La rivolta del Bounty
- di Robert Kurz -
La doppiezza liberale mette in scena la rappresentazione del Gioco del Coniglio e del Riccio, relativo all'emancipazione, strumentalizzando quella che è la sua doppia menzogna della «libertà» e del «benessere». Se si parla del presunto aumento del benessere materiale, a fronte delle esplosioni di povertà che ormai non possono essere più ignorati, ecco che allora la «libertà» borghese viene affermata come se si trattasse di un valore etico; se, ad un certo punto, emergono quelli che sono i momenti repressivi ed autodistruttivi del «libero asservimento», ecco che allora il presunto innalzamento del livello di vita viene invocato come una confortante gratificazione. Allo stesso tempo, la sfera pubblica ufficiale e le sue istituzioni non si sottraggono a qualsiasi falsificazione statistica, né fanno a meno di abbellire con evidenti ritocchi la povertà dell'economia di mercato. Anche le baraccopoli vengono dipinte come se fossero « floridi paesaggi rigogliosi », se necessario, forse un po' sudici, ma pieni di vita felice, così belle e pittoresche. A tal proposito, anche i classici del cinismo liberale sono dei veri e propri campioni mondiali in quella che è la «menzogna-verità» alla Orwell. Adam Smith, per esempio, non esita ad affermare, nel bel mezzo della miseria del capitalismo preindustriale e dell'inizio dell'industrializzazione: « In Gran Bretagna, al giorno d'oggi, appare evidente che i salari sono superiori a quanto è strettamente necessario per consentire al lavoratore di mantenere una famiglia [...] Le remunerazioni reali del lavoro, vale a dire, la quantità reale di beni necessari e di conforti materiali che il salario può garantire al lavoratore, sono aumentate, nel corso di questo secolo, forse anche in misura maggiore del prezzo dei salari in denaro [...] » (Smith 1996/1776, 124ss.). Il lettore si stropiccia gli occhi, dal momento che qualche pagina prima lo stesso autore, in preda ad ira contro i tumulti «innaturali» e contro le associazioni dei salariati, si è lasciato scappare la seguente affermazione: « Tuttavia, che siano offensivi o difensivi, sono sempre oggetto di commenti generali. Per risolvere rapidamente l'impasse, gli operai fanno sempre ricorso ad un clamore più forte, e a volte alla violenza più atroce e scioccante. Cercano disperatamente di agire con quella follia e quella stravaganza che caratterizza le persone disperate che stanno morendo di fame [...] » (ivi, 119s.).
Qui, «ovviamente», ci troviamo di fronte ad una palese contraddizione, che tuttavia non disturba particolarmente né Smith né i suoi commentatori scientifici, perché per loro ancora una volta sembra «naturale» che la gestione, presunta come sufficiente, ed i meravigliosi aumenti salariali reale possono restare in armonia con la «disperazione delle persone che stanno morendo di fame». Questo problema viene in qualche modo chiarito quando vediamo cosa intenda Smith per aumento del tenore di vita: « Le patate, per esempio, nella maggior parte del Regno Unito, non costano nemmeno la metà del prezzo che costavano 30 o 40 anni fa. La stessa cosa possiamo dire delle rape, delle carote, dei cavoli [...] I grandi miglioramenti introdotti nelle industrie del lino e della lana garantiscono agli operai abiti più a buon mercato e di miglior qualità [...] Il sapone, il sale, le candele, il cuoio e i superalcolici sono diventati assai più costosi[...] Tuttavia, la quantità di questi articoli che il lavoratore povero è costretto (!) a consumare è talmente irrilevante, che l'aumento del suo prezzo non compensa la diminuzione del prezzo di tante altre cose. La lamentela comune a quello che è superfluo si estende perfino agli strati più bassi della popolazione, e il fatto che lavoratore povero non si accontenta più del solito pasto, degli stessi vestiti e e di quella stessa casa che prima lo soddisfaceva, può convincerci che l'aumento non è stato solo nel prezzo in denaro della manodopera, ma anche in quella che è la sua remunerazione reale » (ivi, 128).
