La globalizzazione deve adattarsi alle necessità delle persone, non il contrario.
[Intervista a Robert Kurz pubblicata su obeco-online il 27 aprile 2004. Traduzione dal tedesco di CP Traducciones. Traduzione dallo spagnolo di Enrico Sanna.]
IHU On-Line, per questo numero del 2004, ha intervistato via e-mail il sociologo e saggista tedesco Robert Kurz (1943-2012). Nato nel 1943, Kurz ha studiato filosofia, storia e pedagogia. A quel tempo, Kurz lavorava a Norimberga come pubblicista autonomo, autore e giornalista. È stato cofondatore e redattore della rivista teorica Krisis – Beiträge zur Kritik der Warengesellschaft (Krisis – Contributi alla Critica della Società di Mercato). Il suo campo di lavoro comprendeva la teoria della crisi e della modernità, l’analisi critica del sistema capitalista mondiale, la critica dell’illuminismo e la relazione tra cultura e economia. Ha pubblicato saggi su quotidiani e periodici tedeschi, austriaci, svizzeri e brasiliani. I suoi libri O Colapso da Modernizaçao (São Paulo: Paz e Terra, 1991), pubblicato anche in Brasile con il titolo O Retorno de Potëmkin (São Paulo: Paz e Terra, 1994) e Os Últimos Combates (Petrópolis: Vozes, 1998) hanno fatto discutere molto in Germania e altrove. Più recente è la pubblicazione di Schwarzbuch Kapitalismus (Il Libro Nero del Capitalismo), nel 1999, Weltordnungskrieg (La Guerra dell’Ordinamento Mondiale) e Die Antideutsche Ideologie (L’ideologia Antitedesca), nel 2003, quest’ultimo non tradotto in portoghese. La seguente intervista, concessa a IHU On-Line in tedesco, è disponibile sul sito www.exit-online.org. La traduzione è di CP Traducciones.
IHU On-Line: In Brasile cresce in disincanto per un governo di sinistra dal quale ci si aspettava una soluzione ai problemi occupativi. Perché la disoccupazione appare una questione irrisolvibile? La nostra società può basarsi su un modello diverso dal binomio occupazione-disoccupazione?
Robert Kurz: È una contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalista moderno, che da un lato si basa sulla trasformazione permanente dell’energia umana in capitale, e dall’altro trasforma la manodopera in qualcosa di superfluo. In passato, questa contraddizione è sempre stata compensata da un’espansione dei mercati. Con la terza rivoluzione industriale della microelettronica, invece, l’espansione non riesce a compensare gli effetti della razionalizzazione, che oggi sono più forti e persistenti. A tutt’oggi, nessuno degli schemi attuati per vincere la crisi ha dato risultati, perché non tengono in conto la logica obsoleta della trasformazione del lavoro in capitale e si occupano unicamente dell’amministrazione della povertà. Se diventiamo improduttivi e se i cicli improduttivi si accumulano dovremmo, in linea di principio, criticare gli attuali modi e le disposizioni produttive. Davanti a questo dilemma, la discussione frena e in un certo senso rallenta.
IHU On-Line: Come vede la relazione tra stato, mercato e settore finanziario? E qual è il futuro dei partiti e dei sindacati?
Robert Kurz: La politica come tale è un modello in via di estinzione. In pratica, stato e politica rispondono unicamente alle conseguenze dei processi ciechi del mercato e della concorrenza. Quando queste conseguenze non si possono più controllare, il potere politico scompare. Possiamo essere soggetti della politica solo se siamo già soggetti del lavoro e del capitale. Quanto più le persone si allontanano dalla logica lavoro-capitale, tanto meno sono le speranze per lo stato. È per questo che molti non credono più nei partiti politici. L’attività politica come tale oggi diventa in un certo senso un’attività a vuoto [1]. Le organizzazioni non-governative cessano di essere un’alternativa quando sono percepite come semplici imprese prive di capacità critica e di difese dalla società totalitaria del mercato. Dovrebbero cercare apertamente di opporsi all’ordine delle cose e pensare ad un mondo molti più in là della dicotomia stato-mercato, smettere di essere organizzazioni subalterne di aiuto parallelo o anche inerenti all’amministrazione capitalista della crisi, per contrapporsi a tutto ciò. Anche i sindacati sono inerti, perché sono stati concepiti unicamente per l’espansione storica del lavoro salariato. Nell’attuale crisi globale, questo terreno sociale è attraversato da un terremoto. In passato le richieste sindacali potevano fare breccia sullo Stato e le imprese. Ma alla luce delle attuali esigenze, i sindacati sono paralizzati perché sono rimasti schiacciati dalla logica del lavoro salariato e perché hanno assunto su di sé le responsabilità del sistema vigente.
