Nel 2545 una nave interstellare viene lanciata dalla Terra. Centosessanta anni e sette generazioni circa più tardi, sta iniziando la sua decelerazione nel sistema Tau Ceti per iniziare la colonizzazione della luna di un pianeta, che è stata chiamata Aurora, e capire se l’umanità possa gettare le fondamenta di un futuro migliore al di fuori del Sistema solare. Duemila centoventidue esseri umani vivono all’interno di questa ultramoderna Arca di Noè, figlia della più avanzata ingegneria, al cui interno dove sono stati ricreati artificialmente i diversi ecosistemi terrestri. Qualsiasi cosa in questo sistema chiuso, dalla particella più piccola agli spostamenti interni e la riproduzione, è controllata da un’intelligenza artificiale che sembra avere coscienza e che racconta questo incredibile viaggio attraverso gli occhi di Freya, una ragazzina nel pieno dell’adolescenza, che si trova a scontrarsi con le impellenti e preoccupanti difficoltà del lungo e complesso atterraggio e della sopravvivenza dell’equipaggio sul nuovo suolo, che tutto si rivelerà fuorché una nuova casa. Un romanzo di fantascienza per riflettere sull’unica certezza che al momento abbiamo: la c’è un solo pianeta e dobbiamo prendercene cura.
(dal risvolto di copertina di: KIM STANLEY ROBINSON, "Aurora". Traduzione di Ilaria Mazzaferro, UBILIBER Pagine 576, €25)
L'astronave saggia delle generazioni
- di Vanni Santoni -
«Freya e suo padre escono a fare un giro in barca a vela. La loro nuova casa si trova in un edificio che si affaccia su un molo della baia, all’estremità occidentale del Long Pond…». Comincia così Aurora di Kim Stanley Robinson, con la lingua piana e descrittiva che caratterizzerà l’intero romanzo, e una situazione all’apparenza del tutto ordinaria. Ciò che però ordinario non è per nulla, è il fatto che la località di Long Pond è situata nel bioma Nuova Scozia di una colossale astronave, partita per un viaggio di due secoli verso il sistema di Tau Ceti, con a bordo 2mila umani (e poi i loro figli, e poi i loro nipoti, e avanti così) distribuiti in una variegata gamma di micro-ecosistemi. Siamo nel Ventiseiesimo secolo, le fole d’iperspazio e varchi dimensionali sono da tempo svanite (o non ci sono mai state) e l’umanità è sì in grado di raggiungere altri sistemi stellari, ma solo per mezzo di «navi multigenerazionali» che affrontano il viaggio nella piena consapevolezza del fatto che solo i discendenti di chi è partito metteranno piede su nuovi pianeti. Un concetto che non apparirà nuovo a chi mastica fantascienza: si pensi ad esempio a Orfani del cielo (in alcune edizioni intitolato Universo) di Robert A. Heinlein, che già nel 1941 lo esplorava a fondo; o a Incontro con Rama di Arthur C. Clarke (1972) che dopo tanti romanzi a imitazione di quello di Heinlein venne a ribaltare l’idea di partenza, e a far incontrare ai terrestri una nave generazionale altrui; o ancora, più recentemente, alla novella Paradisi perduti di Ursula K. Le Guin, del 2002 (in Italia edito da Delos, 2013). Se, dunque, la nave intergenerazionale risulterà un concetto nuovo solo ai lettori poco avvezzi alla fantascienza classica, è altrettanto vero che il romanzo di Robinson, autore già distintosi nella sci-fi contemporanea per la sensibilità ecologica ed etica, unita a una maniacale attenzione alla plausibilità scientifica delle sue narrazioni, finisce per distinguersi dai suoi predecessori, e fissare un nuovo punto fermo — e una nuova asticella — nel proprio filone. Per far capire come mai Aurora meriti di esser letto, sarà necessario incorrere nel peccato mortale dello spoiler, dunque chi non vuole anticipazioni può fermarsi qui, informato del fatto che, se si riesce a passar sopra a uno stile di scrittura piuttosto insipido e a guardare ai soli contenuti, si