Abbastanza patate, cavoli e stracci di iuta visti come «aumento del benessere» (i tempi relativamente rigogliosi della fine del Medioevo sono ormai dimenticati da tempo), sapone e sale, dall'altro lato, sono quasi inaccessibili, ma per i poveri «non sono poi così tanto importanti» (ricordiamoci delle dichiarazioni di Fredrich List di qualche decennio successivo a proposito delle condizioni dei tedeschi) - questo quasi ammirevole sangue freddo liberale viene superato solo dal fatto che Smith semplicemente assume le lamentele palesi di quelli che «guadagnano di più», circa quella che è la crescente insoddisfazione del materiale umano, come «prova» dell'esattezza delle sue affermazioni a proposito della crescente prosperità. Innocentemente aggiunge che «da nessuna parte in Inghilterra il salario ha raggiunto quel limite inferiore ancora (!) compatibile con la nostra idea di umanità». È una strano conforto quello con cui si consolano i principali ideologhi storici del capitalismo, per mezzo della povertà artificiale creata nel contesto delle restrizioni capitalistiche. Dal momento che gli attuali e futuri impoveriti dell'economia di mercato devono godere della «relativa ricchezza» della loro povertà, la quale si presume che, in condizioni capitalistiche, possa elevare quella che è l'indigenza al di sopra di ogni condizione pre-capitalista di esistenza - una menzogna ed una falsificazione talmente efficace da essere gradualmente penetrata in profondità nella moderna coscienza delle masse. Già Mandeville sta praticando questa argomentazione bizzarra nelle sue dissertazioni a proposito della Favola delle Api: « Farebbe ridere colui che ritenesse di lusso l’abito semplice e spesso e la rozza camicia di un povero dell’ospizio della parrocchia; e tuttavia quanta gente, quanti mestieri, quanta perizia e quanti strumenti devono essere stati impiegati per ottenere la più ordinaria tela dello Yorkshire!». Mezzo secolo dopo, Adam Smith usa esattamente lo stesso argomento ne "La Ricchezza delle Nazioni", nella sua celebrazione della divisione capitalista del lavoro (a quanto pare, arrivando perfino a copiare Mandeville senza citare la fonte) in modo da poter dare ai moderni poveri la seguente assurda consolazione: «Osservate il benessere di cui godono, in un paese civile e fiorente, il più comune artigiano o lavorante a giornata e vi accorgerete che è incalcolabile il numero di coloro che sono stati impiegati per procurargli questo suo benessere con una parte, anche piccola, della loro operosità. L’abito di lana col quale si ripara il lavorante a giornata, per esempio, per grezzo e ruvido che sia, è il prodotto del lavoro congiunto di una moltitudine di operai. Il pastore, il selezionatore delle lane, il cardatore o scardassiere, il tintore, il filatore, il tessitore, il follatore, l’apprettatore e molti altri ancora devono tutti riunire le loro diverse arti per portare a termine questa semplice produzione domestica. »
La povertà capitalista, pertanto, deve consolarsi a partire dal fatto che perfino l'offerta della sua povertà continua ad essere il prodotto di quella «bella macchina» ammirevole e altamente complessa che ha trasformato tutte le persone in delle ruote dentate dei suoi ingranaggi. E al fine di rendere plausibile tale pensiero, il signor Mandeville ed il signor Smith tornano amorevolmente ad illustrarci i presunti orrori delle condizioni di vita precapitalistiche e non capitalistiche. Mandeville, che aveva già precedentemente fatto uso dell'immagine dei nostri antenati «mangiatori di ghiande», fa di nuovo riferimento al passato oscuro per poter rendere appetibile per i moderni poveri il «relativo lusso» dei «ruvidi abiti»: « Nelle età più antiche l’uomo, indubbiamente, si nutriva dei frutti spontanei della terra e dormiva nudo, come gli altri animali, nel grembo della madre comune. » (Mandeville). Senza dubbio! Adam Smith - il quale, secondo quelli che sono i suoi tempi, si riferisce ai «selvaggi» africani, che a partire dal 18° secolo venivano immaginati nella coscienza della modernizzazione europea e dei suoi protagonisti filosofici come se fossero lo «stadio più basso» di uno sviluppo dell'umanità concepito in maniera lineare, la cui culminante conclusione è il capitalismo «naturale» - raggiunge lo stesso livello. I «selvaggi» africani, oceanici e americani vengono in tal modo equiparati ai «selvaggi» e non sviluppati tempi preistorici, come se si trattasse, per così dire, di un manuale visuale vivente (e, per inciso, sono anche trattati, con la più alta benedizione filosofica, come se fossero degli animali). Nella testa di Adam Smith, questi uomini animali vengono ora anche ritenuti eccellentemente adatti come pietra di paragone, per relativizzare la povertà capitalista: « Sembrerà certo tale, a paragone del lusso più sfrenato di un gran signore; pure, è probabile che da questo punto di vista, la distanza che separa un principe europeo da un contadino industrioso e frugale è meno grande di quella tra quest’ultimo e i vari re africani, padroni assoluti della vita e della libertà di diecimila selvaggi nudi.» (Smith).