IHU On-Line: In cosa divergono le sue idee rispetto a quelle della flessibilità lavorativa di Ulrich Beck e a quelle del lavoro immateriale di André Gorz? Cosa pensa delle riflessioni di Paolo Virno e Maurizio Lazzarato?
Robert Kurz: Sono diversi anni che si dibattono nuovi concetti, che ovviamente non contribuiscono molto ad un’analisi critica perché partono dall’assunto della gestione della crisi. La flessibilità, elogiata come modo per realizzare se stessi, è in realtà un modo per auto-adattarsi alle strane esigenze del sistema in crisi. Le persone devono pensare a se stesse come proprio capitale umano, ognuno deve diventare una piccola impresa, ogni individuo deve essere il tramite unico della propria valorizzazione. Essere flessibili non pare significare altro che degradarsi ad automa, che reagisce automaticamente agli ordini e ai segnali del mercato. Questa è la forma più sottile di disumanizzazione. Nella stessa logica rientra il concetto di lavoro immateriale proprio della società intellettuale o dell’informazione. In primo luogo, gran parte delle cosiddette attuazioni o attività immateriali in campo medico, culturale, educativo, della consulenza e altro, sono difficilmente caratterizzabili come capitaliste. Non si tratta dunque di grossi ambiti di sfruttamento del capitale, ovvero di trasformazione del lavoro in capitale, come accadeva nell’industria automobilistica del passato. Al contrario, in questi ambiti la logica capitalista vede dei costi (sociali e d’impresa). In secondo luogo, si cerca al contempo, entro il contesto capitalista, di ridurre e adattare le potenzialità degli ambiti immateriali tramite la razionalizzazione e la privatizzazione. Passando dal processo cieco dello sviluppo capitalista, nasceranno nuove possibilità di progresso che andranno oltre il sistema produttivo moderno, perché non possono più essere escluse dalla logica di lavoro, valore, prodotto e capitale. Così il concetto di lavoro si contraddice, perché le attività e le possibilità immateriali si oppongono specificamente all’astrazione capitalista del lavoro. Non ha senso limitarsi a cambiare il concetto moderno di lavoro. Bisogna negarlo categoricamente.
IHU On-Line: Qual è il ruolo dell’università in una società con un gran numero di disoccupati?
Robert Kurz: Le università sono le istituzioni classiche dell’istruzione. Come tutte le istituzioni, si basano sull’economia propria della società del lavoro di massa, basata sul profitto dal capitale. In ambiti secondari, dove la logica del profitto non ha dato frutti diretti, le università sono state considerate come un certo lusso intellettuale fatto di ricerca, formazione e riflessione critica nella storia dell’espansione capitalista. Al vertice di questa espansione, ai tempi dell’industria fordista (delle auto), sembrava che anche i figli della classe lavoratrice potessero accedere alle università su larga scala, come se fosse possibile sostituire i lavoratori di massa con intellettuali di massa. Da quando questa espansione storica si è trasformata in contrazione storica, anche le università hanno sentito la crisi globale della terza rivoluzione industriale. Una società di disoccupazione di massa è una società di necessità finanziarie. Negli ambiti secondari, come l’insegnamento, mancano significativamente i finanziamenti. Quanto più i politici negano la necessità di invertire la rotta dell’istruzione per seguire la concorrenza nel mercato mondiale, tante più difficoltà e restrizioni incontrano le scuole e le università. Gli amministratori, i funzionari e gli ideologi del sistema vogliono sconfiggere questa contraddizione riducendo nella società l’apprendimento e i suoi contenuti. Il concetto di elitismo si è imposto nuovamente tramite la privatizzazione e le paghe alte, e promuovendo meno università di qualità, cosa che ha prodotto in piccola scala le qualifiche per il mercato mondiale mentre sono stati tagliati i costi superflui dell’istruzione. Il capitalismo non può sostituire i lavoratori di massa con intellettuali di massa, ma solo con la barbarie analfabeta di massa. Ma le limitazioni sociali si rifanno con le limitazioni intellettuali nei programmi curricolari delle università. La scienza deve trasformarsi direttamente in macchina capitalista da profitto; la logica economica imprenditoriale divora la ricerca libera, e la riflessione critica soccombe in quanto lusso non necessario. Ecco quindi l’emergere di una massa crescente di disoccupati analfabeti accanto ad una pseudo-élite di intellettuali idioti funzionali, che si dichiarano incapaci di gestire il grado di socializzazione raggiunto, che è molto complesso e ibrido. Le università potranno allontanarsi da questa tendenza de-civilizzante solo quando si opporranno all’elitismo (e alla sua lobby) e al riduzionismo economico. Occorre un movimento di “disobbedienti culturali”, che cerchi un accordo con i nuovi movimenti sociali, lasciando perdere l’antiquata e paralizzata classe politica di sinistra. Se le possibilità continueranno a scarseggiare, la comunità di docenti e studenti dovrà passare alla sovversione intellettuale e trasformare l’università in un campo sperimentale della cultura dell’opposizione.
