lunedì 20 maggio 2013

diari

diari gide

E' curioso che Susan Sontag si occupi cosi tanto di André Gide già nei suoi primi anni da lettrice. Nel settembre del 1948, quando ha solo quindici anni di età, scrive: "Mi sono immersa in Gide un'altra volta" - enfatizzando quel "un'altra volta"  -" che chiarezza, che precisione! Indubbiamente gli proviene dalla propria natura, che non ha paragoni". Giorni dopo, sempre la Sontag, commenta la sua lettura dei Diari di Gide: "Ho finito di leggere questo libro alle due di notte dello stesso giorno in cui l'ho comprato ... Gide ed io realizziamo una comunione intellettuale tanto perfetta che riesco a sentire le doglie del parto per ogni pensiero che lui dà alla luce!"
Questo tragico paradosso del diario, che si trova in Gide, come si trova in Paul Valéry e nei suoi Quaderni, ossia questo annientamento della vita a favore della scrittura, questa canalizzazione della "realtà" verso "l'irrealtà" del racconto privato, personale, "lo straniamento del vivere nella e per la letteratura" - per dirla con Blanchot - finisce per raccontare sempre la stessa storia: la storia della persona che ha speso la propria vita a cercare di scrivere il capolavoro che non è mai riuscito a scrivere! E poi, paradossalmente, invece questo grande libro, questo suo capolavoro finisce per essere proprio il "diario". Il capolavoro è il libro in cui racconta, e riflette sulla ricerca quotidiana di questo capolavoro.

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