sabato 14 settembre 2019

A volte ritornano

Per amore di Trump la Marvel rinnega i suoi eroi "politici"
- di Antonio Carioti -

Dev'essere sembrato un colpo di genio, alla Folio Society, affidare ad Art Spiegelman, premio Pulitzer nel 1992 per il capolavoro Maus (la graphic novel migliore mai prodotta sulla Shoah), l' introduzione a un volume di ristampe a 80 anni dai primi albi a fumetti di supereroi pubblicati dalla Marvel Comics quando ancora si chiamava Timely, nel 1939. I protagonisti erano allora la Torcia Umana originale (non quella dei Fantastici Quattro), il principe delle profondità oceaniche Namor (detto Sub-Mariner) e soprattutto Capitan America: tutti in lotta contro i nazisti molto prima che gli Stati Uniti entrassero in guerra nel 1941. E in gran parte i loro autori - Jack Kirby (Jacob Kurtzberg per l' anagrafe), Joe Simon, Carl Burgos (alias Max Finkelstein) - erano ebrei, come l' editore di quegli albi, Martin Goodman. Chi meglio di Spiegelman, figlio di un sopravvissuto ad Auschwitz, avrebbe potuto presentarli al pubblico di oggi?
Solo che i dirigenti della Marvel devono aver fatto un grosso balzo sulla poltrona, quando hanno letto il passo in cui Spiegelman evoca un Teschio Arancione che oggi «perseguita l' America». Già, perché il colore arancione richiama la capigliatura di Donald Trump, mentre nei fumetti di Capitan America il Teschio Rosso (dalla forma e dal colore della maschera) è un agente di Hitler, un personaggio crudele, fanatico e sleale, al quale i disegni incisivi di Kirby conferivano un aspetto orribile. Difficile immaginare un soggetto peggiore a cui accostare il presidente, che semmai ama presentarsi come una sorta di Capitan America.
Quindi la Marvel, il cui presidente Ike Perlmutter è un fiero sostenitore di Trump, ha imposto alla Folio Society di chiedere a Spiegelman di togliere quel brano dal testo, che qui pubblichiamo nella versione uscita sul «Guardian», in cui l' autore racconta anche il suo rifiuto di autocensurarsi e il conseguente ritiro della prefazione. Per giustificarsi, la Marvel ha asserito di voler rimanere neutrale in campo politico.
E per ribadirlo ha poi fatto modificare, stavolta con il consenso dell' autore, un testo dello sceneggiatore Mark Waid, critico verso il sistema sociale americano, per un' altra pubblicazione celebrativa. Peccato che proprio i fumetti di ottant' anni fa, schieratissimi contro il Terzo Reich quando ancora negli Usa il neutralismo filotedesco era forte, dimostrino che la tradizione Marvel non è affatto apolitica. Lo conferma anche la produzione all' epoca di Stan Lee (un po' trascurata da Spiegelman), dal 1961 in poi: fumetti anticomunisti, ma anche antirazzisti e sensibili a problemi scottanti come la droga. Questa Marvel i vecchi fan la riconoscono sempre meno.

