venerdì 21 febbraio 2020

Una ruota per criceti per gente sola

All the lonely people
- Il Narcisismo come forma del soggetto del capitalismo -
di Peter Samol

Sigmund Freud è stato il più perspicace analista delle condizioni soggettive di esistenza nella società civile. La psicoanalisi da lui influenzata, rappresenta la teoria maggiormente sviluppata riguardo quelli che sono i sacrifici richiesti agli individui che vivono nella nostra società. Freud considerava il proprio approccio come relativo alle scienze naturali. La psicoanalisi si è atrofizzata nell'antropologia, dove invece avrebbe potuto essere una teoria critica (Adorno). Questo saggio punta ad una ricostruzione critica della psicoanalisi per quel che riguarda il il termine narcisismo. Tale termine, coniato da Freud stesso, caratterizza quella che è la forma soggetto della classe media. Il narcisismo è il risultato del confronto dell'individuo con l'insufficienza della realtà sociale. Il termine descrive l'allontanarsi dalla realtà ed il rivolgersi ad un mondo interiore sul quale l'individuo ha quello che è un potere assoluto, per quanto immaginario. Di conseguenza, il narcisista conosce solamente due condizioni: da un lato, il senso assoluto di impotenza causato dalla determinazione esterna della propria esistenza, e, dall'altro lato, le fantasie di onnipotenza che si accompagnano alle illusioni di assoluta libertà individuale, indipendenza e assenza di condizionamento. Questa seconda possibilità richiede un prezzo elevato dal momento che porta a reprimere le relazioni umane immediate e a sostituirle sempre più con relazione de-emozionate mediate dal denaro. Convinto della propria genialità, il narcisista rimuove il fatto di avere poca influenza sul mondo reale e pretende di essere in grado di fare ogni cosa laddove egli è solo una grande nullità. Il narcisista rappresenta la forma soggetto ideale per il capitale, il quale è solo un nulla completo nella sua infinita mercificazione senza alcuno scopo...
[...]

- 6 - Lo sviluppo della soggettività dalla fine della guerra all'inizio degli anni '70 -
Nel corso della sua storia, la società capitalista è stata soggetta a cambiamenti specifici che vengono poi richiesti alle persone che in quella società devono viverci, e che comportano «adattamenti alle condizioni sociale» (Freud 1932). Per cui la soggettività nell'immediato dopoguerra doveva corrispondere a quelle che erano le esigenze della produzione industriale di massa.  Tali esigenze richiedevano un adattamento delle persone ai cicli della produzione fordista che non erano molto cambiati negli anni - ed erano perciò prevedibili. Al giorno d'oggi, la richiesta di un adeguamento rapido e altamente flessibile ai veloci cambiamenti nella produzione è cruciale. Il «carattere autoritario» così come viene descritto da Adorno ed altri nel 1950 (si veda Adorno, 1973), ha dominato fino al dopoguerra. Il carattere autoritario si distingueva per una profonda repressione necessaria ad una subordinazione sotto rigide gerarchie e all'intensiva produzione industriale standardizzata, ed è durato per decenni. Un mondo professionale caratterizzato da rigide regole occupazionali che per lo più garantivano per tutta la vita, alle persone, un posto nella società globale, se erano abbastanza disciplinate e flessibili. Nella maggior parte dei casi, il lavoro era monotono (assemblaggio alle catene di montaggio nelle industrie di trasformazione del prodotto), assai spesso fisicamente disastroso e per lo più collegato ad un profondo adattamento  e ad una subordinazione a delle condizioni relativamente inflessibili che difficilmente aprivano a delle possibilità di creatività o di iniziativa personale. Pertanto, l'atteggiamento del «riconoscere la schiacciante superiorità dello status quo sull'individuo e sul suo interesse, ed adeguarsi in quanto appendice del macchinario è di vitale importanza» (Adorno, 1973). Ciò include anche un'affermazione del lato concreto del lavoro che naturalizza e viene giocato in apparenza contro il lato astratto del lavoro (Bosch, 2000). A prima vista, non è facile vedere come per un tempo specifico il carattere autoritario rappresenti una sotto forma di narcisismo. Definito in superficie da un senso di impotenza nei confronti dello status quo, dietro questa impotenza si cela il Grande Sé. Fondamentalmente, la classe media conosce solo due condizioni: a) il senso di impotenza nei confronti della determinazione esterna della propria esistenza e b) le fantasie di onnipotenza, l'illusione di assoluta libertà individuale, di indipendenza e di assenza di condizionamento (si veda Lewed, 2005). In ciascuna fase di sviluppo della società civile, queste condizioni si trovano in una relazione diversa tra di loro. Il carattere autoritario «vince» sul senso di impotenza, esternalizzando il grande sé e assegnandosi un'autorità esteriore.
