Domanda: Ci sono due momenti, di quello che racconti della tua vita, che non mi sono chiari. Il primo riguarda l'esperienza storica del 1914, quando il nazionalismo prevale sulla coscienza di classe. Il secondo, è quando affermi in maniera sbrigativa che gli operai in America sono solo degli stronzi!
Mattick: Sì, è vero, sono dei bastardi, e non ci possiamo fare niente. Vivere in una società dove esistono gli antagonismi di classe, e dove gli operai sono sfruttati, non cambia affatto che la popolazione operaia giudichi una tale situazione come la migliore per loro. Questo è il caso degli operai americani, per esempio, ma è vero anche in Germania e altrove. Dal momento che non ricevono cazzotti in bocca da un certo tempo, dal momento che non fanno esperienze spiacevoli o insopportabili, si rassegnano, per lo più, ad essere sfruttati e finiscono per venire a patti con la loro situazione. Ogni essere umano sa bene di avere un tempo di vita limitato. Quando non riesce più ad immaginare di poter cambiare la società, cerca di vivere il meglio possibile nel suo ambito sociale. E' questo il fondamento del riformismo. Ed è l'attitudine generale della classe operaia in un paese che, come l'America, ha conosciuto delle crisi sempre seguite da un nuovo periodo d'espansione. La coscienza di classe, che emerge ad ogni crisi e che s'incarna in un grande movimento contro il capitalismo, sparisce nuovamente. La classe operaia si viene a trovare allora in una situazione in cui l'inversione dell'ordine delle cose gli sembra inimmaginabile.
Domanda: La teoria marxista è una critica dell'economia politica, e dunque implicitamente una critica della società capitalista. Non sotto forma di una descrizione concreta e positiva, ma in quanto negazione che contiene in sé la concezione di una società emancipata. In quanto teoria, essa presuppone altresì l'attività cosciente della classe contro la società esistente, in modo tale che attraverso questa attività venga alla luce quello che altrimenti sarebbe rimasto nascosto.
Mattick: Se bastasse rivelare ciò che è nascosto, non ci sarebbe alcun bisogno di agire in modo rivoluzionario, o agire, semplicemente. Si può identificare perfettamente il modo di funzionamento della società capitalista e ancora pervernire alla conclusione - solo perché essa funziona - che è meglio accomodarvisi. Si sente spesso dire che è inutile andare a sbattere la testa contro i muri e che non si può rovesciare questo sistema perché esso è troppo forte. Marx diceva che le abitudini di vita diventano una seconda natura per gli esseri umani. Prendiamo il caso dell'operaio che vive nelle sue cattive condizioni ma che ha la possibilità di migliorare; egli accetterà la sua esistenza, la rivendicherà perfino come piacevole. I proletari non vogliono assolutamente diventare dei borghesi, perché sanno che non possono diventarlo. Ed è per questa stessa ragione che nel loro seno si sviluppa l'idea per cui il loro modo di vivere è quello buono e che vale veramente la pena di essere vissuto. Gli operai non sono assolutamente invidiosi dei ricchi, la cui vita è per loro un'astrazione. Essi vivono nel loro mondo e l'accettano in quanto tale, come il mondo che a loro piace. Sono soddisfatti della loro situazione, anche se sono sfruttati, fin tanto che possono migliorare le loro condizioni di esistenza.
Domanda: Allora ciò significa che la conoscenza da sola non è sufficiente perché si affermi l'attività di classe, ma che devono essere presenti anche altri elementi?
Mattick: Sì, ma c'è bisogno che gli operai escano dal loro stato di sottomissione [...] L'operaio, il cui padre ed il cui nonno sono stati anche loro operai, non intende avere un altro destino. Non aspira a nient'altro, vuole vivere così. Se queste condizioni di esistenza si deteriorano, allora reagisce. Fino a quando la borghesia non si trova obbligata a ridurre il suo livello di vita, non si muove.
In fabbrica, per esempio, gli operai non hanno affatto la sensazione di essere sfruttati. E' un errore pensare che siano depressi. Scherzano, ridono, raccontano ogni sorta di storie, lavorano, litigano. Solo chi non ha mai lavorato in una fabbrica può credere che essi vivano la loro condizione come un calvario. Al contrario, gli operai pensano: "Se solamente si potessero fare anche gli straordinari", per essere in grado di poter consumare un po' di più. Supporre che gli operai si sentano oppressi o maltrattati in fabbrica è veramente una cazzata, frutto dell'immaginazione dei giornalisti.