Antonio Carioti - Pubblicato sulla Lettura del 1° settembre 2019 -

Censura Arancione
- di Art Spiegelman -

Negli oscuri anni Venti i fumetti erano visti come un sottogenere letterario per bambini e per adulti con difficoltà intellettive - erano scritti male, disegnati frettolosamente e stampati in modo approssimativo. Martin Goodman, fondatore ed editore di quel che sarebbe diventata la Marvel Comics, una volta disse a Stan Lee che non aveva senso cercare di rendere le storie più sofisticate o preoccuparsi di sviluppare i personaggi: «Da' alla gente molta azione e non usare troppe parole». È davvero stupefacente che questa formula abbia prodotto opere così intense e vitali. Il formato dell' albo a fumetti è attribuibile a Maxwell Gaines, addetto alle vendite di una tipografia, che nel 1933 cercava un modo per incrementare il lavoro di stampa dei supplementi domenicali dei quotidiani e pensò di ripubblicare raccolte dei fumetti più noti nel formato di metà tabloid. A titolo di esperimento, applicò un' etichetta con il prezzo di 10 centesimi su una manciata di opuscoli gratuiti e li vide esaurirsi rapidamente in un' edicola locale. Ben presto molti fumetti famosi furono raccolti in albo da diversi editori - e fu necessario produrre altri contenuti a basso costo. Questo nuovo materiale era principalmente costituito da imitazioni di terz' ordine di strisce già esistenti o di storie di genere avventuroso, poliziesco o western. Come ha detto una volta Marshall McLuhan, ogni mezzo di comunicazione, prima di trovare la sua voce, assorbe il contenuto del mezzo che lo precede.
Poi arrivarono Jerry Siegel, un adolescente aspirante scrittore, e Joe Shuster, giovane artista in erba - due secchioni ebrei, emarginati e disadattati molti decenni prima che la cosa diventasse di moda. Sognavano la fama, la ricchezza e gli sguardi ammirati delle ragazze che le strisce di fumetti su un giornale avrebbero potuto portare loro, e crearono l' alieno sovrumano proveniente da un pianeta morente che combatteva per la verità, la giustizia e i valori del New Deal del presidente Roosevelt.
Erano dei ragazzini appena usciti dall' infanzia e la loro idea fu rifiutata dai giornali, che la considerarono ingenua, giovanile e dilettantesca, finché Gaines non comprò le loro 13 pagine campione di Superman per la testata «Action Comics» a 10 dollari a pagina - un compenso che includeva tutti i diritti sul personaggio. La creazione di Siegel e Shuster divenne il modello di un genere completamente nuovo, che finì per dare forma al fumetto come parte dei mass media, e la loro vicenda fu il tragico paradigma di autori defraudati dei lauti guadagni che le loro creazioni portarono agli editori.
Tutti generalmente concordano che nel giugno 1938 Superman abbia lanciato l' età dell' oro dei fumetti con il suo debutto nel primo numero di «Action Comics», edito da quella che ora è nota come Dc Comics. Siegel e Shuster avevano creato un nuovo archetipo - o forse, più esattamente, un nuovo stereotipo - e nel 1940, una volta che il genere nascente aveva dimostrato di riuscire a cavare dalle tasche dei bambini milioni di «dieci centesimi» al mese, sciami di imitatori catapultarono nei cieli orde di eroi in quadricromia, tutti alla ricerca della miniera d' oro in quell' età dell' oro.
La giovanile ingenuità di Superman era evidentemente un pregio e non un difetto, poiché invitava i ragazzini a un nuovo tipo di storia le cui fantasie erano ancora più libere dalla logica della maggior parte della narrativa popolare pulp , tutte presentate con immagini schematiche in colori primari e secondari che facevano di ogni pagina un sipario teatrale da sollevare su immagini spettacolari e... azione.
Goodman, editore di tendenza di pulp raccapriccianti, fu uno dei primi a cavalcare l' onda dei supereroi, facendo subito un grosso colpo con il primo numero di «Marvel Comics» nell' ottobre 1939. (La prima edizione di 80 mila copie fu seguita da una ristampa di oltre 800 mila copie). Il contenuto era fornito da Funnies Inc, un produttore di fumetti in grado di offrire il pacchetto completo, dall' idea al disegno, a editori nascenti che volevano mantenere i costi bassi. Queste «botteghe» erano simili, in un certo senso, agli empori di abbigliamento in cui lavoravano molti membri delle famiglie degli artisti. Si lavorava a cottimo, timbrando un cartellino, e a molte mani (sceneggiatori, scrittori, disegnatori), dedicandosi alle pagine originali quasi contemporaneamente. Era una piccola industria più che una forma d' arte. Reclutava ragazzini, dilettanti allo sbaraglio e persino - quando la Seconda guerra mondiale arruolò molti giovani che soddisfacevano la crescente domanda di fumetti - donne, persone di colore e altri intrusi. (Quegli intrusi, peraltro, dovevano sempre attenersi agli stereotipi razzisti e sessisti che costituivano uno dei marchi del genere).