Verso la fine degli anni '50, ebbe inizio un processo in cui il carattere autoritario gradualmente si erose e venne sostituito da una sorta di socializzazione consumistica (si veda Bosch, 2000). La prosperità materiale generalizzata, che era stata allora raggiunta - per cui uno avrebbe dovuto sottomettersi per tutta la vita ad una disciplina restrittiva - per i giovani, cominciò a sembrare sempre meno ragionevole. Con questo, ebbe inizio un cambiamento che portava dalla disciplina al piacere, e sottolineava così i valori che erano stati rafforzati dalla crescita dinamica del capitale. A causa della montagna di merci prodotte, l'incubo di una saturazione dei mercati (si veda Bockelmann, 1987) diventava di conseguenza una minaccia, con il collasso delle vendite , i licenziamenti e la chiusura degli impianti.
D'altro lato, l'industria cercava di far aumentare il consumo privato e la vendita di merci attraverso l'uso massiccio della pubblicità (ivi). Quelle che nella testa della gente erano le inibizioni tradizionali - parsimonia, modestia ed una generale avversione ad indebitarsi - dovevano essere rimosse rimpiazzate con delle motivazioni edonistiche. Nella società mediata dal denaro, le persone dovrebbero consumare e «divertirsi», e non solo lavorare. Nel corso del tempo, questa riprogrammazione generale alla fine ebbe così tanto successo che arrivò perfino a provocare vergogna nei soggetti, quando possedevano troppo poco  (Twenge and Campbell 2009). Per i soggetti interessati, il consumo e l'ammirazione degli altri sono il miglior supporto del proprio ego (Boeckelmann). Dal momento che il consumo soddisfa solo temporaneamente, gli interessati vengono stimolati ossessivamente a nuovi consumi. Di conseguenza, rimangono catturati in ciclo continuo di brama e di frustrazione, e riescono a raggiungere un equilibrio solo nel consumo frenetico (ivi). SI tratta di una cosa assai simile all'ammirazione da parte degli altri. Ma è anche qualcosa che diventa rapidamente stantio e dev'essere continuamente rinnovato. La personalità può ridurre rapidamente la tensione dal momento che il mondo del consumatore rende possibile una soddisfazione immediata del bisogno in quasi tutte le aree. Per molto tempo, la soggettività della classe media è stata apparentemente guidata lungo percorsi soddisfacenti. A lungo termine, questo potrebbe anche non durare... Il denaro, generalmente corrisponde al senso di onnipotenza del Grande Sé narcisista. Le sue qualità appaiono come se fossero quelle del suo proprietario (Marx), spazzando via così la sua individualità e sostituendola con l'apparente onnipotenza del denaro. Lo strumento narcisista sembra non avere alcun limite concreto. Tuttavia, in tempi di crisi, sotto le condizioni della disoccupazione di massa, dei tagli sociali e del proliferare di posti di lavoro mal pagati, guadagnare denaro diventa sempre più difficile. In questo modo, il consumismo è gradualmente decaduto, perdendo la sua funzione di «sentimento integrativo» (ivi).

- 7 - Narcisismo in crisi
Lo psicologo Ronald Inglehart (1977, 1989) ha sostenuto che c'è stato un «cambiamento di valori» da materialista a post-materialista, nel quale le virtù secondarie come la disciplina e l'obbedienza hanno sempre più perduto significato, e sono state sostituite da virtù come la qualità della vita, l'autorealizzazione, la solidarietà, ecc. Nel corso di questo «cambiamento di valori», sempre più flessibile, si assiste alla comparsa di un certo numero di individui giovani le cui decisioni sono orientate più al successo nelle relazioni sociali che alle ricchezze materiali. Le connessioni di solidarietà e lo stato sociale su base democratica sono quel genere di argomenti descritti da Inglehart come «post-materialisti». Per loro, la solidarietà è più importante del denaro e del successo economico. Questa tesi si è rivelata erronea.
