Wallerstein senza anestesia
- di Atìlio A. Boron -
La morte di Immanuel Wallerstein ci priva di una mente eccezionale e di un raffinato critico della società capitalista. Una perdita ancora più spiacevole dacché cade in un momento così critico come quello attuale, in cui il sistema internazionale scricchiola sotto quelle che sono le pressioni combinate dovute alle tensioni provocate dal declino dell'imperialismo americano e dalla crisi sistemica del capitalismo.
Wallerstein è stato un accademico, la cui ampia traiettoria si è estesa per poco più di mezzo secolo. Era cominciata con le sue ricerche sui paesi dell'Africa postcoloniale, per poi dare ben presto inizio alla costruzione di una grande sintesi teorica del capitalismo visto come sistema storico, compito cui si era dedicato a partire dalla fine degli anni '80 e che era culminato nella pubblicazione di una grande quantità di libri, articoli per riviste specializzate e note rivolte all'opinione pubblica internazionale. Wallerstein ha pienamente rispettato il principio etico che esige che uno studioso faccia sì che le sue idee supportino il dibattito cui tutta la società deve partecipare, su sé stessa e sul proprio futuro, contribuendo con una traiettoria assai poco comune per l'ambito accademico.
Era partito da una posizione teorica che si inscriveva nel paradigma dominante delle scienze sociali del suo paese, e nel tempo si è poi gradualmente avvicinato al marxismo fino a che, nei suoi ultimi anni, ha finito per coincidere, negli aspetti fondamentali, con teorici come - fra gli altri - Amin, Giovani Arrighi, Gunder Frank, Berverly Silver e Elimar Altvater, per quanto riguarda la natura del sistema politico e le sue insolubili contraddizioni. La sua traiettoria si è svolta in maniera inversa a quella di tanti suoi colleghi che, critici del capitalismo in quella che era stata la loro gioventù, o nelle tappe iniziali della loro vita universitaria, sono poi finiti come propagandisti della destra: Danile Bell e Seymour Lipset, profeti della reazione neoconservatrice di Ronald Reagan negli anni '80; oppure Max Horkheimer e Theodor Adorno che conclusero la loro caduta intellettuale e politica, iniziata nella Scuola di Francoforte, astenendosi dal condannare la guerra del Vietnam. O ancora, scrittori e pensatori che erano emersi nel campo della sinistra, come Octavio Paz, Mario Vargas Llosa e Regis Debray, trasformatisi in portavoce dell'impero e della reazione.
Wallerstein è stato diverso rispetti a tutti loro, e non solamente sul piano sostanziale della teoria sociale e politica, ma anche nella discussione epistemologica, come dimostra il suo magnifico libro del 1998: "La scienza sociale: come sbarazzarsene. I limiti dei paradigmi ottocenteschi" [Il Saggiatore]. In questo testo, invita a realizzare una critica del paradigma metodologico dominante le scienze sociali, le quali sono condannate da tale paradigma positivista ad un'incurabile incapacità a comprendere il groviglio della dialettica e la storicità della vita sociale. In conformità con una tale prospettiva di analisi, le sue previsioni circa il corso del dominio imperialista non potrebbero essere più corrette. In uno dei suoi articoli del 2011, ci avvertiva del fatto che «la visione secondo cui gli Stati Uniti si troverebbero in declino, in un grave declino, è una banalità. Lo hanno detto tutti, tranne alcuni politici statunitensi che, nel caso discutessero della decadenza, temono di essere ritenuti responsabili delle notizie a proposito della decadenza.» Ed aggiungeva che se è vero che «per diversi paesi, ci sono molti aspetti positivi nella decadenza statunitense, ma non esiste la certezza che, nella frenetica oscillazione della nave mondiale, tali altri paesi potrebbero di fatto, come si aspettano, trarre beneficio da questa nuova situazione.». Il percorso seguito dall'amministrazione Trump, e il collasso irreversibile di quello che è l'ordine mondiale del dopoguerra, che aveva il suo asse negli Stati Uniti, conferma ciascuna delle sue parole.
Per concludere, a cosa possiamo attingere, per nutrirci teoricamente ai fini di comprendere e trasformare il mondo attuale, superando definitivamente il capitalismo, lasciandoci così alle spalle questa dolorosa e barbara preistoria dell'umanità?
Il messaggio che ha rivolto alle giovani generazioni è cristallino: leggete Marx, e non tanto quello che viene scritto su Marx: «Bisogna leggere quello che scrivono coloro che sono persone interessanti,» - afferma Wallenstein - «e Marx è lo studioso più interessante del XIX e del XX secolo. A riguardo non c'è alcun dubbio. Non c'è nessuno che sia paragonabile, in termini di quantità di cose che ha scritto, e neppure per la qualità della sue analisi.»
Pertanto, il messaggio alle nuove generazioni è che vale parecchio la pena di scoprire Marx, però è necessario leggerlo e leggerlo. Leggete Marx!
È stato questo uno dei suoi ultimi consigli per poter comprendere la natura e la dinamica di un sistema, il capitalismo, al quale già nel 2009 concedeva al massimo venti o trent'anni di sopravvivenza.
Grazie Immanuel per le luci che hai acceso in tutti questi anni!
- Atìlio A. Boron - 6 settembre 2019 - Pubblicato sul giornale argentino Página 12 -
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