giovedì 31 maggio 2018

L'ecologia del capitale

polli

Come ha fatto il "nugget di pollo" a diventare il vero simbolo della nostra epoca
- È questo quello che succede quando si trasforma il mondo naturale in una macchina per il profitto -
  di Ray Patel e Jason W.Moore

Il simbolo più significativo dell'era moderna non è l'automobile o lo smartphone. È il "chicken nugget"  [ crocchetta di pollo ]. Negli Stati Uniti, la carne di pollo è già l'alimento più popolare, e si prevede che entro il 2020 lo diventerà anche per tutto il resto del pianeta. Le civiltà future troveranno nel Registro fossile tracce dell'abitudine che ha avuto l'umanità di mangiare 50miliardi di uccelli all'anno; un indicatore per quello che noi chiamiamo Antropocene. Eppure la responsabilità per il drammatico cambiamento avvenuto nel nostro consumo, non risiede tanto nell'attività umana in generale, quanto nel capitalismo. Sebbene ci venga insegnato a comprenderlo come se fosse un sistema economico, il capitalismo non si limita ad organizzare le gerarchie del lavoro umano. Il capitalismo è ciò che avviene quando potere e denaro si combinano per trasformare il mondo naturale in una macchina per produrre profitto. E in effetti, il modo che abbiamo di comprendere la natura, dipende molto dal capitalismo.
In ogni civiltà si è avuta una data versione della differenza fra "noi" e "loro", ma solamente sotto il capitalismo si è stabilito un confine fra "società" e "natura" - un confine violento posto strettamente sotto un controllo poliziesco che affonda profondamente le sue radici nel colonialismo.
A partire dall'epoca di Cristoforo Colombo, il capitalismo ha creato un peculiare ordine binario. Nella mente dei filosofi, per quel che riguardava le politiche degli imperi europei, e nelle previsioni dei centri finanziari globali, la "natura" divenne l'antonimo della "società". La "natura" era un luogo di profitto, una vasta frontiera di regali gratuiti che aspettavano di essere accettati dai conquistatori e dai capitalisti.
Per ogni genere di motivo, si trattava di una punto di vista pericoloso riguardo la natura, non ultimo a causa del fatto che degradava simultaneamente sia la vita umana che la vita animale di ogni tipo. Ciò che noi chiamiamo "natura a buon mercato" includeva non solo foreste, terreni e corsi d'acqua, ma anche la stragrande maggioranza dell'umanità. Nei secoli intercorsi fra Colombo e la rivoluzione industriale, sono stati schiavizzati e messi sotto contratto Africani, Asiatici, popolazioni indigene, e virtualmente tutte le donne che sono diventate parte della "natura" - ottenendo così il risultato che venissero trattati come se fossero a basso costo. Quando gli esseri umani possono essere trattati con così poca cura, non sorprende che sotto il capitalismo altri animali possano essere trattati anche peggio, in special modo quelli che poi finiamo per pagare per poi mangiarli.
Gli animali si sono trovati ad essere al centro di cinque secoli di trasformazione della dieta, che dopo la seconda guerra mondiale ha avuto una brusca impennata. La creazione del mondo moderno dipendeva dal movimento nel nuovo mondo di mucche, pecore, capre, cavalli, maiali e polli, che dopo il 1492 rafforzavano l'avanzamento assassino di microbi, soldati e banchieri. La "impronta ecologica" del capitalismo, per usare l'efficace immagine del nutrizionista Tony Weis, è diventata da allora radicalmente globalizzata. Nel mezzo secolo successivo al 1961, ci dice Weis, il consumo pro capite di carne e uova è raddoppiato, ed il numero di animali macellati è salito di otto volte, passando da 8 a 64 miliardi.
Per chi ha una visione romantica circa la provenienza del cibo, ritiene che la carne cruda sia un ingrediente grezzo, piuttosto che lavorato. Ma è il contrario. La coltivazione di mangimi e semi oleosi costituisce parte di ciò che Weis chiama "il complesso industriale del grano e dei semi oleosi". I mercati del grano hanno permesso alla carne, non solo di diventare cibo a buon mercato, ma anche di restituire in cambio un sostegno finanziario. Le "future" in pancetta di maiale, per esempio, richiedono a loro volta l'uniformità, l'omogeneizzazione e la industrializzazione delle colture che trasformano. La carne cruda in vendita nei supermercati viene, in altri termini, cucinata da un braccio sofisticato ed intensivo dell'ecologia del capitalismo.
Dove c'è profitto, ci sono anche tutti gli incentivi a realizzarlo in maniera efficiente. I moderni sistemi di produzione di carne possono prendere un uovo fertile e 4 kg di farina e trasformarlo in cinque settimane in un pollo da 2 kg. Fra il 1970 ed il 2000, i tempi di produzione di un tacchino sono stati quasi dimezzati, e sono arrivate a volerci 20 settimane per passare dall'uovo al volative di 20 kg. Altri animali hanno visto progressi simili grazie ad una combinazione di procreazione, alimentazione concentrata, e catene globali di approvvigionamento. Le conseguenze dell'aumento sostenuto del consumo di carne sono anch'esse un affare planetario: 14,5% di tutte le emissioni antropogeniche di CO2 provengono dalla produzione di bestiame.
Ovviamente, le conseguenze ambientali della produzione di carne sono esterne all'insieme dell'agricoltura industriale. La natura è semplicemente la riserva dalla quale vengono estratti gli animali per essere allevati industrialmente, e la discarica nella quale scompaiono i loro rifiuti. Il pericolo risiede nel credere che la divisione fra natura e società sia reale, nel vedere "l'agricoltura industriale" come un problema ambientale e nel vedere la "produzione industriale" come se fosse un problema sociale. I problemi sociali sono dei problemi ambientali, e viceversa.