La stragrande maggioranza dei presunti post-materialisti era orientata al rendimento, ed era interessata ad un ulteriore miglioramento dei loro consumi materiali. In realtà, i «post-materialisti» mettono in discussione alcune virtù secondarie, tra cui la subordinazione e la disciplina, e invece attribuiscono la massima importanza all'autodeterminazione individuale. Tutto questo si esprimeva nella stima per l'autonomia economica, e difficilmente ha assunto la forma di un orientamento alla solidarietà e alle connessioni democratiche di base - e ancor meno ad un orientamento al pensiero emancipatorio. Ciò è stato sorprendente per il destino di molte imprese «autodeterminate» o «alternative», negozi, comuni, ecc., che erano state fondate alla fine degli anni '70, o all'inizio degli '80. Ben presto, quasi tutti o sono scomparsi o al più sono più tardi diventati attività commerciali di successo. In quest'ultimo caso, ha prevalso un altro stile di comunicazione e di lavoro, che era meno gerarchico e più flessibile. Le persona hanno lavorato più duramente - e spesso più a lungo e più intensivamente rispetto alle aziende tradizionali. La flessibilità e la nuova moralità lavorativa, hanno fatto sì che la cosiddetta socializzazione post-materialista venisse riconosciuta e adottata dall'economia convenzionale. Così, alla fine, molti ex «alternativi», in quanto lavoratori flessibili e ben pagati, si rivelarono - per lo più - «più produttivi» dei loro colleghi orientanti in maniera assai più tradizionale.  Anziché arrivare ad una qualche socializzazione «post-materialista», il nuovo carattere sociale veniva accettato a partire dal fatto che la parte narcisista della sua personalità era salita alla ribalta, e non si nascondeva più dietro l'edipico. In maniera specifica, le energie provenienti dalla parte narcisista della personalità possono essere mobilitate per il lavoro quotidiano. L'etica del lavoro del carattere autoritario oppure orientato al consumo, è stata sostituita da una variante più flessibile e più edonistica che era in grado di padroneggiare - spesso volontariamente - un'intensità lavorativa più alta rispetto a quella dei precedenti caratteri. Pertanto, ciò che realmente accadde a quel tempo, non è stata in alcun modo la fine della sottomissione avvenuta nel contesto delle condizioni sociali forzate dalla forma della socializzazione capitalista costituitasi inconsciamente. Non c'è stato alcun spostamento di equilibrio in tale direzione. Piuttosto, la qualità di monade attribuibile ai produttori individuali, separati gli uni dagli altri, è stata spinta fino all'estremo, ed erroneamente interpretata come se fosse l'epitome della libertà personale. Semplicemente, il «diritto all'autodeterminazione» non è stato visto come una pressione. Questo nuovo tipo di imprenditore narcisista, si è dapprima diffuso lentamente, ma poi sempre più velocemente, via via che le strutture aziendali e lavorative venivano sitematicamente ricostruite nel quadro della terza rivoluzione industriale e della globalizzazione.
Simultaneamente, sotto la pressione della crisi secolare, si diffondeva un'insicurezza generale. Insieme al numero di disoccupati, aumentava costantemente anche il numero dei lavoratori in condizioni precarie, mentre lo stato sociale veniva continuamente smantellato. In Germania, con l'Agenda 2010 e con le riforme Hartz, diventava chiaro che nessuno era più al sicuro dalla povertà, e nessuno era al riparo dai capricci del «libero mercato». Anche dentro le cosiddette normali condizioni di lavoro, avveniva un notevole cambiamento. Oggi, raramente i dipendenti spendono quella che è tutta la loro vita attiva in un'unica azienda. Oggi, un lavoro può essere esternalizzato, ristrutturato o semplicemente eliminato, e non è più sicuro (si veda Twenge e Campbell 2009). Ai nostri giorni, praticamente tutti possono diventare inutili, a causa di quelli che sono degli sviluppi imprevedibili, quale un improvviso cambiamento nei gusti di massa, o a causa dell'introduzione non prevista di un nuovo metodo di produzione. Nel loro complesso, le carriere stanno diventando sempre più imprevedibili. In questa incertezza generale, con  i suoi costanti processi di cambiamento, il mondo del lavoro, insieme a quello del consumo e all'industria del tempo libero, da esso dipendenti, non appare più come se fosse un conglomerato di strutture sicure in cui uno debba solamente adattarsi per poter condurre una vita certa e preventivabile. Al contrario, oggi ci sono dei cambiamenti incisivi che da un momento all'altro, e da ogni dove, minacciano di distruggere ogni e qualsiasi risultato individuale. Ci troviamo in un mondo del tutto inaffidabile che minaccia l'esistenza nella quale gli individui sono completamente abbandonati a sé stessi....