tratta di una lettura valida sotto ogni punto di vista; anzi, a tratti esaltante e in ultimo pure commovente. Il fatto è, dunque, che nella quasi totalità dei casi precedenti di romanzi a tema nave intergenerazionale, si dava per scontato — secondo un ottimismo che in fondo era proprio di ogni decennio del Novecento dagli anni Cinquanta in poi — che le cose sarebbero andate bene, quantomeno a livello di colonizzazione e terraforming. Non è il caso di Aurora, che arriva in Italia grazie alla voce di Ilaria Tagliaferro e all’impegno della casa editrice Ubiliber. In questo romanzo, tanto per cominciare, la nave, dopo due secoli di «orti conclusi», comincia a far fatica: la mancanza di ricambio biologico si sente, i biomi prendono a collassare, e pure la popolazione non se la passa troppo bene. E questo è il problema minore. Sì, perché una volta che il sistema di Tau Ceti, pur ricco di lune e pianeti, viene finalmente approcciato, comincia a risultar chiaro che nessuno di essi è adatto al terraforming — disciplina, varrà la pena ricordare, di cui Robinson è esperto, dato che il suo capolavoro, La trilogia di Marte, edita nel nostro Paese da Fanucci, è dedicata proprio alla trasformazione del pianeta rosso in un pianeta blu e verde — e che gli eroici pionieri sono probabilmente condannati. I pionieri e qualcun altro.
La nave, anzi Nave: l’intelligenza artificiale che gestisce il titanico vascello e che funge da narratore quasi-onnisciente del romanzo. Eccoci a uno degli aspetti più interessanti di Aurora, oltre all’approccio pessimistico per lo più sconosciuto alla fantascienza «coloniale» di qualche decennio fa. Le intelligenze artificiali sono il tema di questo momento storico, e anche se Aurora è uscito originariamente quasi dieci anni or sono, nel 2015, riesce ad affrontarlo in modo originale e, a differenza di quanto faccia rispetto all’impresa umana su Tau Ceti, ottimistico. All’inizio il lettore può trovarsi un filo spiazzato (e a tratti pure annoiato) dalle riflessioni filosofiche, quando non ontologiche, di Nave, che è facile scambiare per un espediente dell’autore per propinarci le proprie riflessioni filosofiche. Non è così. Via via che si procede, da una riflessione sulla natura della coscienza a una sul concetto di rischio, nulla è buttato là per mero gusto peripatetico-speculativo: in realtà, attraverso queste riflessioni, prende forma una delle più interessanti caratterizzazioni di un’intelligenza artificiale mai viste nella fiction. E per una volta l’IA non è malvagia come un Hal9000 né, com’è capitato tante volte, neutrale fino alla scarsa considerazione per la vita umana. Nave ha un’intelligenza diversa dalla nostra ma attraverso questa pur fredda mente giunge a una coscienza, e attraverso tale coscienza anche alle emozioni. Emozioni da nave spaziale partita per una lunga missione: devozione, dovere, fedeltà all’obiettivo… ma pur sempre emozioni. E avrà modo di dimostrarlo, non solo a parole. Ma non c’è solo Nave: Aurora è anche una grandiosa riflessione sull’entropia, quasi un’allargamento in romanzo, 55 anni dopo, del racconto Entropia di Thomas Pynchon (oggi reperibile nella raccolta Un lento apprendistato, e/o, 1988, ed Einaudi Stile libero, 2007, ndr), che fissò un modo nuovo di usare le scienze dure in narrativa; nonché una meditazione — è il caso di usare la parola: meditativo è proprio il tono del libro, che spiega anche perché sia edito da Ubiliber, casa editrice dell’Unione Buddhista Italiana — sulla testardaggine degli esseri umani contrapposta alla loro tendenza a infilarsi in situazioni senza uscita… E se qualcuno pensa a un riferimento alla crisi climatica, non si sbaglia.
- Vanni Santoni - Pubblicato su La Lettura del 30/6/2024 -
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