pollo mucca

I polli non si trasformano da soli in crocchette. Ai capitalisti serve lavoro a buon mercato. E quel lavoro si presento, nel corpo degli indigeni, nel 1492, con l'invasione europea del nuovo mondo. Verso la fine XVI secolo, quando gli spagnoli cercavano disperatamente di far rivivere la produzione d'argento nella grande montagna d'argento del Potosì, nell'attuale Bolivia, cominciarono ad usare la parola "naturales" per riferirsi ai popoli indigeni. Attraverso il duro lavoro e la preghiera, questi popoli indigeni, e gli schiavi africani, potrebbero ottenere la divina redenzione attraverso il lavoro e forse in un lontano futuro magari anche l'ingresso alla pari nella società.
Il lavoro non è mai stato pensato per essere divertente. Si consideri l'etimologia del travail francese e del trabajo spagnolo, ciascuna di esse è una traduzione della parola inglese "work": la loro radice latina è trepaliare, "torturare, infliggere sofferenza o agonia". Ma il modo in cui funziona il lavoro, è cambiato.
Per millenni, la maggior parte degli esseri umani è sopravvissuta per mezzo di relazioni più o meno intime con la terra e con il mare. Anche quelli che fra di loro non erano strettamente collegati a compiti e all'oggetto del lavoro.La sopravvivenza umana dipendeva da una conoscenza olistica, non frammentata: pescatori, nomadi, agricoltori, guaritori, cuochi e molti altri esperivano e praticavano il loro lavoro in un modo che era direttamente connesso alla rete della vita. I contadini, per esempio, dovevano conosce il suolo, i modelli metereologici, i semi - in breve, ogni cosa dalla semina alla raccolta. Ciò non significava che il lavoro fosse gradevole - spesso gli schiavi venivano trattati brutalmente. Né significava che le relazioni di lavoro fossero eque: i maestri delle corporazioni sfruttavano gli operai, i signori sfruttavano i servi, gli uomini sfruttavano le donne, il vecchio sfruttava il giovane. Ma il lavoro si basava su un senso olistico della produzione e su una connessione alla totalità del mondo della vita e della comunità.
Nel XVI secolo, tutto questo cominciò a cambiare. L'intraprendente agricoltore olandese o inglese - e il piantatore di canna da zucchero di Madera o del Brasile - si erano collegati sempre più ai mercati internazionali per i prodotti trasformati, e di conseguenza erano sempre più interessati alle relazioni fra il tempo di lavoro ed il raccolto. I mercati internazionali avevano spinto le trasformazioni locali. In Inghilterra, la terra si era consolidata attraverso la recinzione, la quale allo stesso tempo aveva "liberato" una quota sempre più crescente di popolazione rurale dai beni comuni che avevano fino ad allora coltivato, e che li avevano sostenuti facendoli sopravvivere. Questi braccianti appena sfollati era liberi di trovare un altro lavoro, e, se fallivano, erano liberi di morire di fame o di finire in prigione.
Questa storia è viva e vegeta dentro la moderna crocchetta di pollo. Gli allevatori di pollame vengano pagati molto poco: negli Stati Uniti, per ogni dollaro speso per un pollo da fast-food, due centesimi vanno agli allevatori. È difficile trovare manodopera quando, secondo uno studio relativo all'Alabama, l'86% degli addetti che tagliano ali di pollo hanno dei problemi a causa della ripetitività del loro lavoro e delle torsioni che svolgono sulla linea di montaggio. Per colmare le lacune relative alla mancanza di forza lavoro, alcuni operatori utilizzano il lavoro carcerario, pagato a 25 centesimi l'ora. In Oklahoma, i dirigenti delle compagnie di pollame sono tornati a far uso di una miscela coloniale di lavoro e di fede, creando nel 2007 un centro per il trattamento delle dipendenze, "Christian Alcoholics & Addicts in Recovery" (CAAIR). Con i giudici, che indirizzano i tossicodipendenti al trattamento, anziché al carcere, il programma di recupero ha ottenuto una pronta disponibilità di lavoratori. Al CAAIR, la preghiera è stata integrata con il lavoro non pagato, sulle linee di produzione di polli, come parte di una terapia di recupero. Se hai lavorato e pregato abbastanza per la durata del trattamento, ti viene permesso di rientrare nella società.
Le reclute del CAAIR erano in prevalenza giovani e bianchi, ma la maggioranza degli allevatori di polli sono persone di colore. Nell'agricoltura statunitense, gli immigrati latini (Latinx) sono una forza vitale, e l'utilizzo della loro forza lavoro a basso costo è stato reso possibile a parte da una ristrutturazione di classe avvenuta su due fronti. Il primo fronte, negli Stati Uniti, è stato quello di un forte movimento, negli anni '80, da parte delle nuove imprese di confezionamento della carne, volto ad aggredire e distruggere il potere sindacale e a sostituite i lavoratori sindacalizzati con lavoratori immigrati a salario basso. L'altro fronte è stato quello della destabilizzazione dell'ordinamento agrario messicano, avvenuto dopo il 1994 con il "North American Free Trade Agreement" (Nafta), che ha avuto come conseguenza un flusso di forza lavoro immigrante a basso costo - lavoratori disoccupati che sono stati dislocati dall'ecologia capitalista da un lato del confine degli Stati Uniti all'altro. Una linea, tracciata su una mappa, che unisce due Stati, costituisce una potente astrazione, ed è stata usata recentemente dall'estrema destra per reclutare e diffondere la paura, e da molto più tempo è stata usata dai capitalisti alla ricerca di lavoratori sempre più a buon mercato e sempre più redditizi. Sotto il capitalismo, i territori nazionali, le terre di proprietà locale ed i nuovi lavoratori migranti vengono prodotti simultaneamente.