Le affermazioni che vengono fatte a proposito degli individui vertono sempre più su quella che l'insicurezza generale. Si richiedono flessibilità e capacità di auto-elogio incondizionate, oltre al massimo rendimento nella professione e nel sistema educativo. Ci sono sempre più persone che vengono costrette a trasformare sé stesse in una produzione permanente di unicità. La vendita della propria personalità deriva dalla vendita del proprio lavoro, considerato come se fosse un articolo di consumo (si veda Distelhorst 2014). Al giorno d'oggi, interrogarsi continuamente a proposito del fatto che le azioni ed il pensiero di qualcuno corrispondano a quelli che sono i criteri riconosciuti dell'utilità economica, viene considerato come se si trattasse di una cosa ovvia. Da questo dev'essere sempre dedotta quale sia la versione di ciò che si desidera nel mondo del lavoro. Dietro un simile trasposizione, in fondo si nasconde un'enorme arbitrarietà. Si cede e si abbandona tutto ciò che una volta costituiva la propria personalità, in cambio del successo personale in cambio, ponendosi la domanda nella propria testa se si possa aumentare il proprio valore di mercato, o se quanto meno lo si possa salvare dalla rovina. Si tratta di una vera e propria pratica continua di auto-negazione di sé, assai più facile da attuare quando si è di già vuoti. Nella crisi permanente del tardo capitalismo, le persone non possono fare affidamento su una lunga continuità di ciò che viene loro richiesto. Anche le relazioni personali vengono rapidamente sacrificate per una maggiore, e a tutto tondo, flessibilità e mobilità, degenerando sia in rapporti di coppia limitati nel tempo sia in "reti sociali" che possano aiutare a mantenere il maggior numero di "contatti" possibili, in modo da incrementare le opzioni occupazionali. Nel complesso, in questo modo vengono prodotti senza pietà, e vengono promossi degli individui acciecati senza legami forti (né con altre persone, né con aziende per quel che riguarda la loro occupazione). Una simile vita corrisponde ad intensi sensazioni di vuoto e ad una mancanza di autenticità (Lasch 1980). Chi può dire cosa sia realmente una persona, e che cosa non lo sia con il suo essere costantemente a disposizione per un nuovo adattamento e dopo molti cambiamenti di partner? Questo processo porta ad una personalità narcisista di nuovo tipo, la quale può essere tutto nella misura in cui alla base di tutto questo si trova un grande nulla (ivi). Vengono sempre più sviluppate delle grandi fantasie che fanno riferimento all'ego, in moto da mantenere in moto questo instancabile macchinario, per mezzo degli ingranaggi delle moderne condizioni di lavoro e di vita, insieme alla mancanza di significato contenuta in tutto ciò (Lewed 2005)….
A causa della sua esplicita svolta verso il positivo, questo narcisismo è diverso dalle forme passate di narcisismo. Non si tratta più di un volo rivolto verso l'interno, ma esso piuttosto scorre come se fosse un adattamento forzato a quelle che sono le richieste che provengono dall'esterno, laddove da tempo gli individui ingannano sé stessi, raccontandosi di essere in grado di poter ottenere ogni cosa. In un rapporto di dipendenza critica di quello che è il concetto di «fallimento ottimale» di Kohut, questo narcisismo può essere inteso come una successione di continui fallimenti che di conseguenza portano ad ottenere un adattamento all'aumento continuo della produzione, ad una flessibilità sempre maggiore e alla commercializzazione di sé stessi sul mercato, al self-marketing. Questi fallimenti sono diventati ormai da tempo un una verifica permanente (a partire dallo slogan di «formazione continua») dato che nella società governata dal valore, l'adattamento alla «realtà» che cambia continuamente ed in maniera imprevedibile non finisce mai. Fondamentalmente, si sommano alla pressione che spinge a partecipare ad una corsa su una ruota per criceti che dura tutta la vita e che gira ad una velocità che è sempre più incalcolabilmente veloce. Qui, il fallimento individuale è prevedibile, in quanto arriva per tutti il momento il momento in cui si va a sbattere contro il proprio limite - e quando si arriva ad avere un'età in cui non si può più continuare a tenere il passo. La realtà cui fa riferimento il narcisista è una realtà pericolosa, sempre precaria ed estremamente dubbia. In tal modo, ecco che, in un mondo caratterizzato