A partire dall'inizio degli anni 1980, a Palermo venne dato inizio al servizio di radiotaxi, simile a quello che già funzionava da qualche tempo in altre grandi città italiane. Una centralina raccoglieva le chiamate dei clienti ed assegnava le corse in base alla posizione dichiarata da ciascuna vettura. Solo che ben presto,i tassisti cominciarono a sganciarsi dal servizio, sostenendo che, secondo loro, quasi tutti mentivano sistematicamente, a proposito della posizione dichiarata, fingendo di essere più vicini al cliente, al fine di accaparrarsi la corsa. Ovviamente, la cosa era impossibile da dimostrare, considerato che stiamo parlando del territorio di una città con un milione di abitanti. Ma, già nel 1987 il servizio praticamente languiva. Nessuno si fidava di nessuno.
Va detto che questo genere di problema, relativo alla fiducia, era già venuto fuori anche in altre città. Assegnare il cliente al taxi più vicino, comportava che ci si fidasse della posizione che ciascun autista dichiarava, a meno che tutti i tassisti non si controllassero l'uno con l'altro in ogni momento e visto che in quel periodo non esisteva ancora nessun strumento tecnologico di localizzazione. Le soluzioni adottate erano diverse, fra città e città. A Milano e a Napoli si fece affidamento sul controllo reciproco, per cui gli autisti potevano denunciare chi veniva sorpreso a barare. I furbi subivano una penalizzazione o, addirittura, venivano esclusi dal servizio. Vennero organizzati servizi di "polizia", a turno tra gli autisti, per vigilare. A Roma, invece, venne istituito un diverso sistema di assegnazione della corsa: il primo tassista che rispondeva si assicurava il cliente. Chiaramente, non era un sistema ottimale, tanto per gli autisti quanto per i clienti, i quali dovevano pagar di più per taxi che spesso venivano da più lontano, però in questo modo riuscirono a mantenere il servizio.
Insomma, un problema di fiducia! Questa storia, raccontata da Diego Gambetta nel suo libro "La mafia siciliana" del 1993, serve all'autore come punto di partenza per l'analisi del fenomeno della mafia. Per Gambetta, la mafia è un'Impresa peculiare che fornisce protezione all'interno di una società con livelli molto bassi di fiducia, svolgendo il ruolo di arbitro indipendente, nel quadro di accordi e di contratti volti a proteggere ogni tipo di attore, inclusi gli illegali, i quali per la loro propria natura non possono ricorrere alla protezione e all'arbitraggio dello Stato.Perciò, il dominio della Mafia sulla società perpetuerebbe una base di mancanza di fiducia, di modo che gli accordi possano funzionare e gli affari possano svolgersi entro limiti ragionevoli; purché tutti abbiano presente che l'assenza della protezione offerta dai mafiosi provocherebbe il caos. Altresì, la protezione mafiosa non aspira affatto all'universalità ed all'equità, ma viene venduta singolarmente a ciascun cliente, ed è del tutto contingente. Per illustrare questo genere di concetto, Gambetta cita il saggio di Marc Monnier sulla camorra che riporta il seguente lamento di un cocchiere napoletano dell'800:
« L'anno scorso ho avuto bisogno di sbarazzarmi di un cavallo cieco e lui (un camorrista) mi ha aiutato a venderlo come se fosse buono, perché mi proteggeva. Adesso è in galera, e senza di lui sono stato costretto a comprare un pessimo cavallo . Era un vero gentiluomo! ».
Tuttavia, questo non spiega come mai in posti come Napoli si fosse arrivati ad una soluzione, né spiega perché la mafia non si era assunta la protezione dell'affare dei taxi, così come proteggeva altri mercati, come quello dei generi alimentari, delle pompe funebri, dei borseggiatori, dei fiorai, delle costruzioni, del parcheggio illegale e lo stesso mercato politico. Probabilmente, forse, il mercato dei taxi era troppo difficile da proteggere: le vetture si muovono incessantemente in una zona assai ampia ed un'organizzazione preposta a controllarle avrebbe dovuto coprire capillarmente tutta la città ed il costo sarebbe stato enorme. Però, di nuovo, perché non ha organizzato i tassisti stessi; che poi erano quelli che meglio di tutti potevano controllare il rispetto delle regole?
La risposta che azzarda Gambetta è che i tassisti non avevano il coraggio di vigilare e denunciare il loro colleghi perché molti di loro erano protetti a titolo individuale, in quanto esercitavano un servizio di vigilanza, in virtù della loro capacità di muoversi per tutta la città e parlare con ogni tipo di cliente.
«Sono eccellenti spie», dice di loro, nella sua autobiografia Joe «Bananas» Bonanno, il famoso boss italoamericano.
Si può facilmente supporre che, prima dell'introduzione del servizio di radiotaxi, alcuni autisti godessero della protezione dei mafiosi, che poi si estendeva a tutta la categoria: quasi nessuno si permetteva di derubare o aggredire un tassista. Ma, instaurato il servizio di radiotaxi, la cosa gli si rivoltò contro: nessuno si azzardava a denunciare un collega che barava, per timore di possibili rappresaglie. Gli autisti non protetti credevano che i loro colleghi che avevano degli "amici" potessero imbrogliare impunemente, mentre loro dovevano abbozzare o abbandonare il servizio. Però nemmeno i tassisti protetti potevano essere sicuri che anche gli altri, a loro volta, non fossero protetti da qualche mafioso. La storia dei tassisti di Palermo, così, potrebbe essere un ottima fotografia di come la Mafia, allo stesso tempo, puntella e distrugge la fiducia.
La storia però ha un lieto fine,o qualcosa del genere. Gambetta racconta che nel 1989 si trovò finalmente una soluzione per organizzare i radiotaxi. Le vetture si concentravano in quelle che erano delle fermate distribuite per tutta la città, ed ogni autista, appena arrivato, dichiarava la sua posizione. La centrale assegnava la corsa al primo taxi in coda alla fermata più vicina al cliente. Questo evitava che i tassisti si controllassero e si denunciassero fra di loro, anche se il sistema era molto inefficiente. Soprattutto per i clienti che dovevano pagare corse più lunghe, specialmente se vivevano lontani dal centro. Un piccolo prezzo, da pagare alla Mafia.
Nessun commento:
Posta un commento