A questo punto potrebbe valere la pena di sottolineare - non per orgoglio etnico, ma perché potrebbe far luce sulla crudezza e i temi dei primi fumetti - che i pionieri di questo mezzo embrionale con sede a New York erano perlopiù ebrei e provenienti da minoranze etniche. Non c' erano solo Siegel e Shuster, ma un' intera generazione di immigrati recenti con i loro figli - i più vulnerabili alle devastazioni della Grande depressione e particolarmente sensibili all' ascesa del virulento antisemitismo in Germania. Crearono gli Übermenschen , superuomini, americani che combattevano per una nazione che, almeno nominalmente, accoglieva «le vostre stanche, povere, accalcate masse, desiderose di respirare liberamente...».
Per menzionare solo alcuni di questi ebrei secolarizzati che avevano adottato identità segrete alla Clark Kent (Superman): Gaines era nato Max Ginzberg; i genitori di Goodman erano immigrati da Vilnius, in Lituania; Jack Kirby (nato Jacob Kurtzberg), il grande che ha co-creato Captain America con il suo socio Joe Simon, era nato nei bassifondi del Lower East Side di New York; e Stan Lee, che divenne il volto della Marvel Comics, era cugino della moglie di Goodman, assunto nepotisticamente a 17 anni come fattorino con il nome di Stanley Lieber. Anche se non bene accetti negli ambienti più alti della pubblicità e dell' editoria, furono tutti capaci di trovarsi una loro nicchia nel fondo del barile.
Gli artisti in erba di queste fabbriche del fumetto, stretti tra il farcela e il soccombere, scoprirono le possibilità di un nuovo genere. Si formarono copiandosi a vicenda e rubando direttamente dai maestri dei fumetti di avventura dei giornali: Alex Raymond (Flash Gordon, Agente segreto X-9), Hal Foster (Tarzan, Principe Valiant) e Milton Caniff (Terry e i pirati). Carl Burgos (nato Max Finkelstein), creatore del personaggio principale del primo numero di «Marvel Comics», la Torcia Umana, dichiarò con orgoglio: «Se volevano Raymond o Caniff, potevano averli. Il disegno povero era invece tutto mio».
Burgos era uno scrittore-artista, le cui abilità allora rudimentali nel disegno erano sostenute da un' intuitiva capacità di narrazione visiva che applicò a un brillante personaggio: la Torcia Umana. Questa figura - una fiamma antropomorfizzata rossa e gialla - aveva un' intensità grafica che si insinuava bruciante negli occhi dei lettori e personificava la pura, scoppiettante energia dei primi fumetti, prima che fossero addomesticati.
William Blake «Bill» Everett, il compagno di Burgos alla Funnies Inc, era una stranezza nel mondo dei fumetti. Anzitutto non era ebreo. Everett proveniva da una famiglia patrizia del Massachusetts vecchia di 300 anni ed era davvero un diretto discendente del suo omonimo (il deputato William Everett, figlio del segretario di Stato Edward Everett, ndr ). Si trovò nello stato di outsider che lo portò ai fumetti perché aveva una personalità tendente alle dipendenze - a 12 anni era già un forte bevitore e fumava tre pacchetti di sigarette al giorno - o forse fu una sensibilità da outsider a spingerlo a bere. È stato uno degli artisti più dotati che abbiano lavorato nei fumetti. Disegnava con un tratto fluido, era a suo agio in molti generi e aveva un senso compositivo della pagina che permetteva all' occhio del lettore di trovare tesori visivi sepolti mentre percorreva senza sforzo una storia. Il suo alienato antieroe, Namor, Sub-Mariner, fu il capostipite di una lunga serie di personaggi travagliati che avrebbero popolato l' universo Marvel un paio di decenni dopo. Negli anni Quaranta Sub-Mariner era una stranezza - in netto contrasto con i bravi e affidabili soccorritori dalla mascella quadrata che alloggiavano negli ordinati quartieri della Dc Comics. Mai del tutto a casa né in mare né in aria, Namor era orgoglioso, arrogante e più volubile della Torcia Umana, il suo opposto complementare. Ma l' acqua e il fuoco si combinarono per portare «Marvel Comics» a un punto fondamentale di ebollizione.
Alla fine del 1940, oltre un anno prima di Pearl Harbor, mentre i nazisti stavano bombardando Londra, Simon, un imprenditore libero professionista di Funnies Inc., fu assunto da Goodman per scrivere e disegnare direttamente per lui. Simon gli mostrò un nuovo supereroe che lui e Kirby avevano immaginato - un eroe vestito come una bandiera americana con bicipiti giganti e addominali d' acciaio che entra nel quartier generale nazista e colpisce Hitler con un pugno alla mascella. Goodman iniziò a tremare, sapendo che questa storia avrebbe avuto un forte impatto e restò in ansia fino all' uscita del primo numero di Capitan America, nel marzo 1941. Era terrorizzato che qualcuno assassinasse Hitler prima che il fumetto uscisse!
Capitan America era un manifesto per il reclutamento, combatteva contro i veri nazisti super malvagi, mentre Superman stava ancora affrontando piccoli criminali, scassinatori, avidi padroni di casa e Lex Luthor - e l' America era ancora incerta se entrare o no nel conflitto. Non c' è da stupirsi che il fumetto di Simon e Kirby abbia avuto un enorme successo e che durante la guerra vendesse quasi un milione di copie al mese. Ma nel 1941 non tutti erano suoi fan - secondo Simon, la Federazione tedesco-americana e il gruppo isolazionista degli America Firsters bombardarono gli uffici dell' editore con lettere piene di odio e con telefonate oscene in cui si gridava: «Morte agli ebrei!». Il sindaco Fiorello La Guardia, supereroe in carne e ossa, sollecitato a rassicurarlo, gli disse: «La città di New York farà in modo che non le capiti nulla di male».