dall'individualizzazione e dall'isolamento, dalla freddezza sociale, da una mentalità della corsa al successo e da un'erosione generale dei legami sociali, il narcisismo diventa una sindrome principale (Altmeyer 2000). La sensazione di un profondo vuoto interiore accompagna questa erosione. E questo dev'essere riempito continuamente con attività sempre nuove, poiché altrimenti si potrebbe vedere quanto sia del tutto insopportabile la propria esperienza. Questo vuoto è basato sulla sensazione di essere completamente indifesi, e che non sia niente e nessuno che ci ami e ci accetti veramente. In tutto ciò, ciascuno vede sé stesso come separato e staccato da tutte le altre persone. Pertanto gli individui fanno qualsiasi cosa per reprimere o dissimulare questa sensazione che sembra loro come se fosse una condanna a morte. Similmente a come fa il denaro, che diventa capitale, quando dopo la riuscita moltiplicazione deve cercare immediatamente quelle che sono le nuove possibilità di investimento, anche l'individuo deve cercare subito il suo prossimo successo, o la sua prossima grande esperienza in quanto consumatore. In entrambi i casi, si tratta di un circolo vizioso, senza alcun obiettivo. Tanto il capitale quanto la personalità narcisista, si vengono a trovare in un movimento tautologico senza fine, assolutamente vuoto e senza senso - e per questo ciascuno promuove e completa così bene l'altro. Le persone si oppongono a quel vuoto con la ferma convinzione di essere speciali. In tal senso si riferiscono al successo accada quel che accada, e sono costantemente tormentati dalla terribile paura di venire etichettati come falliti, cosa che li rimpiomberebbe indietro nel loro vuoto interiore (Lasch, 1980). Tutta la loro vita non è altro che una lotta senza fine per il successo ed il rispetto (ivi). La sopravvalutazione da parte del narcisista della propria persona, secondo quelle che sono delle fantasie di onnipotenza, viene proiettata in maniera offensiva verso l'esterno e diventa il nuovo simbolo del proprio io, e non più solamente il complemento segreto di una personalità edipica... Una personale brama segreta di ammirazione, di conferme e riconoscimenti provenienti dall'esterno, accompagna il fatto che l'individuo narcisista ha bisogno in maniera incondizionata degli altri che gli diano riconoscimento, ammirazione ed approvazione affinché egli possa mantenere le sue idee di onnipotenza e la propria stabilità (si veda Kohut 1973). Ma né il costante successo (per non parlare dei fallimenti) né le superficiali qualità della rappresentazione e dell'ammirazione prefabbricata possono creare delle relazioni autentiche. Una personalità capace di relazioni ne viene bloccata. Completamente concentrato su sé stesso e preoccupato solo per sé stesso, il nuovo tipo narcisista è del tutto incapace di empatia, di simpatizzare con gli altri e perfino di sviluppare un qualche interesse per loro (Auchter and Strauss 1999). Le caratteristiche dell'orientamento, della performance e della volontà di successo, vengono assunte ed onorate come positive (Kohut, 1973). Tutto ciò rafforza nei narcisisti quella che è la loro attitudine. Quanto più superficiali sono i legami che si hanno con il proprio attuale lavoro, con l'attuale ambito sociale e con le persone vicine, tanto più facilmente ha successo il continuo nuovo orientamento verso nuove rivendicazioni sociali. Il modo in cui si reagisce è diventato il marchio di qualità dell'adattabilità e del «senso di realtà» (si veda Gruen, 1987). Non essendo più saldamente legato e pronto a reinventarsi in qualsiasi momento, il narcisista rappresenta, nella società dello spettacolo del nuovo millennio del tutto flessibile e generalmente incerto, la forma del soggetto corrispondente al capitalismo di crisi. Un sé all'interno degli individui che sembra essere indipendente ed inattaccabile dalle minacce esterne che gli oppone la socialità minacciata. Ora, il narcisismo rappresenta una struttura della personalità estremamente precaria caratterizzata da un equilibrio assai instabile tra il senso di onnipotenza e quello di impotenza (si veda Lewed, 2005). Quanto più questa struttura diventa ancora più instabile, tanto più le fantasie di onnipotenza degli individui irrompono nella realtà sociale e nel «mondo esterno», dal momento che i processi di crisi diventano sempre più una minaccia manifesta (si veda, Lewed, 2010).