polli pulcini

Insieme ai lavoratori migranti arrivò anche la paura delle élite per i vagabondi poveri. Nell'Inghilterra del XVII e del XVIII secolo, questo panico sfociò in dure leggi contro il vagabondaggio, e nello svilupparsi di opere di carità volte a migliorare i peggiori effetti dovuti alla miseria forzata. La minaccia della galera spinse i poveri verso il lavoro salariato, un'attività che prendeva l'intelligenza, la forza e la destrezza degli esseri umani, e li disciplinava attraverso il lavoro produttivo facendo uso di un'altra invenzione moderna: un nuovo modo di misurare il tempo.
Se è la pratica del lavoro a dare forma all'ecologia del capitalismo, la sua macchina indispensabile è l'orologio meccanico. L'orologio - non il denaro - emergeva come la tecnologia chiave per misurare il valore del lavoro. Questa distinzione è cruciale in quanto è facile pensare che il marchio del capitalismo sia lavorare in cambio di un salario. Non è così: nell'Inghilterra del XIII secolo, solo un terzo della popolazione economicamente attiva dipendeva dai salari per la sua sopravvivenza. Il fatto che i salari siano diventati un modo decisivo per la strutturazione della vita, dello spazio e della natura, lo si deve ad un nuovo modello di tempo.
All'inizio del 14° secolo, il nuovo modello temporale stava modellando l'attività industriale. Nelle città tessili come Ypres, in quello che oggi è il Belgio, gli operai si vedevano regolati, non dal flusso di attività o da quello delle stagioni, ma da un nuovo tipo di tempo - astratto, lineare, ripetitivo. A Ypres, il tempo di lavoro veniva misurato dalle campane della città, che suonavano all'inizio e alla fine di ogni turno di lavoro. Nel XVI secolo, il tempo veniva misurato secondo intervalli regolari di minuti e di secondi. Questo tempo astratto è arrivato a plasmare tutto - lavoro e gioco, sonno e veglia, credito e denaro, agricoltura e industria, persino la preghiera. Alla fine del XVI secolo, la maggior parte delle parrocchie inglesi era dotata di orologi meccanici.
La conquista spagnola delle Americhe, portò ad inculcare nei loro residenti un nuovo concetto del tempo, oltre che dello spazio. Dovunque penetrassero gli imperi europei, ecco che appariva l'immagine del nativo "pigro", che ignorava gli imperativi di Cristo e dell'orologio. Il tempo dell'attività di controllo era centrale per l'ecologia del capitalismo. Già nel 1553, la corona spagnola aveva iniziato ad installare "almeno un orologio pubblico" in ogni principale città coloniale. Le altre civiltà avevano le proprie sofisticate regole temporali, ma i nuovi regimi di lavoro andavano a sostituire il tempo e quelle che erano le relazioni indigene con il mondo naturale. Il calendario Maya è una complessa gerarchia di tempi e di letture del cielo, che offre una ricca serie del modo in cui si dispongono gli esseri umani nell'universo. Gli invasori spagnoli lo rispettarono solo fino ad un certo punto: sincronizzarono i loro assalti coloniali con i momenti sacri segnati nel calendario.
Come ha osservato lo storico Edward Palmer Thompson, nel suo studio fondamentale, "Time, Work-Discipline and Industrial Capitalism" ["Tempo e disciplina del lavoro"], la governance del tempo segue una logica particolare: «Nella società capitalista matura, tutto il tempo dev'essere consumato, commercializzato, messo al lavoro; per la forza lavoro limitarsi a "passare il tempo" è offensivo». La connessione fra attività specifiche e obiettivi produttivi più ampi non consentiva il furto del tempo , e la disciplina dell'orologio veniva imposta con la violenza su tutto il pianeta.
Insegnare il valore e la struttura del tempo capitalistico ai nuovi soggetti era una parte fondamentale dell'impresa coloniale. Nel 1859, un colono osservava che gli indigeni australiani «ora... hanno il vantaggio di poter attribuire una data ("Nip Nip") a partire dal periodo di tosatura annuale svolto dai coloni. Questo sembra fornire loro un modo di contare gli anni, che prima non avevano. I mesi, o le lune, li soddisfacevano». Ma la regolazione del tempo è stata anche al centro della resistenza. Un altro colono scrive in un diario: «Questa sera c'è stato un grande Korroberry [sic, per corroboree, forse un un raduno spirituale esuberante] - Ho cercato di dissuaderli, dicendo loro che era domenica - ma loro hanno detto "per i neri nessuna domenica"». Perché questa resistenza? Forse perché sapevano perfettamente che era il loro lavoro ad essere oggetto di furto, che i coloni si stavano appropriando del loro lavoro.
Le battaglie contro la regolamentazione del tempo continuano anche adesso. Riguardo le linee di produzione di pollame, esiste una legge federale che limita la velocità alla quale possono essere prodotti gli uccelli: 140 uccelli al minuto. L'industria sta facendo pressioni per poter eliminare questo limite, cosicché possa competere con le fabbriche in Brasile ed in Germania, dove il tasso si avvicina a 200 uccelli al minuto. Le preoccupazioni che riguardano la contaminazione del cibo e gli infortuni sul lavoro, vengono superate per mezzo del profitto determinato da un maggior numero di polli morti.

