Il lavoro è una categoria capitalista
di Anselm Jappe
Tutte le nostre argomentazioni ci spingono a mettere in discussione non solo il «lavoro astratto», ma anche il lavoro in quanto tale. E qui il buon senso si rivolterà: come si potrebbe vivere senza lavorare? Tuttavia, solamente identificando il «lavoro» metabolizzato alla natura lo si può presentare come una categoria sovrastorica ed eterna. Si tratta però di una tautologia; di un principio talmente generale, da cui si può dedurre quanto si può dedurre dal principio che l'uomo deve mangiare per vivere.
Il «lavoro» è di per sé un fenomeno storico. In senso stretto, esiste solo laddove esiste il lavoro astratto ed il valore (nella formazione sociale capitalista che nasce a partire dal quattordicesimo e dal quindicesimo secolo). Non solo a livello logico, ma anche in rapporto al lavoro, i termini «concreto» ed «astratto» sono delle espressioni che rimandano l'una all'altra e che non possono esistere l'una indipendentemente dall'altra. E' dunque molto importante sottolineare che la nostra critica riguarda il concetto di «lavoro» in quanto tale, e non solo il «lavoro astratto». Non possiamo semplicemente contrapporre il lavoro astratto al lavoro concreto, e ancor di meno come se fossero il «male» ed il «bene». Il concetto di lavoro concreto è, esso stesso, un'astrazione, perché stralcia, nello spazio e nel tempo, una specifica forma di attività da tutto il campo delle attività umane: il consumo, il gioco e il divertimento, i rituali, la partecipazione agli affari comuni, ecc. Un uomo dell'epoca precapitalista non avrebbe mai pensato che si potesse mettere allo stesso livello, in quanto «lavoro» umano, la fabbricazione di una pagnotta, l'esecuzione di un brano musicale, la direzione di una campagna militare, la scoperta di una figura geometrica e la preparazione di un pasto.
La categoria del lavoro non è affatto ontologica, ma esiste solo laddove esiste il denaro come forma abituale di mediazione sociale. Ma se la definizione capitalista di lavoro fa astrazione di ogni suo contenuto, questo non significa affatto che tutte le attività, nel modo di produzione capitalista, siano da considerare come «lavoro»: solo quelle che producono valore e che si traducono in denaro. Il lavoro domestico, per esempio, non è per niente «lavoro» in senso capitalista.
Il lavoro in quanto attività separata dalle altre sfere è già una forma di lavoro astratto; il lavoro astratto in senso stretto è perciò un'astrazione di secondo grado. Come ha scritto Norbert Trenkle: "Se il lavoro astratto è l'astrazione di un'astrazione, il lavoro concreto non è altro che il paradosso, dal lato concreto, di un'astrazione (l'astrazione formale del «lavoro»). Questo lavoro è concreto solo in un senso molto ristretto e limitato: merci diverse esigono processi di produzione materialmente diversi".
Nondimeno, l'idea di dover «liberare» il lavoro dalle sue catene ha logicamente portato a considerare il lavoro «concreto » come il «polo positivo» che nella società capitalista viene stuprato dal lavoro astratto. Ma il lavoro concreto in questa società non esiste che in quanto vettore , in quanto base, del lavoro astratto, e non come il suo contrario. Il concetto di «lavoro concreto» è ugualmente una finzione: nella realtà esso non esiste se non come una moltitudine di attività concrete. Lo stesso discorso vale anche per quanto riguarda il valore d'uso: esso è legato al valore come lo è un polo magnetico all'altro. Da solo solo non potrebbe sussistere; dunque non rappresenta affatto il lato «buono», o «naturale», della merce, in grado di opporsi al lato «cattivo», astratto, artificiale, esteriore. Questi due lati sono legati l'uno all'altro nello stesso modo in cui lo sono, per esempio, il capitale ed il lavoro salariato, e non possono sparire che insieme. Il fatto che si abbia un «valore d'uso» esprime solo la capacità - astratta - di soddisfare un bisogno qualsiasi. Secondo Marx, il valore d'uso diventa un «caos astratto» non appena si esce dalla sfera separata dell'economia. Il vero contrario del valore non è il valore d'uso, bensì la totalità concreta di tutti gli oggetti.
- Anselm Jappe - estratto da «Les aventures de la marchandise. Pour une nouvelle critique de la valeur» (Denoël, 2003, p. 118-120) -
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