venerdì 7 febbraio 2020

Radicalità

«Il male radicale ha celebrato la sua più grande vittoria nel Ventesimo secolo». Nei saggi raccolti in questo volume Ágnes Heller analizza il tema dal punto di vista storico e letterario e offre una profonda riflessione sul paradossale rapporto fra Olocausto e modernità. Il mondo moderno ha infatti fornito al male le condizioni necessarie alla sua estensione planetaria. L’ideologia, le nuove tecnologie e il pensiero strumentale hanno reso lo sterminio di massa una questione di efficienza e freddo calcolo. Allo stesso tempo però, la modernità ci ha consegnato anche l’antidoto a tutto questo: le idee di tolleranza, libertà e uguaglianza, e i diritti umani, la cui difesa può impedire al male di vincere ancora.

(dal risvolto di copertina di: Ágnes Heller, "Il male radicale. Genocidio, olocausto e terrore totalitario". Castelvecchi)

Il Male non è mai banale
- di Wlodek Goldkorn -

Avraham Sutzkever, il massimo poeta yiddish di tutti i tempi, raccontava come un giorno, nel ghetto di Vilnius, soldati tedeschi lo costrinsero a gettare nel fuoco i rotoli della Torah, danzando nudo. Divertimento perverso dei boia? Anche. Ma a leggere la raccolta dei saggi di Ágnes Heller Il Male radicale. Genocidio, olocausto e terrore totalitario ( Castelvecchi ) con l’introduzione di Marco Carassai, si resta colpiti dalla suggestione della filosofa ungherese scomparsa pochi mesi fa, per cui i nazisti non volevano solo uccidere tutti gli ebrei ma avevano come scopo rovesciare il messaggio del Monte Sinai. La loro era l’utopia negativa più radicale mai verificatasi nella storia dell’umanità e per questo non bastava trasformare in cenere e fumo bambini, donne, uomini ma occorreva rendere nulli i dieci comandamenti, le fondamenta della nostra etica, per poter dire invece: uccidi, ruba, non abbi rispetto.
Heller, nata nel 1929, portava nella carne ( è il caso di dirlo ) le esperienze traumatiche del ventesimo secolo. Ebbe salva la vita per puro caso durante la Shoah e vide la sua città, Budapest, invasa dai tank sovietici dopo la rivoluzione del 1956. Da filosofa era interessata a porre domande e qualche volta dare risposte, non su questioni speculative o metafisiche ma su scelte di vita concrete; un po’ come Hannah Arendt. Arendt era convinta che dopo la seconda guerra mondiale la questione del Male sarebbe stata al centro di ogni pensiero filosofico, per arrivare poi alla conclusione che il Male fosse banale. Heller contestava questa tesi e spesso diceva: « Non posso credere che Arendt lo pensasse sul serio » . Per lei, « il moderno si fonda sulla libertà che non fonda niente e si apre sull’abisso ». Ecco formulato in una frase vertiginosa il percorso che porta dalla modernità alla negazione di ogni principio dell’etica e la base su cui contestare l’idea della banalità del Male.
Nessuno però precipita dallo stato di relativa innocenza al fondo dell’abisso, in un colpo solo. C’è un percorso da fare per darsi alla malvagità. Heller lo illustra in un testo dove paragona la strada dalla bontà verso la perdizione a un viaggio in ferrovia. Per sommi capi: constatato che da una certa metafisica cristiana il Male era considerato come assenza del Bene si passa alla “ stazione ” successiva, i cui frequentatori non sono in grado di distinguere fra il Bene e il Male. I “ malvagi ”, come li chiama Heller, talvolta provano piacere nel distruggere. Altre volte sono semplicemente cinici. Ma la cosa più importante è l’indifferenza dei malvagi. E qui, il richiamo all’attualità è immediato. Indifferenza è la parola che unisce idealmente due testimoni della Shoah: Liliana Segre e Marek Edelman. La prima, bambina ad Auschwitz, ha voluto che quella parola fosse scolpita all’ingresso del memoriale della deportazione a Milano; Edelman, comandante in seconda della rivolta nel ghetto di Varsavia, ripeteva che la cosa che più lo offendeva era l’indifferenza dei vicini di casa nei confronti degli ebrei massacrati. Ambedue, Segre e Edelman ( anche se in modi diversi) hanno trasformato la memoria dell’offesa subita in uno strumento per combattere l’odio e difendere i più deboli: vittime appunto della nostra indifferenza, ma anche dei politici, che tentano di trasformare l’indifferenza per le sorti altrui ( i migranti per esempio ) in presunta virtù civica.
La stazione finale del viaggio è il Male radicale. Si fanno accenni a Riccardo III a Macbeth fino a Vautrin, protagonista della Commedia umana di Balzac, che da assassino demoniaco diventa capo della polizia e « si tratta di una dichiarazione politica » , aggiunge Heller. Ma il cuore del ragionamento è il nucleo nerissimo del secolo scorso: Hitler e Stalin. I due personaggi vengono affiancati, quasi come se fossero gemelli. Non erano mostri, ma invece l’incarnazione del male radicale. Avevano un seguito di massa: « C’erano milioni di piccoli Hitler e di piccoli Stalin, e questa specie non si è ancora estinta ». I due si assomigliano perché operano in condizioni peculiari della modernità e solo della modernità, vale a dire « dopo la morte di Dio ». E così, i due « si mettono al posto di Dio ». E con un’ironia, nerissima, la filosofa commenta: « Tutto ciò sarebbe sufficiente per parlare di Hitler e Stalin come i demoni massimi mai esistiti, benché sia preferibile avere un atteggiamento cauto su questo punto ». Infine precisa: « Il male radicale non è mai banale, per un semplice fatto che non è un avvenimento quotidiano ». Per fortuna.

- Wlodek Goldkorn - Pubblicato su Robinson del 25/1/2020 -

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