Il capitalismo ha sempre sperimentato simultaneamente ogni tipo di sistema di lavoro disponibile. Ad esempio, una piantagione di zucchero nel Brasile degli anni 1630 sarebbe stata facilmente riconoscibile in quanto moderna operazione industriale, cosi come, diciamo l'industria tessile del Bangladesh. Si fabbricano hamburger standardizzati, proprio come se a farlo fossero operai del settore automobilistico che assemblano sulla linea delle parti semplificate e intercambiabili, allo stesso modo in cui gli schiavi africani svolgevano lavori specializzati nel paesaggio semplificato della monocoltura dello zucchero.
Dietro la fabbrica moderna, c'è sempre stata una suddivisione della torta dello sfruttamento. I manager delle fabbriche avevano un salario migliore di quello degli operai, i quali lavoravano con materie prime che venivano acquisite per mezzo di vari tipi di bracciantato e di sfruttamento delle risorse naturali, e tutti quanti loro dipendevano dal lavoro domestico gratuito, di solito delle donne. La fabbrica globale dipende da una miniera globale, da una fattoria globale, e da una famiglia globale.
Da qui, il persistere della schiavitù. Un'agenzia dell'ONU, la International Labour Organization, stima che oggi ci siano in schiavitù 40 milioni di persone, la maggioranza delle quali sono donne, molte in uno stato di matrimonio forzato. Ad esempio, i campi di lavoro in tempo di guerra, nella Repubblica Democratica del Congo, forniscono i metalli delle terre rare, come il tantalio, che alimenta le strutture che stano dietro l'economia virtuale.
Ma proprio come avviene per la dirigenza, che cerca di trovare nuovi modi per generare profitti, allo stesso modo i lavoratori trovano nuovi modo di resistere. Le grandi frontiere delle merci del primo capitalismo - dello zucchero, dell'argento, del rame, del ferro, dei prodotti forestali, della pesca e perfino dell'agricoltura dei cereali - erano zone di sperimentazione in quelle che erano strategie di controllo in Europa e nelle sue colonie, ed erano sempre spazi di conflitto. Scioperi, ribellioni, negoziazioni e resistenza hanno caratterizzato l'applicazione delle discipline del lavoro capitalistico. Ogni resistenza da parte del lavoro era una nuova ragione per introdurre macchinari. I moderni regimi di lavoro e le tecnologie sono emersi dal crogiolo di esperimenti, strategie e resistenze dei primi lavoratori moderni.
Le rivolte operaie nelle fabbriche e la ribellione di schiavi, passate e presenti, sono collegate fra di esse non solo perché sono espressioni di resistenza, ma perché sono proteste contro l'ecologia del capitalismo. Ogni fabbrica globale ha bisogno di una fattoria globale: le imprese industriali, le imprese tecnologiche e dei servizi si basano sull'estrazione di lavoro a buon mercato e sulla natura, altrettanto a buon mercato, per poter prosperate. Le app sul tuo Iphone, progettate a Cupertino, in California, potrebbero essere state codificate da ingegneri informatici indipendenti che si auto-sfruttano, ed il telefono stesso può essere stato assemblato in un posto di lavoro draconiano in Cina, e fabbricato con minerali che sono stati estratti in condizioni disumane in Congo. La moderna produzione si basa su regimi di lavoro stratificati, simultanei e differenti. E, in risposta ad ogni atto di resistenza nei confronti di tutto questo, il capitalismo ha spostato ancora una volta le frontiere del lavoro.

