sabato 13 luglio 2019

Clic

Aspettando i robot?
- Per eclissare l'essere umano, la tecnologia non ha bisogno dell'automazione totale -
- di Matthieu Amiech -

Il libro di Antonio Casilli, "En attendant les robots. Enquête sur le travail du clic" (éd. Seuil), fin da quando è stato pubblicato nel mese di gennaio del 2019, ha suscitato un coro di lodi da parte dei media mainstream (liberal-progressisti). Questo può sembrare sorprendente, se si considera che nel libro viene proposta quella che è un'inchiesta abbastanza seria svolta dietro le quinte di Internet, indagando l'oscura realtà sociale che permette il funzionamento delle piattaforme digitali, come Youtube, Amazon Mechanical Turk, Deliveroo, Uber… A prima vista, la tesi di Casilli può quindi sembrare una difesa dell'essere umano contro l'ipotesi di una robotizzazione e di una disumanizzazione totale del nostro mondo: essa mostra, facendo uso di tanti esempi, come il processo di automazione in corso induca strutturalmente un bel po' di lavoro umano. Non solo quello degli ingegneri e degli esperti in Intelligenza Artificiale, che concepiscono un tale processo, ma anche, in misura enorme, tanto lavoro subordinato - il lavoro dei senza mestiere, come ama dire l'autore. Quindi, contrariamente a quanto proclamano i comunicatori della Silicon Valley, e come viene riecheggiato dal coro dei media, non saremmo affatto entrati in una fase di massiccia eliminazione del lavoro umano da parte dei robot, dal momento che per funzionare questi robot hanno bisogno di tale lavoro.
Per tale motivo, il libro inizia a partire da una confutazione della teoria della «grande sostituzione tecnologica», la quale, secondo Casilli, «domina il dibattito intellettuale da alcuni decenni» (p.13). Una simile affermazione appare quanto meno discutibile. Nelle scienze economiche, al contrario, oggi così come (l'altro)ieri, continua a regnare la teoria della sostituzione tout court, teoria secondo cui tutte le soppressioni dei posti di lavoro, a causa dell'automazione, in certi settori, vengono sempre compensate attraverso la creazione di altri posti di lavoro, soprattutto e in particolare in quelli che sono i nuovi settori di attività. L'idea che la disoccupazione di massa e/o il lavoro precario abbiano a che fare con il progresso tecnologico, è stata completamente assente dal dibattito intellettuale dal 1995 al 2010, e non è mai ridiventato oggetto di discussione, se non a causa di alcuni studi accademici anglosassoni, i quali, nel 2011 e nel 2013 si sono posti in rottura con il consenso abituale: il libro americano "Race against the machine", il quale annunciava che l'accelerazione dell'innovazione non rimarrà senza effetti sul mercato del lavoro; ed uno studio di due ricercatori di Oxford, dove si prevede che il 47% dei posti di lavoro esistenti verranno direttamente minacciati dall'Intelligenza Artificiale e dalla robotica.
Tuttavia, quando il governo ha ordinato, al Consiglio per la Politica dell'Occupazione, una sintesi circa un simile soggetto, questi timori sono stati fortemente relativizzati, concludendo che ad essere minacciati sono solamente il 10% dei posti di lavoro attuali, cosa che ha permesso alla stampa mainstream di rassicurare i propri lettori [N.d.T.: “Avec les robots”, éditorial du journal La Croix, 14 janvier 2017.]. Negli ambienti critici del capitalismo, contrariamente a quanto suggerisce Casilli, quasi nessuno si interessa realmente a tali questioni. I soli autori che hanno dato importanza agli studi prospettici citati, sono stati "Pièces et Main d’oeuvre" e "Tomjo"; ma Casilli si guarda bene dal farne menzione, quando invece la loro idea secondo cui una parte crescente della popolazione, in Francia e nel mondo, viene resa superflua a causa dell'evoluzione tecnologica è di grande interesse, anche per quanto riguarda la condizione dei lavoratori che egli descrive in "En attendant les robots".
Ma Casilli è sicuro del fatto suo. Cita delle statistiche che escludono le cose che percepiamo quando ci troviamo in fila alle Poste, nelle agenzie di collocamento, o nelle stazioni ferroviarie: cioè, il fatto che delle macchine e delle «soluzioni» di Internet (che fa rima con casse-tête [puzzle]) vengono messe in atto allo scopo di sopprimere dei posti di lavoro nei servizi pubblici. Egli cancella e nasconde  l'esistenza di una disoccupazione di massa su scala mondiale, prendendo sul serio quelle che sono le cifre di piena occupazione che ci vengono presentate nei paesi dove le persone lavorano quasi per niente. Secondo lui, il lavoro soppresso nell'agricoltura, nell'industria e nei servizi classici oggi riemerge in maniera massiccia sotto forma di «lavoro del clic», frammentato ed esternalizzato dalle aziende: la «moderazione» dei contenuti messi in linea su Youtube o quella dei messaggi inviati su Twitter; la trascrizione delle conversazioni registrate dall'assistente vocale Alexa ; l'analisi o il conteggio degli elementi all'interno di una pubblicità o in un'immagine dei video-sorveglianza. Tutti questi compiti vengono assunti da decine di migliaia di «micro-lavoratori», malpagati in Occidente, appena remunerati nel Terzo Mondo; ci racconta Casilli. In realtà, su questo argomento non ci presenta alcuna statistica (e questo per una buona ragione: è molto difficile); ma qualunque sia l'ampiezza numerica precisa del fenomeno, la descrizione che egli ne fa è interessante ed edificante. Il problema è la prospettiva che propone.