Il pericolo di trovarsi continuamente minacciati. Ecco questa vita diventa una vita tra, da una parte, il Cariddi dell'ulteriore coinvolgimento narcisista nella crescita economica e del miglioramento logico del continuo condensarsi del lavoro, insieme alla minaccia di collasso sotto il peso degli oneri crescenti, e dall'altra parte la Scilla di un improvviso fallimento e l'eliminazione unitamente ad un capovolgimento nella totale impotenza. Lo spazio tra i due sta diventando sempre più scarso. La minaccia, in caso di fallimento, diventa quella di tornare a fare ricorso a identità collettive regressive. La nuova sensazione di onnipotenza vengono disinibite e sfuggono facilmente al controllo, per cui viene vissuta violentemente e non può più essere incanalata nei percorsi dell'attività economica. Ciò può arrivare a radicarsi ideologicamente (nazionalismo, fondamentalismo religioso, culturalismo, ecc.) oppure in contesti di gruppo (per esempio, sotto forma di bande che definiscono e attaccano altri gruppi umani visti come "inferiori"). Il soggetto interessato esperisce sé stesso in quanto portatore di perfezione e di potere, mentre tutto ciò che è imperfetto  viene attribuito ad "estranei" (Kohut, 1973). Come ci ha insegnato la storia, tutto questo può portare ad una sistematica persecuzione ed alla distruzione del presunto "inferiore" (ivi). Tali identità, e le azioni che ne conseguono, appaiono nel momento in cui le vie "normali" per arrivare ad una soddisfacente realizzazione delle loro grandi ed onnipotenti fantasie, per gli individui capitalisticamente formattati, viene bloccata. In tempi di crisi, prosperano stando fianco a fianco con quello che è lo spietato comportamento concorrenziale.

- 8 - Prospettive
L'instancabile dinamica del sistema di produzione di merci dipende dal narcisismo, e lo rafforza, in quanto schema di base della forma moderna del soggetto. I suoi modelli di comportamento tipici, sono considerati normali in tutte le aree della vita (nelle pubbliche relazioni, nel mondo del lavoro, nei media inclusa Internet, nelle istituzioni educative pubbliche e nelle relazioni personali), oltre che desiderabili ed onorate dal riconoscimento pubblico, dal successo economico, dall'ascesa professionale, ecc. I narcisisti corrispondono alla realtà delle relazioni feticistiche inconsciamente auto-create e che vengono riprodotte quotidianamente dalla persone. Quella che è la loro pseudo natura ha come suo tema solamente l'auto moltiplicazione, assolutamente senza senso, del denaro. I narcisisti, incapaci di legami, agiscono come lavoratori altamente flessibili e come consumatori disponibili. Interiormente vuoti, instancabilmente in attesa di conferme esterne di successo ed in lotta per assicurarsi nuovi godimenti per mezzo del consumo, si relazionano in maniera congeniale al  movimento dello sfruttamento vuoto, infinito e senza senso. L'abolizione di questa forma di soggetto narcisista è impossibile nelle condizioni sociali che prevalgono, dal momento che tali condizioni non permettono alcuno sviluppo personale aperto. Una vita al di fuori dell'autoregolamentazione narcisista sarebbe fondamentalmente differente, senza mania del lavoro, senza rivalità e stress da prestazione, senza concorrenza e senza la spinta ad un'auto-promozione e ad un'auto-affermazione permanenti. Fino a quando tutte queste pressioni continueranno a dominare, mancheranno quelli che sono i prerequisiti di base per lo sviluppo di individui sociali (Marx) che vada al di là della soggettività mercificata. La speranza è che si diventi consapevoli della nostra dipendenza gli uni dagli altri e si riesca a vedere che siamo esseri collettivi che hanno bisogno fra di loro di relazioni diverse, e non solo di una relazione unidimensionale. In un mondo caratterizzato dalla sovrapproduzione, i prerequisiti materiali esistono da molto tempo. Non si può più lasciare la socializzazione ad un processo inconscio, che si pone davanti
a noi come una costrizione da eseguire e da riprodurre giorno dopo giorno (Boesch 2000). I valori relativi che si trovano alla base di questo processo diventano sempre più disfunzionali. Non si è visto arrivare alcun automatismo che porti ad una società liberata. Pertanto, sospendere l'inconscio processo sociale distruttivo e sostituirlo con una consapevole socializzazione potrebbe non avere successo. La critica di quella che nel capitalismo è la sua forma soggetto, e della sua logica e della dinamica psicosociale interiori, rimane un passo necessario in tale direzione.

- Peter Samol - Pubblicato su Krisis 4/2016 del 4/9/2016 -

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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