pollo spam

L'egemonia sui lavoratori è stata supportata da cibo a buon mercato, e dalla promessa di un pollo in ogni pentola. Per millenni, il cibo economico è stato fondamentale ai fini del mantenimento dell'ordine. Ma nell'ecologia del capitalismo, quest'ordine è stato mantenuto grazie alla trasformazione planetaria.
Fin dal XV secolo, ci sono state alcune terre che sono diventate dominio esclusivo di specifici tipi di colture e di sistemi di coltura: campi di monoculture progettate per portare fiumi di denaro contante. Altre aeree sono state riservate ad ospitare quegli esseri umani che erano stati sradicati da quelle terre, per essere messi meglio al servizio dei capitalisti nelle città. Si trattava sempre di una geografia socialmente instabile, con dei bassi salari industriali sostenuti per mezzo dei bassi salari agricoli, sostenuti a loro volta dai doni gratuiti della natura, delle donne e delle colonie. Dopo le rivoluzioni del XIX e del XX secolo che avevano offerto ai lavoratori la promessa che ci fossero delle alternative allo sfruttamento, le paure capitaliste delle rivolte urbane e del comunismo arrivarono a dei picchi febbrili. Per dissipare questo timore esistenziale, i governi e le istituzioni non hanno affrontato la disuguaglianza e lo sfruttamento. Invece, hanno finanziato lo sviluppo di colture che sarebbero cresciute abbastanza abbondantemente da fornire cibo a basso costo per saziare la fame urbana.
Il fatto che fosse urbana, e non rurale, la fame che ha turbato i politici è di vitale importante. Cibo ed occupazione per le persone che vivono nelle aree rurali - dove si trova concentrata la più parte della fame del mondo - destavano poca preoccupazione. La fame ha cominciato a contare politicamente solo quando i poveri sono arrivati nelle città ed hanno tradotto la cosa in rabbia, e quindi potenzialmente in insurrezione e sfida alla regola della natura a basso costo. È qui - nella preoccupazione borghese per quella regola ed il fatto che di essa ci sia bisogno ai fini della quiescenza operaia - che troviamo l'origine di quella che è diventata nota con nome di Rivoluzione Verde.
L'obiettivo era quello di coltivare varietà di cereali che potessero scorrere liberamente per tutte le aree urbane. Ma la rivoluzione non era semplicemente una trasformazione agronomica. Richiedeva qualcosa di più, oltre che semi magici. Affinché gli agricoltori potessero far crescere le colture, i governi nazionali dovevano sovvenzionare l'acquisto di colture per mezzo di marketing agricolo, porre le strutture per l'irrigazione, e sopprimere il dissenso politico nei confronti dei sistemi alimentari alternativi. La Rivoluzione Verde, fra l'inizio e la metà del XX secolo, è consistita in un pacchetto di riforme volte a prevenire l'obiettivo politico rivoluzionario di molti movimenti contadini e di lavoratori senza-terra: un'agricoltura integrale ed una riforma agraria.
