A proposito della lotta senza classi
- di Rémi Coutenso -
D’ora in poi, ciò che storicamente abbiamo chiamato «classe dominante» si è rivelato essere un miraggio.
Anche se fosse davvero esistita una classe borghese socialmente ben posizionata, tale da poter imporre all'insieme sociale le forme sociali capitaliste (in particolar modo durante l'accumulazione primitiva di capitale in Europa), una simile classe borghese, tuttavia non potrebbe essere definita «dominante». E se mai lo è stata, lo è stata in un solo modo: imponendo il capitalismo.
Ma la logica del capitalismo, quanto ad essa, non si è mai trovata sotto il suo dominio. Perché, se il dominio significa per definizione padronanza, la natura della padronanza della cosiddetta «classe dominante», invece, è sempre stata quasi nulla. Quasi, poiché si è obbligati a dover riconoscere che la «classe dominante» possiede, ad ogni periodica configurazione del capitalismo, dei potenti mezzi che gli permettono di lottare per i suoi propri «interessi».
Però, si deve allo stesso tempo, ugualmente, riconoscere che i suoi mezzi sono impotenti, e non sono in grado di rispondere alle crisi di ogni tipo (economiche, finanziarie, sociali, politiche, ecologiche, ecc.) che colpiscono le società, e che si sono formate a partire dalla dinamica contraddittoria delle forme sociali capitaliste.
Tutto questo significa solamente una cosa: che la «classe dominante» non controlla in alcun modo la valorizzazione del valore. A rigor di termini, essa la subisce come qualsiasi altro lavoratore:
la cosiddetta «classe dominante» è in realtà dominata essa stessa dalla logica impersonale del dominio del valore. Questo lo abbiamo visto, per esempio, nel 2008: reagisce, assai spesso molto male, alla crisi della valorizzazione.
Gli è che il reale dominio sociale ed universale all'opera nel nostro mondo è quello del valore, è quello che Marx definisce come «soggetto automatico».
Perciò, nel momento in cui poi Marx si riferisce al valore, egli intende dire che a primeggiare, in termini di dominio, è l'automatismo del valore, piuttosto che l'autonomia di qualsiasi sedicente «classe dominante».
È a causa della mancanza di controllo e di autonomia della «classe dominante» nei confronti del dominio impersonale del valore, che appare preferibile sostituire il concetto di «classe profittatrice» a quello di «classe dominante».
A rigor di termini, è vero che la classe che ci guadagna rispetto a tutti i lavoratori gode molto della ricchezza prodotta. Ma la forma specifica della ricchezza capitalistica, anche se la classe profittatrice ne gode molto più di tutti gli altri, non è comunque - bisogna ripeterlo - oggetto del suo controllo, in nessun caso.
Inoltre, se il dominio impersonale del valore si è ben instaurato, non esiste nessuna «classe rivoluzionaria» in grado di rovesciare la sociologia capitalista ed imporre, secondo quelli che sono i pii desideri del «marxismo tradizionale» (Postone), un controllo consapevole ed una gestione socialista della produzione di valore.
È in tal senso che appare urgente smettere di pensare la classe borghese come dominante, bensì cominciare a pensarla come classe profittatrice.
Ed è altrettanto urgente smettere di pensare la «classe rivoluzionaria» come classe al servizio «di una società senza classi» a venire.
Questo implicherebbe un cambiamento radicale nelle lotte: l'obiettivo storico dell'avvento di una società senza classi va riconfigurato.
Infatti, quest'ultima presuppone, come sua condizione fondamentale, la dinamica sociologica e storica della lotta di classe.
Non c'è nessuna società senza classi, senza il trionfo della classe rivoluzionaria nella lotta di classe. Ma questo trionfo sociologico della «classe rivoluzionaria» non può avere altra conseguenza se non quella di una gestione del valore, del quale la classe rivoluzionaria non avrebbe, così come la classe borghese, il controllo.
- Rémi Coutenso -
fonte: Facebook
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