Il sociologo franco-italiano valorizza questo genere di lavoro, che secondo lui permette ed impedisce allo stesso tempo l'automazione. Il fatto che i cottimisti che lo svolgono non abbiano più alcuna interazione diretta, né con il materiale né con gli utenti di un servizio dove sono ridotti a coadiuvare del software o dei robot, e diventino perciò palesemente dei veri e propri ingranaggi di una macchina sociale che tende all'automatismo, fondamentalmente, da un punto di vista politico o etico,  niente di tutto questo costituisce un problema per Casilli. Il modo in cui egli maschera (o addirittura rovescia) la realtà viene illustrato dalla seguente frase: «Gli attrezzi tecnologici non sono altro che degli strumenti del gesto produttivo umano, il quale si è sempre espresso in degli ambiti equipaggiati» (p.91). Mentre secondo quelle che sono le sue stesse tabelle, sono le capacità cognitive umane ad essere diventate gli strumenti dell'attrezzatura tecnologica, questi a loro volta formano un nuovo ambito, nel quale non è più possibile che abbia luogo alcun gesto produttivo (se non il sinistro «clic»).
Oltre tutto, l'autore mette sullo stesso piano il lavoro micro-remunerato dei precari americani o dei giovani nigeriani che non hanno alcun altro reddito con l'attività degli utenti di Internet attivi sulle reti sociali, sui siti di vendita online, e perfino sui siti di ricerca scientifica. Per lui, raccomandare dei libri, o le recensioni che vengono proposte da dei lettori; scattare delle foto in dei luoghi in cui le vetture di Google Street View non possono arrivare; i contributi in seno ad una comunità di «gamers» (videogiochi online) sono lo stesso genere di lavoro di annotazione dati ed etichettatura delle immagini catturate da un vettura «autonoma», che viene svolto per qualche euro (o centesimi di euro) da un dipendente (ultra-)precario. In effetti, lavoro o tempo libero producono entrambi del valore, seppure indirettamente, per le grandi piattaforme capitalistiche della nostra epoca, le quali beneficiano di tutto quello che circola sul web. Tutti contribuiscono al perfezionamento degli algoritmi, dei programmi di automazione in atto, all'addestramento delle macchine e della loro «intelligenza» Come dice la filosofa tecnocratica Célia Izoard: «Non possiamo ratificare così facilmente, nemmeno attraverso delle compensazioni economiche, un progetto di società così catastrofico come quello che moltiplica la presenza dei robot nel nostro quotidiano, nel nostro lavoro. Poiché dietro quello che viene sempre presentato come l'orizzonte millenarista della soppressione del lavoro umano, che viene profetizzato da più di due secoli, quella che si può constatare è una proletarizzazione sempre più crescente del lavoro stesso. In sostanza: con l'automazione, si moltiplicano i lavori di merda. E soprattutto, nel passato e indubbiamente anche per il futuro, la robotizzazione instaura un rapporto di forza estremamente favorevole alla grande industria»  (Émission Racine de Moins Un n°29, “Robots et Travail : le progrès sans le peuple”, juin 2017).
A partire da questa confusione estremamente problematica emerge una delle principali proposte politiche del libro: non solo Cassilli si aspetta che con il micro-lavoro si creeranno dei veri e propri posti di lavoro, che verranno integrati nel lavoro salariato del nuovo guardiano; ma in più auspica che venga remunerata l'attività gratuita degli internauti, per quello che è il loro tempo libero, attraverso un reddito sociale digitale! Chissà se si rende conto che in Francia ci sono milioni di persone che non partecipano a tutto questo? A cominciare da quella frangia di popolazione che è reticente nei confronti del digitale, o che non è sufficientemente equipaggiata per farlo, e per cui l'attuale informatizzazione di tutti i servizi costituisce un calvario.
Per Casilli, tutte queste persone non esistono affatto. Egli naturalizza completamente il grado attuale di digitalizzazione delle nostre esistenze, mentre la maggior parte dei fenomeni, delle imprese e dei lavoretti che descrive sono assai recenti (spesso risalgono a meno di 5 anni, e comunque a meno di 15 anni). Si indigna per lo sfruttamento dei lavoratori del clic o per i fattorini e gli autisti alla Uber, ma non avviene mai che egli deplori quelli che sono i riflessi e le conseguenze della neo-vita domestica - del mettersi a disposizione del mondo e degli altri - che incoraggia l'utilizzo degli smartphone e delle loro App. Fa velocemente riferimento allo sfruttamento dei lavoratori che fabbricano il materiale elettronico, ma non menziona mai l'esorbitante costo ecologico di questo chincagliera hardware necessaria al funzionamento di Internet.
Le sue proposte risultano perciò essere falsamente impertinente. Potrebbe sembrare umanista, dal momento che sottolinea come il complesso cibernetico abbia sempre bisogno dell'intelligenza umana per essere sviluppato e messo a punto, per essere assistito, e corretto. Ma non critica affatto quella che è la sottomissione a cui è già arrivata l'umanità, e nella quale gli esseri umani sono sottomessi ai computer, né critica il potere effettivo degli scienziati informatici sulle nostre vite, e questo senza che si debba aspettare l'arrivo dei robot.

- Matthieu Amiech - Pubblicato nel Giugno 2019 su Des éditions La Lenteur.

fonte: Et vous n'avez encore rien vu…

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