Se strizzi bene gli occhi, puoi riuscire a vedere la Rivoluzione Verde come se fosse un successo. Globalmente, fra il 1950 ed il 1980, la produzione di cereali ed il rendimento (la quantità di prodotto per unità di area) è più che raddoppiata. La produzione di grano dell'India è aumentata, fra il 1960 ed il 1980, dell'87%. similmente a quello che è stato sperimentato da coltivatori americani di mais nei vent'anni successivi al 1935. Una quota sempre più crescente di tutto questo cibo è stata scambiata sul mercato mondiale, con un'esportazione globale di grano che durante gli anni '60 e '70 ha visto un incremento del 295%. Se è questa la misura del successo, allora l'impegno politico di rendere a buon mercato il cibo, attraverso sussidi statali e violenza, ha funzionato.
Ma la prodigiosa produzione non ha ridotto la fame. In India la produzione di grano è aumentata vertiginosamente, ma la quantità di quello che mangiano gli indiani non è aumentata. La fame, soprattutto in un'economia dipendente dall'agricoltura, non finisce se le persone rimangono povere: non importa quanto grano ci sia, se non ti puoi permettere di comprarlo. Infatti, dal 1990 al 2015, è un fenomeno globale quello che vede i prezzi dei prodotti alimentari trasformati nettamente inferiori a quelli di frutta e verdura fresca, e che oggi, in quasi tutti i paesi, la parte più povera della popolazione non può permettersi di mangiare cinque volte al giorno frutta o verdura.
Sebbene i lavoratori dei paesi appartenenti all'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) abbiano visto un incremento nella loro quota di reddito nazionale, dopo la seconda guerra mondiale, questa tendenza si è invertita negli anni '80. Questa è stata una conseguenza diretta delle politiche anti-lavoro, che gli studiosi chiamano giustamente "repressione salariale". Dati i salari consistentemente bassi in epoca neoliberista, ha senso che si guardi al cibo a basso prezzo, non solo rispetto a costi salariali, ma direttamente in termini di prezzo. Se lo facciamo, appare non casuale il fatto che un alimento il cui prezzo in Messico è diminuito drasticamente, sia il pollo - una diretta conseguenza del NAFTA, della tecnologia e dell'industria statunitense della soia.
Originariamente, il NAFTA escludeva i beni agricoli, che però successivamente erano stati inclusi su insistenza del governo messicano, che voleva "modernizzare" il suo settore agricolo, trasferendo i suoi agricoltori dall'agricoltura ai circuiti industriali urbani. La strategia ha funzionato: l'economia agricola contadina del Messico si è indebolita, come dimostrato dalle proteste di "El Campo No Aguanta Más" ["La campagna non ce la fa più"] che, nel 2003. si sono diffuse in tutto il paese. I circuiti della migrazione e le riserve di manodopera destinai all'agricoltura degli USA, sono stati il risultato. Ma almeno il pollo costava poco!