Riguardo la propria credibilità, per ideologhi come Mandeville e Smith, è stata una sfortuna che quanto meno alcuni loro compatrioti inglesi, poveri e umiliati, si siano trovati nella posizione di poter esaminare, a partire dalla propria esperienza, la costruzione liberamente inventata dei «selvaggi nudi» che dormono sulla nuda terra. I marinai dell'esercito e della flotta mercantile - che, in quanto inglesi «liberi», venivano trattati secondo quelli che erano i criteri della disciplina carceraria e venivano bastonati a sangue dai loro superiori, e spesso dovevano mangiare cibo marcio e venivano considerati come una categoria ancora più miserabile dei «lavoratori poveri» - entravano assai spesso in contatto diretto con i «selvaggi» e con le loro reali condizioni di vita, fino al momento in cui non vennero distrutti dalla schiavizzazione colonialista. Il paragone che ne risultò fu assai diverso da quello di Mandeville e Smith. E c'è stato un famoso incidente che ha fatto indirettamente emergere come vere e proprie frodi le costruzioni degli ideologhi liberali. È stato il caso dell'«Ammutinamento del Bounty», senza dubbio non l'unico evento di questo tipo, ma che ha assunto un significato paradigmatico. Il vero sfondo, presentato come una semplice storia di avventure, e come un libro per bambini, appare poco chiaramente; ma esso emerge assai più chiaramente nel documenti sopravvissuti. Il 29 aprile del 1789, gran parte dell'equipaggio della nave «Bounty» ["Ricompensa"] si ammutinò contro il capitano della nave, il tenente William Bligh e i suoi ufficiali, dopo quasi due anni di viaggi nei mari del sud.
Bligh, precedentemente, era stato ufficiale di rotta del famoso esploratore James Cook (1728-1779) durante la sua terza grande spedizione, quella in cui Cook venne ucciso dagli indigeni. Quando assunse il comando del "Bounty", Bligh era considerato dai padroni della flotta come un «cane particolarmente rabbioso» che non dava niente alla sua gente. Nei romanzi sul "Bounty" e sul suo destino, gli intollerabili abusi di Bligh vengono spesso presentati come se fossero il motivo della rivolta. Ma la storia non può essere affatto riassunta in questo modo. Il materiale documentale sull'ammutinamento è stato tradotto in tedesco nel 1791 e nel 1793, da Johann Reinhold Forster e da suo figlio Georg Forster, il noto filosofo illuminista tedesco che aveva partecipato al secondo viaggio di James Cook nel 1772-1775. Herman Homann, il nuovo redattore e revisore di questo materiale, difende il capitano Bligh: e dice che egli apparentemente «non era né migliore né peggiore dei comandanti di navi di quell'epoca» e non era in nessun modo «disumano» (Homann 1973, 15s.). Nel suo autentico rapporto, è lo stesso capitano Bligh a fornirci delle sorprendenti informazioni sui veri motivi della rivolta, che in quell'epoca «aveva causato molto scalpore anche fuori dall'Inghilterra ed aveva avuto come effetto quello di creare prese di posizione a favore e contro».
