Il nostro desiderio è senza nome è il primo dei volumi che minimum fax dedica agli scritti di Mark Fisher apparsi sul suo leggendario blog k-punk e su diversi giornali e riviste. In questo volume sono raccolti gli scritti politici, tra cui anche «Comunismo acido», la fulminante e incompiuta introduzione a quello che avrebbe dovuto essere il suo nuovo progetto. Senza lacrimosa nostalgia Fisher guarda agli anni Settanta del secolo scorso per parlare agli anni Dieci: il disappunto nei confronti della «nuova» sinistra che, sempre più impantanata nelle logiche neoliberiste, ha ormai tragicamente interiorizzato il principio tatcheriano per cui «non c’è alternativa» al capitalismo; il nuovo assetto del mondo del lavoro, sempre più atomizzato, pervasivo e precario, che ha privato i lavoratori del tempo e delle prospettive; la piaga dilagante della malattia mentale; il progressivo smantellamento del welfare; la Brexit; la minaccia del terrorismo. In un fosco panorama cyber-gotico e post-apocalittico, Fisher non concede nulla alla rassegnazione, e anzi cerca instancabilmente una via d’uscita da quel «realismo capitalista» che rende impossibile anche solo sognare una condizione migliore: una rivolta contro la mancanza di alternative economiche, sociali ed esistenziali che sembra il segno più forte del nostro presente. Si tratta di rifiutare l’atteggiamento depressivo a cui le logiche di mercato ci hanno educati, e «valutare in modo responsabile e pragmatico le risorse a nostra disposizione qui e ora, e riflettere su come utilizzarle al meglio e incrementarle. Di muovere – magari lentamente, ma con assoluta determinazione – da dove ci troviamo oggi a un luogo molto diverso».
(dal risvolto di copertina di: "Il nostro desiderio è senza nome. Scritti politici. k-punk/1", di Mark Fisher. minimum fax)
Dal lavoro precario al flusso tossico dei social, una critica (acida) all’incubo della modernità
di Christian Raimo
Tre anni fa, il 17 gennaio, a 49 anni, si ammazzava Mark Fisher, critico culturale, insegnante, teorico, attivista. Un anno dopo veniva pubblicato in Italia il suo piccolo libro-manifesto del 2009 Realismo capitalista dalla casa editrice Nero, tradotto e prefato da Valerio Mattioli, che aveva ragione nell’introdurre Fisher ai lettori italiani dichiarando (prevedendo) la centralità del suo strumentario analitico e della sua influenza. Così è stato: "Realismo capitalista" ha avuto molta fortuna editoriale e culturale, nonostante il ritardo con cui è arrivato in Italia. La casa editrice Nero, che l'ha scelto di fatto come pietra angolare, si è imposta in brevissimo tempo come un riferimento per la saggistica sui temi di politica e cultura contemporanea; e la funzione Fisher - così Mattioli ha battezzato il dispositivo critico incarnato dalla scrittura di Fisher - ha condizionato le riflessioni di molti intellettuali, che non conoscevano né Fisher né il contenuto da cui proveniva (critica dell'accademia dall'interno, militanza politica, sperimentazioni artistiche), È diventato un must-read: citato dai politici affascinati dalla controcultura, miliare per quegli intellettuali che hanno compreso come stiamo vivendo una fase di reazione all'antipolitica, a partire dagli editori neonati: dalla rivista Jacobin a libri Treccani.
Nei due anni successivi sono usciti per minimum fax anche "Spettri della mia vita" e "The weird and the eerie": due raccolte di personal essay in cui - come capita in praticamente tutto quello che ha lasciato scritto Fisher - si muove dalla dimensione culturale (musica elettronica, letteratura di fantascienza, cinema di genere...) per ragionare sulla politica attuale o sul disagio psichico personale e generazionale. I lettori hanno avuto la possibilità, dopo aver riconosciuto la funzione Fisher, di aver a che fare con il metodo Fisher: la lettura del presente attraverso la lente di quella che lui stesso definisce un hauntologia, una sorta di ricerca di tracce permanenti di nostalgia di un immaginario futuro perduto.
In questi giorni esce il primo volume dell'opus magnum di Fisher, la raccolta dei post del suo storico blog, k-punk, "Il nostro desiderio è senza nome. Scritti politici", tradotto da Vincenzo Pernia. È un libro prezioso e generoso, da tenere sottomano per i tempi guasti che sembra ci aspettino. Sarebbe facile definire le sue riflessioni profetiche, mentre in realtà la loro efficacia sta proprio nell'aver considerato come storicizzati dei processi che sembravano temporanei.
La retorica dell'inevitabilità del capitalismo o della vittoria delle destre neoliberista. La naturalizzazione del dominio politico come sfruttamento planetario. La trasformazione del pensiero critico di sinistra in depressione cinica. L'estensione della valutazione a tutti gli aspetti e a tutte le età della vita. La mutazione dell'informazione in droga, dal sensazionalismo dei tabloid al flusso tossico dei social. Il risveglio gelido dall'illusione sulla fine del lavoro alienato («il fatto che i lavoro richieda l'uso della parola non lo rende per forza "cognitivo": il lavoro di un addetto al call center che ripete meccanicamente le stesse frasi per tutto il giorno non è più "cognitivo" di quello dell'addetto ad una catena di montaggio»). L'estensione del tempo lavorativo all'intera giornata: l'essere sempre disponibili al lavoro, e connessi, che porta a una specie di stato di depressione insonne, di perenne incapacità di staccare la spina. La depoliticazione della sofferenza psichica, la privatizzazione dello stress. («Mentre un tempo i lavoratori che si trovavano in una situazione di crescente stress si rivolgevano ai sindacati, oggi sono incoraggiati a rivolgersi al medico di famiglia, oppure a un terapista, se sono abbastanza fortunati da riuscire ad ottenerne uno dal servizio sanitario nazionale»). Il cultural-washing del capitalismo, che riesce a rendere brand qualunque sua esposizione pubblica. L'aggressione degli stimoli digitali (dalle notifiche ai sondaggi) al nostro tempo dell'attenzione. La riduzione drastica del welfare state universitario come ragione della mancanza di invenzioni culturali («Quasi tutte le innovazioni nella musica pop britannica prodotte tra anni Settanta e Novante sarebbero state impensabili senza il finanziamento indiretto fornito dall'edilizia popolare, dal sussidio di disoccupazione e dalle borse di studio universitarie»). La retorica della modernizzazione come sinonimo di neoliberalizzazione e devastazione dei diritti dei lavoratori. Potremmo continuare.
Fisher non lesina epigrammi illuminanti («Ci sono due classi di lavoratori, quella di chi intrattiene un rapporto di dipendenza con il lavoro, e quella di chi è costretto a lavorare») analisi di lungo periodo (i movimenti politici sono rimasti dopo l'ultima ondata, 2010-2011, a dar vita solo a una serie di sporadiche sacche di disperazione), e a regalare un ottimismo della volontà che risulta a tratti straziante a tratti eroico per chi legge tenendo a mente come il suicidio abbia purtroppo messo fine a una vita che più si legge "Il nostro desiderio è senza nome" più sembra essere stata guastata dai demoni comuni di un'epoca sporca come una guerra permanente e invisibile. Vogliategli bene a Fisher, che l'ha combattuta anche per voi.
- Christian Raimo - Pubblicato sulla stampa del 18/1/2020 -
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