E qui arriviamo ad un punto importante per quel che riguarda i regimi alimentari a basso costo: essi non garantiscono né che le persone siano nutrite, né tantomeno che siano nutrite bene - come viene dimostrato dal persistere a livello globale di malattie legate alla dieta e alla malnutrizione. Le frontiere agricole del capitalismo continuano a premere contro i contadini del mondo, i quali forniscono il 75% del cibo in vaste aree del sud globale. Ma mentre il presente è triste, con le frontiere agricole che premono sull'Amazzonia e che spostano contadini per tutto il mondo, nel XXI secolo è apparso un nuovo problema che minerà fatalmente il regime alimentare capitalista già vecchi di cinque secoli: il cambiamento climatico.
L'immagine della frontiera si presta a far pensare solo alla terra. Ma negli ultimi due secoli abbiamo assistito ad un genere di movimento delle frontiere assai diverso: il cerchio degli spazi comuni atmosferici visto come discarica per le emissioni di gas serra. Nel XXI secolo, l'agricoltura e la silvicoltura (che include la ripulitura dei terreni per la coltivazione commerciale) contribuisce con qualcosa che sta fra un quarto ed un terzo delle emissioni di gas serra.
Questo è inevitabile, perché consumano molta energia, e lo fanno sempre di più. Si tratta di un grosso problema, poiché non abbiamo più spazi comuni atmosferici da includere, e nessun modo ovvio per poter escludere dalla contabilità i costi del cambiamento climatico. Tutto ciò, in nessun altro posto è più chiaro che nella vacillante fattoria globale, la cui crescita della produttività ha subito un rallentamento, proprio come accadde per gli agricoltori inglesi a metà del XVIII secolo. La promessa dell'agro-biotecnologia di una nuova rivoluzione agricola è stata finora inesistente - non riuscendo a generare un nuovo boom produttivo, creando super-semi e super-batteri in grado di sopportare il glisofato ed altri veleni, e sostenendo il modello alimentare a basso costo che sta spingendo il cambiamento in corso nel sistema climatico globale.
Il cambiamento climatico rappresenta assai più che la chiusura di una frontiera - è qualcosa di simile ad un'implosione del modello di natura a basso costo, che non porta alla fine di una natura gratis o poco costosa, bensì ad un drammatico rovesciamento. Come viene dimostrato da una documentazione in crescita, il cambiamento climatico sopprime la produttività agricola. "Clima" va riferito a fenomeni estremamente diversi, inclusa la siccità, le precipitazioni estreme, ondate di calore e shock di gelo. La soia, la paradigmatica coltura neoliberista, ha già sperimentato quello che gli agronomi chiamano soppressione del raccolto in quanto risultato del cambiamento climatico. Quello che continua ad essere argomento di dibattito, viene collocato da molte analisi in un territorio che va dal 3% di riduzione della crescita a partire dagli anni '80 - un valore di 5 miliardi di dollari l'anno, dal 1981 al 2002.