«Ora chiediamoci cosa avrebbe potuto aver causato un simile ammutinamento. Posso rispondere solo supponendo che gli ammutinati di Tahiti si proponevano una vita più felice di quella che probabilmente si aspettavano di avere in Inghilterra. Questa, insieme ad alcuni legami con le donne di Tahiti sono, secondo la mia opinione, le principali cause dello sfortunato evento. Le donne tahitiane hanno delle belle forme, sono gentili, allegre, sensibili e abbastanza abili da essere amate ed ammirate. La nobiltà tahitiana aveva un grande affetto per la nostra gente e ci incoraggiava a rimanere con loro, promettendo anche quelli che erano dei beni considerevoli sull'isola. In simili circostanze, non sorprende che alcuni marinai siano stati sedotti e convinti a stabilirsi sull'isola più bella del mondo, dove non avevano bisogno di lavorare (!) e dove l'incentivo al libertinaggio è maggiore di quanto si possa immaginare [...] C'erano state diserzioni su diverse navi che avevano visitato le Isole della Società, ma i comandanti erano sempre riusciti ad ottenere dai capi la consegna dei fuggiaschi. Ma forse è stato proprio perché sapevo che la diserzione non era certa che la mia gente ebbe l'idea di impadronirsi di tutta la nave, anche se piccola» (Bligh, citato da Homann). Il capitano Bligh, è chiaro, qui rappresenta il mondo borghese ufficiale del «lavoro» e l'anatema capitalista contro gli «eccessi» del materiale umano che non vuole dedicarsi a quelli che sono i fini del capitale; ma, parlando dei propri affari, rivela involontariamente che gli ammutinati e i disertori sapevano che anche tra i «selvaggi» avrebbero potuto sperare in una vita migliore rispetto a quella che si aspettavano di avere nell'Inghilterra civilizzata. Apparentemente, i marinai semplici e gli ufficiali subalterni (il leader degli ammutinati, Fletcher Christian, secondo Bligh, proveniva «da una buona famiglia») consideravano i «selvaggi» assai meno selvaggi delle imposizioni del capitalismo e della marina inglese. Quindi, la rivolta sul «Bounty» può essere letta come una pagina storica imbarazzante per gli ideologhi apologeti del liberalismo. E cosa ne fu del "Bounty"? Gli ammutinati portarono la nave di cui si erano appropriati a Tahiti, dove si sentivano al sicuro dalle grinfie dello Stato britannico. Quindi, poi, portarono le loro spose locali, insieme ad un certo numero di avventurosi tahitiani, a bordo e vagabondarono per qualche tempo per l'Oceano Pacifico, prima di stabilirsi definitivamente sulla remota e piccola isola di Pitcairn.
Su questa miniatura utopica si abbatté una catastrofe, ma non economica: i marinai bianchi, che cercavano di scappare dai propri padroni, cominciarono a mostrare quelli che sono i modi peggiori che l'uomo bianco ha nei confronti dei «nativi». Avvennero omicidi e omicidi involontari, ci fu ubriachezza e follia. Solo dieci anni dopo, l'ultimo sopravvissuto degli ammutinati, John Adams, riuscì a formare insieme a dieci donne e diciannove figli nati a Pitcairn una colonia con l'aiuto delle sue idee per una «comunità cristiana». Nei decenni successivi, le persone di Pitcairn vennero occasionalmente scoperte e dimenticate. Il reato di ammutinamento fu prescritto. Il capitano inglese Beechey, che sbarcò a Pitcairn nel mese di dicembre del 1825, descrisse i «fatti strani ed emozionanti» che aveva visto: «Ho camminato attraverso il villaggio, che consisteva di case modeste, ma pulite, circondate da pandani e da palme di cocco. Sembrava prevalere la prosperità tra i coloni, che possedevano polli e maiali, patate dolci, banane e taro. Gli isolani, un miscuglio di inglesi e di polinesiani, avevano un volto amichevole e piacevole, e alle loro membra ben formate non mancava né destrezza né forza» (Homann, op. cit., 298).
