Scavare e ricordare
di Walter Benjamin
Il linguaggio ci ha fatto capire, senza possibilità di equivoci, che la memoria non è uno strumento, bensì il medium stesso, per la ricognizione del passato.
È il medium di ciò che si è esperito, allo stesso modo in cui la terra è il medium in cui sono sepolte le città antiche. Chi cerca di accostarsi al proprio passato sepolto deve comportarsi come un individuo che scava. Soprattutto non deve temere di tornare continuamente a uno stesso identico stato di cose - di disperderlo come si disperde la terra, di rivoltarlo come si rivolta la terra stessa. Giacché gli «strati di cose» non sono altro che strati che consegnano, solo dopo la ricognizione più accurata, ciò che giustifica tale scavo. Ossia le immagini, che, strappate a tutti i precedenti contesti, per il nostro sguardo ulteriore sono dei gioielli in abiti sobri: come i torsi nella galleria del collezionista. Ed è sicuramente utile, nello scavare, procedere secondo un progetto. È comunque altrettanto indispensabile il colpo di vanga che procede con prudenza e a tentoni nell’oscuro regno della terra. E s’inganna su ciò che è più importante chi fa solo l’inventario degli oggetti ritrovati e non sa indicare nel terreno odierno esattamente il luogo in cui era conservato l’antico. Così i ricordi veri devono non tanto procedere riferendo, quanto piuttosto designare esattamente il luogo nel quale colui che ricerca si è impadronito di loro. In maniera epica e rapsodica nel senso più stretto del termine, il ricordo reale deve dunque offrire anche un’immagine di colui che si sovviene, allo stesso modo in cui un buon resoconto archeologico non deve limitarsi a indicare gli strati da cui provengono i propri reperti, ma anche e soprattutto quelli che è stato necessario attraversare in precedenza.
- Walter Benjamin -
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