Peggio ancora, il cambiamento climatico promette dei declini assoluti. Ogni incremento di un 1°C della temperatura rispetto alla media annuale della temperatura globale si accompagna ad un rischio ancora più grande di drammatiche conseguenze sull'agricoltura globale. Nel prossimo secolo, i raccolti agricoli diminuiranno fra il 5% ed il 50% (o più), a seconda del periodo di tempo, della coltura, della locazione e del grado secondo cui il carbonio continuerà ad essere pompato nell'aria agli attuali prodigiosi tassi odierni. A partire dal 2050, l'agricoltura globale assorbirà i due terzi di tutti i costi del cambiamento climatico. Ciò significa che tanto il clima quanto il modello agricolo del capitalismo si trovano nel mezzo di un improvviso ed irreversibile momento di cambiamento.
Non ci sono molte ragioni per poter immaginare che il cambiamento climatico non spezzi il moderno sistema alimentare. Peggio ancora, la produzione industriale di cibo è un terreno fertile per le pandemie, ed un'analisi ragionata suggerisce che quel genere di allevamenti di animali concentrati, che ci portano carne a basso costo, ci porteranno anche virus che potrebbero decimare la popolazione. Ancora una volta, in tutto questo non c'è niente di nuovo. Proprio come il primo precoce cambiamento climatico, e la peste, portarono alla fine del feudalesimo e all'inizio del capitalismo, così ci ritroveremo in un futuro in cui il cambiamento climatico e la vulnerabilità rispetto a grandi shock sistemici rappresenteranno una fine drammatica per l'ecologia del capitalismo. «Verrà presentato il conto alla nostra specie».
Abbiamo studiato abbastanza la storia, da poter vedere che ciò che seguirà al capitalismo potrebbe anche non essere migliore. In tutto il mondo, dal suolo del liberalismo è emerso il fascismo. Tuttavia, proprio come sono dovuti i pagamenti delle bollette del capitalismo, le comunità resistono e sviluppano risposte complesse e sistemiche a quelle che sono le frontiere del capitalismo. Intorno a ciascuna delle sette cose a buon mercato che rendono possibile il capitalismo - natura, lavoro, cura, cibo, energia, denaro e vita - esistono dei movimenti che stanno sviluppando delle alternative. Sia che si tratti di un movimento operaio che si risveglia a livello globale, o del Movimento for Black Lives, o delle richieste di cibo, di manutenzione, e di locale sovranità economica, oppure di femminismo contadino e popolare come quello sviluppato da La Via Campesina, un movimento in America Latina che riunisce le preoccupazioni a proposito di cibo, cura, natura e lavoro; tutti movimenti che si stanno battendo e stanno sviluppando alternative intersezionali.
John Jordan, attivista e co-fondatore del movimento inglese "Reclaim the Streets", sostiene che la resistenza e le alternative sono «i due fili gemelli del DNA del cambiamento sociale». Questo cambiamento avrà bisogno di risorse e di spazio per potersi sviluppare. Se siamo costituiti dall'ecologia del capitalismo, allora possiamo rimediare solo se mettiamo in pratica nuovi modi di produrre e prenderci cura tutti insieme l'uno dell'altro - un processo di ricostituzione, di ripensamento e di rivitalizzazione delle nostre relazioni più basilari.

- Ray Patel e Jason W.Moore  - Adattato da "A History of the World in Seven Cheap Things" pubblicato da Verso il 22/5/2018 -

fonte: The Guardian

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