No, l'avventura del "Bounty" e la colonia del Pitcairn non possono essere considerate come una piccola utopia di successo. Tagliata fuori da ogni potenzialità sociale, non c'era niente che avrebbe potuto uscirne se non una povera sopravvivenza ferma a metà strada, con mezzi semplici, e favorita dal clima tropicale. La rivolta del "Bounty" non è stata un paradigma positivo, bensì un paradigma negativo. Ad essere decisiva qui, non è l'utopia dell'isola, ma la sentenza distruttrice emessa contro il capitalismo europeo: anche una vita in un'economia di sussistenza, poco attraente sotto molti aspetti, nelle condizioni del cosiddetto «popolo primitivo». era preferibile all'inferno capitalista del lavoro e alle strutture panottiche della modernizzazione; e solo a paragone dei bambini rachitici dei «lavoratori poveri» europei, i bambini di Pitcairn con le loro «membra ben strutturate» avrebbero potuto essere considerati relativamente felici. Oggi, circa duecento discendenti degli ammutinati vivono ancora a Pitcairn una vita assai modesta e monotona - eppure anche così (o già di nuovo) stanno «relativamente meglio» di quanto stiano molte persone nelle baraccopoli di Londra, New York o Rio de Janeiro. Non è stata solo la vera rivolta del "Bounty" ad alimentare la fantasia nella società capitalista in crescita. L'utopia dell'isola è stata indagata in tutta Europa tanto dai difensori quanto dai critici del modello di società del libero mercato. E riguardo questo aspetto, il «capitalismo marittimo» britannico ha fornito quelli che erano i suoi modelli. Due veri e propri «libri universali», arrivati fino ad oggi ad essere familiari a tutti i bambini, si sono fatti carico di questo tema. Già nel 1719, Daniel Defoe (1660-1731) aveva pubblicato “Robinson Crusoe”; nel 1727 vennero pubblicati “I Viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift (1667-1745). Come accade spesso con quelli che sono i libri che hanno un grande potere paradigmatico, queste due storie narrative sono diventate familiari anche come letture di avventura giovanili, nello stesso momento in cui rappresentano, per così dire, modelli storici di riforma sociale e di critica sociale.
Su questo, è poco noto che Defoe e Swift si trovavano agli antipodi. Defoe, proveniente da una famiglia che apparteneva alla setta protestante dei "dissidenti", ed egli stesso attivo come commerciante (fallito) appartenente alla classe media, recava in sé i prerequisiti ideali per arrivare ad edificare una visione borghese del mondo. Nel suo Robinson - come più tardi nella storia del "Bounty" - che fa anche riferimento ad un evento reale (l'esperienza del marinaio scozzese Alexander Selkirk, che aveva fatto naufragio) egli dipinge uno schema positivo di quella che è l'emergente economia di mercato: attraverso la «trasformazione interiore di Crusoe, da marinaio senza pensieri e senza Dio ad amministratore pietoso della propria anima e missionario umano presso i selvaggi» (Reisiger o. J., 562), Defoe traccia l'immagine dell'uomo bianco razionale e diligente, che a partire dal niente crea sistematicamente un mondo confortevole e, inoltre, grazie al commercio ed al «lavoro» nel contesto del meraviglioso comportamento borghese, civilizza il pittoresco «nativo» chiamato «Venerdì». Non è certo un caso che Rousseau abbia reso Robinson una lettura obbligatoria del suo Èmile.
Quel che si può dire di quello che è l'altro personaggio letterario di Defoe, la «famosa Moll Flanders», vale anche per Robinson Crusoe: «Il personaggio principale di Defoe e la forma della sua narrativa riflettono [...] uno degli sviluppi più importanti del 18° secolo, lo sviluppo di un individuo auto-responsabile, che nel suo pensare e nel suo agire è guidato dal senso comune, la moralità sociale vincolante per tutti» (Fache 1979, 401s.). Tuttavia, tutto ciò che qui, nell'ignoranza democratico-borghese, viene inteso positivamente, come apprezzamento del pensiero illuminista, diventa riconoscibile solo alla luce delle successive riflessioni fatte da Kant e da Bentham: il «senso comune» deve perciò essere decifrato come la figura pseudo-morale della macchina capitalista mondiale. Fondamentalmente, la «Robinsonata» ci ha fornito un modello originale dell'economia capitalista, vale a dire, una poderosa metafora dell'individuo astratto e della naturalizzazione ideologica delle relazioni sociali; ma che non vengono svolte, come in Hobbes, secondo quello che lo spirito di un'immagine macabra dell'Uomo, bensì in una prima versione dell'ottimismo del progresso e con una piccola spruzzata di preoccupazione borghese, da quel momento in poi spesso usata come maschera piccolo borghese per quella che è la testa di Gorgone del liberalismo.
Per contro, I Viaggi di Gulliver erano una favola satirica, nella quale Swift aveva fatto uso delle fantastiche fandonie raccontate dai marinai circa le bizzarre creature mitiche che si troverebbero nelle parti distanti del mondo, che da quando hanno inizio i viaggi di scoperta circolano come base di paragone al fine di deridere, in fondo, la società capitalistica della modernizzazione. Per esempio, l'eroe, per descrivere la situazione e la mentalità della sua patria inglese al re del gigantesco impero di «Brobdingnag», egli afferma che la maggior parte dei «nativi inglesi» sono probabilmente «il genere di verme più nocivo, piccolo e orribile, [...] che la natura ha messo a strisciare sulla superficie della Terra» (Swift 1991/1726,189). E, nel regno dei cavalli parlanti, gli esseri umani sono una specie di animali sudici, guidati da degli istinti asociali, che mettono in atto una ridicola caricatura del movente della massimizzazione del profitto, accumulando nelle loro stalle, insieme agli escrementi, delle «pietre brillanti». A tal riguardo, il Gulliver di Swift, come viene detto nell'introduzione ad una recente edizione tedesca, è un «anti-Robinson» consapevole e, in questo senso, una parodia delle «virtù dell'uomo borghese» di Defoe. La polemica viaggiante di Swift è storicamente senza patria, e in essa sono all'opera molti pensieri poco puliti propri della sua epoca. Tuttavia, la visione pessimista che Swift ha dell'essere umano, al contrario di Hobbes, prende di mira proprio il fatto che l'essere umano merita di essere chiamato cane da guardia se accetta il capitalismo. Per cui, il Decano della cattedrale di San Patrizio a Dublino, calunniato come ateo, e sulla cui pietra tombale è stata orgogliosamente inciso il motto «indignazione selvaggia», ha lasciato, oltre Gulliver, al «libero» capitalismo un altro marchio che dopo più di 250 anni colpisce ancora il suo bersaglio. Nel 1729, quasi simultaneamente con la pubblicazione dei trattati di Mandeville a proposito della Favola delle Api, presentò al pubblico borghese la sua memorabile Modesta Proposta affinché la Repubblica potesse godere dei benefici derivanti dai figli e dalle figlie dei genitori poveri:
«È molto triste, per quelli che passeggiano in questa grande città o viaggiano per il paese, vedere le vie, le strade, le porte delle capanne affollate di mendicanti di sesso femminile, seguite da tre, quattro o sei bambini, tutti cenciosi, che seccano ogni passante per aver l’elemosina. [...] Credo che tutti siamo d’accordo, dato il deplorevole stato presente di questo regno, nel considerare come un gravissimo peso ulteriore questo enorme numero di bambini in braccio o sulle spalle o alle calcagna delle loro madri e spesso dei loro padri; [...] I nostri commercianti mi assicurano che un ragazzo o una ragazza sotto i 12 anni non è mercanzia vendibile, e anche quando arrivano a questa età, non sono quotati a più di tre sterline o al massimo tre sterline e mezza corona: questo non basta a rimunerare i genitori e il paese perché la spesa per il nutrimento e per i cenci ha raggiunto almeno il quadruplo di questa somma. Quindi presenterò ora, modestamente, le mie idee, che non credo possano essere oggetto della minima obiezione. Un americano molto pratico, che ho conosciuto a Londra, mi ha assicurato che all’età di un anno un bimbo piccolo, sano e ben curato, è un cibo estremamente delizioso, nutriente e salubre, tanto in stufato che arrosto, tanto al forno che a lesso, e sono certo che sarà altrettanto buono in fricassea o come spezzatino. Sottopongo quindi alla pubblica opinione la proposta di riservare, dei 120.000 bambini già calcolati, 20.000 per la riproduzione, un quarto solo di essi maschi (percentuale maggiore di quella che si osserva per le pecore, per i buoi e per i maiali) [...] I 100.000 che restano dovrebbero, a un anno, venire offerti in vendita ai nobili e ai ricchi di tutto il regno, consigliando sempre alla madre di lasciarli suggere abbondantemente nell’ultimo mese in modo da renderli grassi e ben nutriti per farne un buon piatto. Con un bambino si potranno fare due piatti o un pranzo modesto fra amici; e quando la famiglia mangia da sola, i quarti davanti o quelli di dietro basteranno per un piatto modesto, e conditi con un po’ di pepe o di sale, saranno molto buoni bolliti dopo quattro giorni, specialmente d’inverno. [...] Riconosco che questo cibo sarà un po’ caro e quindi molto adatto per i proprietari di terre che avendo ormai divorato quasi del tutto i genitori, hanno già un buon titolo per mangiarsi anche i figliuoli. » (Swift 2004/1729, 1ss.).