Un operaio è assolutamente felice quando, per esempio, ottiene un posto di lavoro da Henry Ford. Tutti vogliono lavorare lì. Anche se il lavoro è faticoso, quando torna a casa, l'operaio è pieno di illusioni. Immaginarsi che l'operaio, dal momento che lavora lì, sia cosciente della sua situazione di classe, è un errore. Egli non si sente maltrattato. Individualmente, si sente soddisfatto e non si ritiene per niente alienato. Accetta la sua esistenza come la sola possibile, perché deve lavorare. E: "Se non lavoro, lo farà un altro al mio posto. Tutti gli esseri umani devono lavorare. Senza gli operai non si costruirebbe niente" [...] Si sentono a proprio agio in questa vita nella quale si identificano completamente. Ed essa non ha niente a che fare con quel "uomo ad una dimensione" che sarebbe sorto improvvisamente. Questa identificazione degli operai con la loro propria esistenza esiste da molto tempo. Se il capitalismo si eternelizzasse nella sua forma attuale, non scadrebbe niente [...] Quando ci si concentra sulla storia e si constata che siamo passati di sconfitta in sconfitta, bisogna porsi legittimamente la domanda: il socialismo è solo una fesseria e noi abbiamo perso il nostro tempo ad occuparci di un'utopia? Quando si constata, però, che la dinamica del capitalismo con le sue crisi interne è oramai qualcosa che non si può più padroneggiare, quale che sia la sua forma, allora, innanzi tutto, bisogna che ci interessiamo a coloro che sviluppano una critica dell'economia politica. Penso alle teorie keynesiane, per esempio a quelle di Gillman, che sono interpretazioni politiche del pensiero economico di Keynes. A me importa provare che questo sistema andrà a sparire un giorno, esattamente come è stato il caso di tutte le società di classe del passato. Mi sembra sia importante anche provare che si può cercare di trasformarlo, in un modo o nell'altro, ma qualunque cosa facciamo esso porta in sé i germi della sua propria decomposizione. La contraddizione formulata da Marx, utilizzando il concetto di forza produttiva ed il concetto di rapporto di produzione, ci porta all'idea della fine del capitalismo. Mi interesso all'economia politica perché cerco di sapere in quale misura l'accumulazione e gli interventi del capitale possono veramente superare questa contraddizione interna.
Se avessi constatato che la società capitalista poteva perpetuarsi indefinitivamente, allora mi sarei fermato lì. Fino ad ora, ho osservato che le teorie che considerano il capitalismo come imperituro assumono forme moraliste e puramente politiche, oppure vogliono solo trasformarlo in capitalismo di Stato. Tutte queste teorie sono infondate e sfiorano solamente i veri problemi reali della società capitalista. Per questo, sono convinto che tutto crollerà un giorno.
Quello di cui sono sicuro oggi, è che il processo può richiedere molto più tempo di quanto avevano previsto Korsch e Marx. Se potesse durare 100 anni, vorrebbe dire che si potrebbe, manipolandolo, farlo durare per 500 anni. Chissà? Sono convinto altresì che non si possa eludere, per la natura stessa del sistema, la questione della trasformazione del capitalismo in socialismo. A maggior ragione oggi, che si sa che il sistema rischia di distruggere il pianeta.
Quindi, per me, il problema fondamentale non è tanto la tendenza del capitalismo a fare fallimento, quanto questa possibile distruzione. Si pone un problema politico ben più globale. Tanto che il socialismo diviene solo una possibilità fra le altre, e non è perciò inevitabile. Evidentemente, se si considera che la distruzione atomica è ineluttabile, allora, non abbiamo nemmeno più bisogno di occuparci di qualsiasi cosa, ma semplicemente di goderci gli ultimi giorni della vita sulla Terra. Tuttavia, dal momento che è possibile che non scoppi la guerra nucleare, sono assolutamente certo che il capitalismo si estinguerà. Ma sarà un processo assai più lungo di quello che abbiamo potuto immaginare.
[...] Sono convinto che senza crisi, non si dà rivoluzione. E' una vecchia convinzione che proviene da Rosa Luxemburg, definita la "teorica della catastrofe". Anch'io sono un pensatore della catastrofe. Non concepisco che la classe operaia possa affrontare il capitalismo se la società non conosce una crisi profonda e ad uno stato di decadenza permanente. Se non è così, la classe operaia si integra al sistema capitalista. Senza catastrofe, non c'è socialismo possibile. Così è avvenuta la nascita dello stesso capitalismo. La classe dominante può controllare coscientemente la politica, ma non l'economia. E la crisi arriverà dall'economia.
- dal libro di Paul Mattick, "La Révolution fut une belle aventure. Des rues de Berlin aux mouvements radicaux américains (1918-1934)" - In fabbrica, per esempio, gli operai non hanno affatto la sensazione di essere sfruttati. E' un errore pensare che siano depressi. Scherzano, ridono, raccontano ogni sorta di storie, lavorano, litigano. Solo chi non ha mai lavorato in una fabbrica può credere che essi vivano la loro condizione come un calvario. Al contrario, gli operai pensano: "Se solamente si potessero fare anche gli straordinari", per essere in grado di poter consumare un po' di più. Supporre che gli operai si sentano oppressi o maltrattati in fabbrica è veramente una cazzata, frutto dell'immaginazione dei giornalisti.
Un operaio è assolutamente felice quando, per esempio, ottiene un posto di lavoro da Henry Ford. Tutti vogliono lavorare lì. Anche se il lavoro è faticoso, quando torna a casa, l'operaio è pieno di illusioni. Immaginarsi che l'operaio, dal momento che lavora lì, sia cosciente della sua situazione di classe, è un errore. Egli non si sente maltrattato. Individualmente, si sente soddisfatto e non si ritiene per niente alienato. Accetta la sua esistenza come la sola possibile, perché deve lavorare. E: "Se non lavoro, lo farà un altro al mio posto. Tutti gli esseri umani devono lavorare. Senza gli operai non si costruirebbe niente" [...] Si sentono a proprio agio in questa vita nella quale si identificano completamente. Ed essa non ha niente a che fare con quel "uomo ad una dimensione" che sarebbe sorto improvvisamente. Questa identificazione degli operai con la loro propria esistenza esiste da molto tempo. Se il capitalismo si eternelizzasse nella sua forma attuale, non scadrebbe niente [...] Quando ci si concentra sulla storia e si constata che siamo passati di sconfitta in sconfitta, bisogna porsi legittimamente la domanda: il socialismo è solo una fesseria e noi abbiamo perso il nostro tempo ad occuparci di un'utopia? Quando si constata, però, che la dinamica del capitalismo con le sue crisi interne è oramai qualcosa che non si può più padroneggiare, quale che sia la sua forma, allora, innanzi tutto, bisogna che ci interessiamo a coloro che sviluppano una critica dell'economia politica. Penso alle teorie keynesiane, per esempio a quelle di Gillman, che sono interpretazioni politiche del pensiero economico di Keynes. A me importa provare che questo sistema andrà a sparire un giorno, esattamente come è stato il caso di tutte le società di classe del passato. Mi sembra sia importante anche provare che si può cercare di trasformarlo, in un modo o nell'altro, ma qualunque cosa facciamo esso porta in sé i germi della sua propria decomposizione. La contraddizione formulata da Marx, utilizzando il concetto di forza produttiva ed il concetto di rapporto di produzione, ci porta all'idea della fine del capitalismo. Mi interesso all'economia politica perché cerco di sapere in quale misura l'accumulazione e gli interventi del capitale possono veramente superare questa contraddizione interna.
Se avessi constatato che la società capitalista poteva perpetuarsi indefinitivamente, allora mi sarei fermato lì. Fino ad ora, ho osservato che le teorie che considerano il capitalismo come imperituro assumono forme moraliste e puramente politiche, oppure vogliono solo trasformarlo in capitalismo di Stato. Tutte queste teorie sono infondate e sfiorano solamente i veri problemi reali della società capitalista. Per questo, sono convinto che tutto crollerà un giorno.
Quello di cui sono sicuro oggi, è che il processo può richiedere molto più tempo di quanto avevano previsto Korsch e Marx. Se potesse durare 100 anni, vorrebbe dire che si potrebbe, manipolandolo, farlo durare per 500 anni. Chissà? Sono convinto altresì che non si possa eludere, per la natura stessa del sistema, la questione della trasformazione del capitalismo in socialismo. A maggior ragione oggi, che si sa che il sistema rischia di distruggere il pianeta.
Quindi, per me, il problema fondamentale non è tanto la tendenza del capitalismo a fare fallimento, quanto questa possibile distruzione. Si pone un problema politico ben più globale. Tanto che il socialismo diviene solo una possibilità fra le altre, e non è perciò inevitabile. Evidentemente, se si considera che la distruzione atomica è ineluttabile, allora, non abbiamo nemmeno più bisogno di occuparci di qualsiasi cosa, ma semplicemente di goderci gli ultimi giorni della vita sulla Terra. Tuttavia, dal momento che è possibile che non scoppi la guerra nucleare, sono assolutamente certo che il capitalismo si estinguerà. Ma sarà un processo assai più lungo di quello che abbiamo potuto immaginare.
[...] Sono convinto che senza crisi, non si dà rivoluzione. E' una vecchia convinzione che proviene da Rosa Luxemburg, definita la "teorica della catastrofe". Anch'io sono un pensatore della catastrofe. Non concepisco che la classe operaia possa affrontare il capitalismo se la società non conosce una crisi profonda e ad uno stato di decadenza permanente. Se non è così, la classe operaia si integra al sistema capitalista. Senza catastrofe, non c'è socialismo possibile. Così è avvenuta la nascita dello stesso capitalismo. La classe dominante può controllare coscientemente la politica, ma non l'economia. E la crisi arriverà dall'economia.
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