Le figure ipercinetiche di Kirby con muscoli ipertrofici oscuravano l' anatomia umana. I suoi personaggi esplodevano bellicosi nelle tavole dei fumetti, privi di senso dell' umorismo, risoluti e arrabbiati. Il suo stile si impose nelle storie dei supereroi, non solo durante gli anni della guerra, ma per sempre. Kirby ebbe una grande originalità e versatilità nel creare fumetti, e fu un vero eroe di guerra, ma confesso che il genere di supereroi nati dal modello che ha creato mi lasciavano indifferente. Anche quando avevo 12 anni, i supereroi erano il mio metadone: ero totalmente dipendente da riviste satiriche come Mad e dai vecchi fumetti dei giornali che trovavo nei volumi rilegati della mia biblioteca pubblica. Preferivo roba più matura come Paperino e Little Lulu. Adoro i fumetti: le pagine piene di parole e immagini mescolate che cozzano l' una contro l' altra, tutte quelle vignette che devi mettere a confronto o in contrasto per estrarre il succo della storia; e adoro le strane idiosincrasie del linguaggio dei cartoni animati in tutti i suoi accenti.
Chi considera i supereroi l' alfa e l' omega dei fumetti segna la fine della loro età dell' oro negli anni Quaranta, dopo la fine della guerra, quando l' interesse per il genere si attenuò. I soldati disincantati non erano più un pubblico avido e fedele, dovevano aver capito che non era stato Capitan America a vincere la guerra. Forse erano stati i russi! In ogni caso, i soldati smobilitati persero l' abitudine di leggere fumetti o spostarono l' attenzione su altri generi. Si diffusero fumetti che parlavano di crimini, cowboy, storie romantiche, dell' orrore, di guerra, spesso con contenuti più maturi - persino volgari - rivolti a lettori meno giovani.
Io segno la fine dell' età dell' oro nel 1954. Un panico moralista, costruito sul falso presupposto che quel genere fosse rigorosamente per ragazzini e che li stava trasformando in giovani delinquenti, portò a roghi di fumetti e a dibattiti in Senato che finirono per mandare a rotoli molti editori e menomare gli altri. Supereroi sterilizzati uccisero il genere nel 1956 (anno ora salutato come l' inizio dell' età dell' argento dei comics), ma gli albi a fumetti non riacquistarono più l' ubiquità che avevano ai tempi d' oro. Nel cinema hanno invece conquistato il mondo! Ai tempi d' oro, se si voleva vedere un tipo con un mantello sorvolare un grattacielo o trasformare New York City in macerie, ci si rivolgeva ai fumetti. Nel XXI secolo, grazie al miracolo delle immagini generate dai computer, molti milioni di persone di tutto il mondo che non hanno mai letto un fumetto o sentito parlare di graphic novel vanno ad adorare sui loro dispositivi multimediali le nuove divinità che incarnano il Dna dei fumetti.
I giovani creatori ebrei dei primi supereroi evocarono mitici salvatori laici, simili a dei, per affrontare i minacciosi scossoni della Grande depressione e diedero forma alle loro premonizioni di un' imminente guerra globale. I fumetti permisero ai lettori di fuggire nella fantasia, proiettandosi in eroi invulnerabili.
