, recitava la parte di un proletario sorpreso dal sacrestano mentre rubava in chiesa due candelabri proprio durante la notte di natale. Durante la colluttazione che ne seguiva, il sacrestano rimaneva ucciso, mentre il proletario veniva arrestato. Il resto della rappresentazione consisteva del processo. Il pm era il cardinale Siri (recitato da un austero e contegnoso Gianfranco Faina), della corte facevano parte anche Paolo VI, Andreotti, Sossi e Agnelli. Nell'aula si aggirava, strusciandosi addosso ai magistrati per tutto il tempo, addirittura Dio in persona (uno studente savonese dal volto ieratico in tuta bianca con sopra ricamata la solenne scritta e che armeggiava - mezzo teppista e mezzo profeta - con una mazza da golf ed una croce) a significare l'immanenza eterna del capitale. Gli avvocati difensori erano: Raimondo Ricci (il noto avvocato del PCI che nella realtà aveva rifiutato di difendere Rossi) recitato da Franco Carlini che ammetteva la colpevolezza del balordo criminale, ne deplorava l'immoralità e si appellava alla clemenza della corte. Nel frattempo Franco Carlini del Manifesto (interpretato da Nando Fasce) descriveva i fatti in termini di provocazione poliziesca e si esibiva in sofismi dietrologici a partire dall'interrogativo di "A chi giova?". Tutot quanto giovava alla reazione e allora il proletario doveva essere assolto perché era una povera marionetta dei servizi segreti. Renato Pastorino di Lotta Comunista (interpretato da Giorgio Moroni) leninisticamente non si lasciava distrarre da quell'evento di strada e riportava il dibattito sulla coscienza di classe di cui questo proletario era totalmente sprovvisto. Oreste Scalzone (interpretato da Luigi Grasso) rivendicava infine l'azione del proletariato come più alta forma di insubordinazione possibile e inneggiava alla comparsa di un nuovo soggetto rivoluzionario.
Alla fine, il proletario veniva impietosamente condannato a lavorare per tutta la vita alla Fiat.
Insomma, per dirla con le parole con cui Mario Rossi chiude la sua intervista sul DVD:
"E' stata una bella esperienza"!
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento