domenica 13 ottobre 2013

Marciare sulle teste dei re!

Tersite

Uno dei caratteri più interessanti dell'Iliade non è né un dio né un eroe, ed appare solo nel corso di un alterco. Se escludiamo Dolone, Tersite è l'unico soldato comune che appare nel poema ed inoltre può essere considerato come il primo esempio in assoluto, in tutte le letterature, di agitatore politico. I marxisti, e lo stesso Marx, hanno sempre avuto un interesse particolare per la figura di Tersite. Nel secondo libro dell'Iliade, Agamennone raduna le truppe sulla spiaggia, in una sorta di test per il loro coraggio, facendo finta di voler porre fine alla guerra e tornare a casa. I soldati, esausti dopo nove anni di guerra, immediatamente corrono verso le loro navi. Ma Ulisse, imbeccato dalla dea Athena, si rivolge loro e, con la sua arte oratoria, riesce a capovolgere il loro stato d'animo. Solo un soldato non si lascia fregare dalle parole del figlio di Laerte. Tersite, uno che come si suol dire ... parla troppo, solito rivolgersi impudentemente agli "ufficiali" dell'esercito di Agamennone. L'unico "critico sociale" di tutto il mondo omerico. E l'unico di tutti i soldati ad avere il coraggio di alzarsi in piedi e sfidare, da pari a pari, l'Atride.

"Così gridava a gran voce e insultava Agamennone: «Atride, di che mai ti lagni? cosa ti manca ancora? Hai le baracche piene di bronzo, hai tante donne nei tuoi alloggiamenti, il fior fiore. E siamo noi Achei a offrirle a te prima che ad altri, ogni volta che prendiamo una città. Di’, hai bisogno ancora di oro? e te lo dovrebbe portare qualcuno dei Troiani da Ilio per riscattare il figliolo, legato e condotto qui da me o da un altro acheo? O vuoi una ragazza fresca fresca da farci l’amore e da tenere tutta per te? Oh, non è proprio giusto che un tale condottiero cacci nei guai i figli degli Achei! O voi poltroni, miserabili vigliacchi! Donnicciole siete, non guerrieri achei! Via, torniamo con le navi a casa e lasciamo lui qui, nella terra di Troia, a digerire i suoi privilegi! Vedrà così se anche noi gli siamo, sì o no, di aiuto."

L'analisi che fa Tersite della situazione è perfettamente sensata. Perché mai le truppe non dovrebbero lasciare gli aristocratici a risolversi da soli le loro beghe coniugali? La guerra è stata dichiarata dalla classe dominante, a causa di una controversia su Elena, e non ha la minima rilevanza, o il minimo interesse, per quegli uomini, pastori e contadini, che dovrebbero stare a casa loro, al sicuro, a lavorare la loro terra. Non c'è niente di cui stupirsi, se questi uomini sono stanchi di nove anni di guerra che li ha tenuti lontani dalle loro famiglie, che li ha mutilati, che li ha uccisi, a migliaia. E non sono nemmeno lì per trarre gloria da tutto questo, dal momento che il loro ruolo nel combattimento è del tutto anonimo.  Con buona eloquenza, Tersite afferma ad alta voce quello che la stragrande maggioranza dell'esercito pensa. Sarà con questo stesso ruolo che Tersite apparirà nel Troilo e Cressidra di Shakespeare, dove con linguaggio grossolano denuncia e mette a nudo l'ipocrisia.
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Comunque, Omero mette subito in chiaro la sua disapprovazione del personaggio, da subito, calcando la mano sulla descrizione insolitamente lunga dei suoi tratti. Per descrivere la sua voce usa il verbo "sbraitare", "ciarlare", forse "abbaiare", ma poi anche "guaire".Mettendo in atto un equazione fra deformità fisica e deformità dello spirito, lo rappresenta come "il più brutto guerriero che fosse venuto sotto Ilio: sbilenco era, zoppo da un piede. Aveva le spalle curve, ripiegate in avanti, e per di più, in cima, la testa a pera: una scarsa peluria vi spuntava sopra." Un furente Ulisse lo affronta:

"Ma una cosa ti voglio dire e si avvererà, sta’ pur certo! Fatti trovare un’altra volta a far l’insensato qui come adesso! Mi auguro allora che non mi resti - sì, a me, Odisseo - sulle spalle la testa, e che non sia più chiamato il padre di Telemaco, se non ti afferro con queste mie mani e ti levo di dosso le vesti - mantello, tunica, e il resto che ti copre le vergogne - e ti scaccio via dall’assemblea fin alle navi in pianto, con una scarica di botte umilianti."

Odisseo, poi batte Tersite sul corpo e sulle spalle, con il suo scettro, fino a quando l'uomo non scoppia in lacrime, mentre lividi sanguigni compaiono sulla sua schiena. Un comportamento che, da parte degli aristocratici cantati e celebrati nell'Iliade, si ritiene essere appropriato. Già prima, nel libro II, si vede un marcato contrato nel modo in cui Ulisse tratta il soldato comune e quello che usa per rivolgersi ai membri dell'élite.

"Ma quando vedeva uno del popolo e lo sorprendeva a urlare, lo picchiava con lo scettro e lo strapazzava: «Disgraziato, fermo lì, al tuo posto, e sta’ a sentire la parola degli altri, di quelli che sono da più di te. Tu sei un imbelle e un vigliacco, e non conti niente né sul campo né in Consiglio. No, non faremo, è chiaro, tutti il re, qui noi Achei! Non è un bene aver tanti capi. Uno solo deve essere il sovrano, uno solo il re: chi ebbe dal figlio di Crono lo scettro e le norme sacre della tradizione per provvedere alle sue genti.»"

La colpa di Tersite è quella di aver sfidato l'autorità del re e, quindi, per estensione, il sistema di classi. Omero, che si identifica con l'ideologia di classe dei nobili, non ammette che la truppa possa essere d'accordo con Tersite.

"Gli altri là, pur nella loro delusione, si misero a ridere di gusto. E qualcuno diceva volgendo gli occhi al vicino: «Oh, sì, di buone imprese, Odisseo ne ha fatte tante, con le sue brave proposte in Consiglio e col ravvivare la lotta in campo. Ma questo qui è il più bell’atto che ha compiuto in mezzo agli Argivi: ha chiuso la bocca a un calunniatore insolente! No, di certo, non avrà più voglia, lo sfrontato, un domani, di inveire così contro i re con parole oltraggiose.»"

Eppure, Tersite ha espresso un punto di vista condiviso da molti dei suoi compagni. Queste sono le stesse truppe che poco prima erano felici di poter salire sulle loro navi e tornare a casa, sapendo che la guerra era finita. Il loro non è certo il comportamento di uomini determinati a servire alla gloria dei loro padroni ad ogni costo. Strutturalmente, nell'impostazione del poema, l'episodio vuole mostrare quanto i greci siano vicini alla sconfitta, in questo dato momento, che è all'inizio del poema ma è anche verso la fine della guerra. Un motivo in più per non stupirsi del fatto che Tersite sfidi un Agamennone nei confronti del quale le truppe sono furiose. Ma è Ulisse a salvare la situazione - anche per mezzo del trattamento che riserva a Tersite - dirottando l'irritazione degli uomini e convogliandola verso il "capro espiatorio". L'episodio, vuole essere comico per il lettore/ascoltatore (l'umorismo greco è di solito molto crudele) che viene spinto a ridere del "calunniatore insolente" mentre viene ripristinata la normale gerarchia del potere. L'esercito greco si raccoglie intorno ai suoi leader e, dopo qualche discorso e dopo aver fatto un sacrificio agli dei, Omero ci regala una lunga (e noiosa) votazione per appello dei guerrieri e dei popoli che partecipano alla guerra.
Ma la domanda, allora che può venire spontanea, considerato l'atteggiamento di Omero, è: perché, dopo tutto, Omero dà voce a Tersite?
Sicuramente, ci si muove sul terreno della speculazione, e una delle risposte, altrettanto ovvie, è che la punizione riservata a Tersite possa servire da monito agli ascoltatori/lettori, nel quadro di un loro eventuale risentimento nei confronti della classe dirigente. Ma forse Omero ha solo trovato il modo per renderci partecipi di una voce alternativa. Rendendolo brutto e ridicolo, ha voluto prendere le distanze da ogni intenzione sediziosa. Rimane il fatto che - per dirla con Hegel - il Tersite di Omero, che rampogna i re, è una figura presente in ogni epoca.

1 commento:

Andry ha detto...

Interessante analisi. Grazie