IHU On-Line: Quali sono le sfide principali della globalizzazione?
Robert Kurz: Ci sentiamo dire continuamente che dobbiamo adattarci alla globalizzazione. La globalizzazione è davvero irreversibile, e non può tornare indietro alla forma nazionale della società. Ma la globalizzazione deve adattarsi alle necessità delle persone, non il contrario. Nel lungo termine, questo sarà possibile solo se la società mondiale si libererà del gioco dell’economismo reale per organizzare i suoi ampi ricorsi in forma nuova, oltre il mercato e lo stato. Per percorrere uniti questo cammino, i movimenti sociali dissidenti devono stare alla stessa altezza del capitale transnazionale. Questa sfida vale anche per i sindacati, che devono liberarsi della forma organizzativa nazionale. Quanto alla forma del partito politico, resta essenzialmente legata alla dimensione nazionale, e dunque oggi è reazionaria; la lotta sociale deve diventare fondamentalmente transnazionale come l’economia imprenditoriale capitalista. Finora però i nuovi movimenti sociali hanno mantenuto l’orientamento in senso tradizionale internazionale più che in quello realmente transnazionale. Questo perché questi movimenti seguono le forme normative del passato statale (nostalgia keynesiana). Queste forme normative non possono ovviamente espandersi sul piano delle norme transnazionali della globalizzazione perché non esiste uno stato mondiale. È chiaro dunque come l’attuale coscienza dell’opposizione rimanga attaccata alle categorie obsolete del sistema moderno della produzione delle merci. Nazione, “lavoro” e forma delle merci devono essere superate. Finché i movimenti sociali dissidenti continueranno a confrontarsi con queste categorie, continueranno a subire l’influsso da parte del populismo nazionalista con le sue tendenze razziste e antisemite. Una delle sfide maggiori della globalizzazione sta nel rigettare con forza queste false alternative.
IHU On-Line: Come descriverebbe la società a cui punta il gruppo Krisis?
Robert Kurz: Purtroppo devo dire che l’attuale gruppo Krisis non è più quello originario. Si è sciolto a causa delle divergenze sulla critica dell’illuminismo e della forma moderna “maschile” del soggetto. La maggioranza di quella che era la redazione di Krisis pubblica una nuova rivista teorica chiamata EXIT! Scissioni così le abbiamo già viste nella storia della sinistra. A quanto pare, non si lasciano intimidire dalle nuove esigenze. Alcuni sono pronti, altri già vanno avanti. Ma questo non cambia affatto il carattere sociale dell’iniziativa. Il nuovo gruppo è anche un’associazione libera di pensiero critico fuori dalle istituzioni accademiche. Noi non siamo, nel senso dogmatico della parola, anti-accademici, ci sono anche persone che vengono dall’ambito scientifico istituzionale. Si tratta di vedere se la critica emancipatoria arriverà alle università. Questo sarà possibile non solo con i contenuti ma anche con una posizione istituzionale indipendente. Forse è questo il futuro delle riflessioni critiche, ovvero l’autorganizzazione in gruppi autonomi slegati dalle tutele burocratiche.
[1] Nell’originale tedesco: Der ganze politische Betrieb ist nur noch ein Leerlauf. Nota di IHU.
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