L'attacco di Swift è rivolto direttamente agli apologeti dell'immagine capitalistica dell'essere umano, come Mandeville & Co. E questa satira amara non è poi così lontana dalla realtà odierna, dal momento che ogni «creatore» capitalista, con la sua attenta rispettabilità, a pesargli sulla coscienza ha più bambini di quanto ne avesse il re Erode, anche se non li ha né uccisi né divorati, ma perché il cannibalistico divoramento avviene solo indirettamente e per intercessione degli effetti della «bella macchina» senza soggetto. Il panorama del 18° secolo è lo stesso inferno del nostro stesso futuro. Possiamo smettere di essere dei «cani da guardia personificati»? La questione della responsabilità non può essere eliminata per mezzo di oggettivazioni «scientifiche». Per quanto i partecipanti siano sempre «figli del loro tempo», essi sono anche attori di quel tempo. Non c'è niente di cui chiedere scusa. I signori Defoe, Mandeville, Smith, Kant, Bentham, ecc. hanno reagito a quelle che erano le allora esistenti oggettivazioni dell'economia di mercato per mezzo delle loro idee, ma, a loro volta, tali idee sono state effettivamente incorporate nella successiva oggettivazione di questo paranoico sistema carcerario. La maggior parte dei filosofi della modernizzazione dell'illuminismo, più o meno famosi ( e anche i rappresentanti della grande Rivoluzione Francese) erano solo degli «oppositori» della decrepita facciata del dominio, ma non del dominio in quanto tale. Al contrario, si riferivano alla base senza soggetto del nuovo sistema di dominio, alla macchina mondiale del capitale, come ad un idolo secolare. E le loro idee, la base spirituale del liberismo vista come ideologia degli idoli del «lavoro astratto» e della concorrenza totale, oggi si sono coagulate in una forma generale di pensiero, che rimane immobile, giacendo come un incubo nel cervello umano. La satira disperata di Swift e, dall'altro lato, la rivolta del "Bounty" mostrano che questo sviluppo non era affatto inevitabile, e neppure linearmente «progressista», fin dall'inizio, come il «materialismo storico» dei marxisti amerebbe farci credere. Ma, soprattutto, l'ideologia capitalista della concorrenza totale non ha niente a che vedere che vedere con la presunta essenza dell'essere umano. Da tempo immemorabile, gli individui umani nella loro maggioranza non hanno mai avuto l'ambizione di essere «vincitori» in qualche folle competizione nella quale si accumulano assurde ricchezze nella forma astratta del denaro, o di defecare in un cesso fatto d'oro massiccio. Se si può leggere qualcosa nella storia della modernizzazione, allora si tratta di un desiderio profondamente sentito dall'essere umano, che è stato degradato a materiale, ed è il desiderio di essere finalmente lasciato in pace, per non essere più esposto ai ciechi poteri di quelle che sono strutture alienate, affinché finalmente non possa essere più privato del riposo e smetta di essere accelerato dalla dinamica di uno «sviluppo» resosi autonomo, per non vedere più le diverse facce dei grandi signori della macchina del mondo, e non ascoltare più il continuo chiacchiericcio dei suoi pedagoghi, istigatori e amministratori di esseri umani.
- Robert Kurz - dal Libro nero del Capitalismo - pagg. 50 - 56 -
fonte: EXIT!
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