Auschwitz e Hiroshima hanno più senso se visti come cataclismi di tenebrosi fumetti che come eventi del nostro mondo reale. Nel mondo fin troppo reale di oggi, il cattivo peggiore delle storie di Capitan America, il Teschio Rosso, vive sullo schermo e un Teschio Arancione perseguita l' America. Il fascismo incombe di nuovo sul mondo (quanto velocemente dimentichiamo, noi umani - studiate a fondo questi fumetti dell' età dell' oro, ragazze e ragazzi!) e gli scossoni che hanno seguito il crollo economico globale del 2008 hanno contribuito a portarci a un punto in cui il pianeta stesso sembra stia per collassare. L' Armageddon appare in qualche modo plausibile e siamo trasformati in bambini indifesi, spaventati da forze più grandi di quanto possiamo immaginare, cercando tregua e risposte in supereroi che volano negli schermi della nostra stanza dei sogni.
Mentre il contenuto dei fumetti ha conquistato il nostro cinema, la forma dei fumetti - abilmente mascherata come graphic novel - si è infiltrata in ciò che resta della nostra cultura letteraria. Quando la Folio Society, venerabile casa editrice di lussuosi libri illustrati fin dal 1947, ha deciso di pubblicare una raccolta di pregio dei fumetti Marvel dell' età dell' oro, mi ha invitato, in qualità di scrittore, disegnatore e studioso di fumetti, a scrivere un' introduzione al libro. Forse hanno erroneamente pensato che avrei potuto dare all' impresa un velo di rispettabilità.
Ho consegnato il mio testo alla fine di giugno, sostanzialmente uguale a quello che appare qui. Un redattore della Folio Society mi ha detto con rammarico che la Marvel Comics (evidentemente co-editrice del libro) vuole rimanere «apolitica» e non permette che le sue pubblicazioni esprimano una posizione politica. Mi è stato chiesto di modificare o rimuovere la frase che si riferisce al Teschio Rosso, altrimenti l' introduzione non poteva essere pubblicata. Non mi consideravo particolarmente politico rispetto ad alcuni miei compagni di viaggio, ma quando mi è stato chiesto di sopprimere un riferimento relativamente blando a un Teschio Arancione, mi sono reso conto che forse era da irresponsabili rendere con leggerezza la terribile minaccia esistenziale con cui conviviamo, e ho ritirato la mia introduzione.
Una notizia rivelatrice è apparsa in modo fortuito nella rassegna stampa che ho ricevuto questa settimana.
Ho appreso che il miliardario, presidente ed ex amministratore delegato di Marvel Entertainment, Isaac «Ike» Perlmutter, è un amico di lunga data di Donald Trump, un suo influente consigliere non ufficiale e un membro del club d'élite Mar-a-Lago del presidente a Palm Beach, in Florida. E che Perlmutter e sua moglie hanno recentemente donato 360 mila dollari (il massimo consentito) al Comitato congiunto di raccolta fondi per la vittoria del Teschio Arancione nel 2020. Ho anche dovuto imparare, ancora una volta, che tutto è politica... proprio come Capitan America che colpisce Hitler alla mascella.

- Art Spiegelman - Testo che doveva essere l’introduzione ad una raccolta di albi con le avventure antinaziste di Capitan America e altri super personaggi. Traduzione di Maria Sepa per ''la Lettura - Corriere della Sera''. Pubblicato sulla Lettura del 1° settembre 2019 -

Nessun commento: