Virgilio. Il grande cantore dell’emigrazione
- di Nicola Gardini -
L’autore dell’«Eneide» è stato non solo colui che ha rappresentato le fatiche dei profughi nelle più sfumate variazioni, ma colui che più di tutti gli antichi ha contribuito a costruire un’idea di Mediterraneo
La rocca di Troia, al termine di una guerra decennale, è finalmente presa d’assalto dai Greci ed Enea, resa impossibile qualunque resistenza per la morte dei più valorosi tra i troiani, riesce a fuggire con il padre, il figlio, una folla di concittadini – uomini e donne di varie età – e gli dei della casa. Questi sbandati saranno i fondatori di Roma. Ma per il momento hanno solo il sogno di mettersi in salvo. Il viaggio per mare li porta dalle coste dell’Asia minore alle coste italiche attraverso numerose tappe, disseminate per il Mediterraneo: miraggi di arrivo, soste temporanee, falsi approdi, naufragi, lutti continui.
La traversata assomiglia, se guardiamo la carta geografica, a un’onda sinusoidale, che va da destra a sinistra, ovvero da est a ovest. Comincia da Troia, sale leggermente verso la Tracia, precipita verso Creta, risale verso il tacco d’Italia, toccando Azio e Butroto, città dell’Epiro, ridiscende verso la Sicilia e, circumnavigandola da sud, rimonta fino a Drepano e da lì piega a sud verso Cartagine. A questa segue una seconda traversata, che riporta i profughi in Sicilia e da lì li spinge fino a Cuma e ai porti del Lazio. Onde, venti, coste, spiagge, rive, porti, rocce, scogli, spume, sabbie; e remi, vele, prore, poppe, flotte, scafi… Di tutte queste sineddochi si costruisce il viaggio. Il mare ha molti nomi, nessuno proprio: altum, aequor, mare, sal, gurges, pelagus, pontus etc. Gli aggettivi che lo qualificano rimandano a una vastità disorientante, sconfinata e aggressiva. Ai tempi di Virgilio il Mediterraneo si chiama variamente nostrum mare (più di rado mare nostrum), attestato per la prima volta in Giulio Cesare, mare internum, mare magnum. Mare mediterraneum compare assai più tardi, in Solino (III secolo) e in Isidoro (VI-VII secolo). Si badi: mare nostrum non ha valenza imperialistica, come quando ricompare nella propaganda fascista. Indica semplicemente il mare vicino e conosciuto, contrapposto all’Oceano, estraneo e insondabile.
Didone, la regina di Cartagine, chiama i viaggi di Enea “errores”, “errabondaggi”. Error ed errare per Virgilio indicano non semplicemente il percorso degli smarriti. Error, certo, è anche lo smarrimento, sia fisico sia mentale. Nell’immaginazione virgiliana, però, indica anche il viaggio inevitabile; sta nella matematica delle leggi universali. Poco prima che Didone alluda agli “errores” di Enea (I,755) sentiamo Iopa, l’aedo di corte, comporre un canto astronomico, dove entrano anche gli “errores” dei corpi celesti. Il viaggio di Enea si iscrive così, con tutta la sua dolorosa condizione, in un ordine cosmico. Errare non è dell’uomo e basta, non è casuale e basta: errare tutto deve; cercare faticosamente la propria collocazione nell’universo. Errans è definita la stessa Didone (IV, 211). Il suo nome, nome fenicio, secondo un certo etimo significherebbe proprio questo.
Il viaggio mediterraneo degli Eneadi è un viaggio di ricerca e di perdita, sebbene debba concludersi con l’approdo definitivo. È più di una traversata geografica; è un’iniziazione al male e all’inospitalità degli uomini e degli dei, di cui si susseguono esempi indimenticabili: la violenza dei Traci, la peste di Creta, le sozze Arpie, i Ciclopi, Scilla e Cariddi.
A Cartagine, dove approdano per una tempesta, Enea e la sua gente si illudono di aver trovato una casa. La regina Didone li accoglie generosamente. Si innamora pure di Enea e lo vuole al suo fianco. Ed Enea la ricambia e per qualche tempo acconsente a restarle vicino. Anzi, sembrerebbe ben contento di protrarre il soggiorno indefinitamente se gli dei non avessero in mente altro per lui. A Cartagine tutti i nodi vengono al pettine: la fuga dei Troiani non è solo un viaggio di salvezza, ma un viaggio di fondazione. Hanno una missione da compiere, come sanno fin dal primo momento: riportare in vita Troia e renderla ancora più grande e potente. E questo non si può fare ovunque. I fati impongono che si faccia nel Lazio.
La partenza di Enea induce Didone al suicidio. La morte volontaria della regina aggiunge dramma al racconto epico, innestando la tragedia nel tronco della tradizione omerica. È l’apporto più originale di Virgilio alla storia del genere epico. Serve a parlare d’amore ma anche a fornire una ragione per la futura inimicizia tra Roma e Cartagine. Tolte le ragioni narrative e ideologiche che giustificano l’episodio, e tolta anche la complessità emotiva che più di altre morti riesce a orchestrare, la morte di Didone è uno dei vari sacrifici che Enea deve compiere al dio dell’erranza, anzi allo stesso viaggio per mare. Il mare è il grande nemico di Didone. Anche il funerale di Didone appartiene alla scena del mare. Enea, infatti, vede la pira del suo funerale. Così lei stessa ha deciso che dovesse accadere.
Si torna in Sicilia, dove Enea è già stato un anno prima. L’Italia promessa è prossima, manca poco al compimento del viaggio, e Giunone, la dea nemica, lo paventa. Sapendo che la fondazione di Roma porterà alla distruzione dell’amata Cartagine, tenta di ostacolare i disegni del fato con uno stratagemma: istigando le donne troiane a incendiare le navi. Non era difficile persuaderle a tanto, essendo molte di loro sfinite dagli errabondaggi. Virgilio le definisce: “fessas aequore matres”, “le madri stanche di mare” (V, 715), condensando in una formula potentissima lo strazio dell’emigrazione; lo “sconforto da largo”. A Enea, della folla iniziale, restano gli uomini più forti. Al decimo giorno il commiato, tristissimo, sulla spiaggia: luogo liminale, linea del destino. Di quante spiagge si compone l’Eneide, che si avvicinano e si allontano, buone per una sosta rinfrancante o fatte per essere abbandonate subito! E anche chi non voleva più partire, ora vorrebbe riprendere la via delle onde, non sapendo sostenere la pena del distacco.
Comincia l’ultima avventura. Ma interviene un nuovo dramma. È una delle notti memorabili dell’Eneide. Il cielo è sereno, i marinai dormono. Solo Palinuro, il pilota, veglia, dedicato alla sua importante mansione. Quand’ecco che dal cielo scende il dio del Sonno. Preso l’aspetto di un amico, lo esorta a riposare, lasciando che la nave proceda da sola. Palinuro non si lascia convincere; lui conosce bene le insidie del buon tempo, non si fida di quel “mostro”. Proprio così chiama il mare, ed è probabile che il sostantivo sia dettato dall’idea di ambivalenza o ibridità che il pensiero antico tende ad associare all’idea di monstrum. Infatti, quel che ora appare placido può ben essere che nasconda un secondo aspetto contrario, violento e crudele. Il dio, spazientito dall’ostinazione di Palinuro, abbandona le chiacchiere e gli scuote sulle tempie un ramo soporifero. E Palinuro crolla addormentato ma non lascia la presa e, precipitando in mare, si porta via un pezzo della poppa e tutto il timone. Difficile non rinominare, con Palinuro, quel Mare nostrum che ancora qualcuno ha voglia di utilizzare come slogan Mare monstrum. Lo ritroveremo, Palinuro, nell’oltretomba, tra le anime degli insepolti.
Virgilio è stato non solo il primo grande poeta dell’emigrazione, colui che ne ha rappresentato le fatiche nelle più sfumate variazioni, ma colui che più di tutti gli antichi ha contribuito a costruire un’idea di Mediterraneo. Il viaggio fatale di Enea ha fatto di tanti luoghi sparsi un’unità, uno spazio continuo, un teatro. E questo teatro non è solo spazio geografico: ma è sguardo fisso su un’alterità che sempre ci sta davanti, che guardiamo e che ci guarda, estesa tanto fuori quanto dentro a ognuno: perché è a un tempo coscienza dell’alterità ed essenza dell’alterità. Virgilio ci ha insegnato che il Mediterraneo è la Storia, fatta di poteri insuperabili, di guerra, di dolore, e di uomini e donne che cercano un senso e una necessità per le loro azioni. L’esilio di Enea è l’esilio di tutti, perché tutti abbiamo bisogno di accoglienza.
- Nicola Gardini - Pubblicato su “Domenica – Il Sole 24 ore”, 23 giugno 2019 -
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