domenica 6 maggio 2018

Dopo il dopo

amoroso

Critica della filosofia postmoderna e dei suoi effetti sul pensiero critico e sulla prassi rivoluzionaria
- di Miguel Amorós -

L'arretramento teorico, causato dalla scomparsa del vecchio movimento operaio, ha permesso l'egemonia di una sorprendente filosofia, la prima a non fondarsi sull'amore per la verità, oggetto primordiale del sapere. Il pensiero debole (o filosofia della postmodernità) relativizza un tale concetto, e lo fa derivare da un miscuglio di convenzioni, di pratiche e di costumi che sono instabili nel tempo, qualcosa di "costruito", e, di conseguenza, di artificiale, senza alcun fondamento. E su questa scia, relativizza ogni idea razionale di realtà, di natura, di etica, di linguaggio, di cultura, di memoria, ecc. Inoltre, alcune autorità del piccolo mondo postmoderno non hanno mancato di qualificare come "fasciste" alcune di queste idee. Alla fine, recuperando Nietzsche, non c'è più alcuna verità, ci sono solo interpretazioni. Infatti, una simile demolizione sistematica di un pensiero che nasce con l'Illuminismo e che rivendica la costituzione della libertà, e che darà alla luce, con la comparsa della moderna lotta di classe, alla critica sociale - e per coloro, principalmente professori e studenti, che piuttosto che bagnarsi nell'acqua limpida dell'autenticità, preferiscono sguazzare nel fango dell'impostura insieme alle ideologie rivoluzionarie - ha tutta l'apparenza di una demistificazione radicale portata avanti da dei veri pensatori incendiari, la cui finalità non sarebbe nient'altro che il caos liberatore dell'individualità esacerbata, la proliferazione di identità e l'abrogazione di ogni norma di condotta comune. All'indomani di una tale orgia di decostruzione, non resterebbe più in piedi nessun valore, né alcun concetto universale: essere, ragione, giustizia, uguaglianza, solidarietà, comunità, umanità, rivoluzione, emancipazione... verrebbero tutte definite come "essenzialiste", vale a dire come abomini "pro-natura". Tuttavia, l'estremismo negatore dei post-filosofi manifesta, su un piano spirituale, delle coincidenze sospette con l'attuale capitalismo. Un radicalismo di una tale intensità contrasta non solo con la vita e con le scelte politiche dei suoi autori, assai accademica la prima, e assai convenzionali le altre, ma sposa perfettamente la fase attuale della globalizzazione capitalistica, caratterizzata dalla colonizzazione tecnologica, dal presente perpetuo, dall'anomia e dallo spettacolo. Si tratta di un'integrazione per cui tutto viene facilitato. Nessuno li disturberà per quanto riguarda le loro cattedre universitarie. Grazie alla priorità che è stata concessa dal dominio alla conoscenza strumentale, e di conseguenza, grazie alla scarsa importanza che la mentalità dominante concede alla "umanità", sono nate senza alcun ostacolo delle bolle filosofiche pseudo-trasgressive ed ogni sorta di giocoleria speculativa del tutto estranea rispetto a quella che è la realtà circostante, creando così una vorticosa contraffazione del pensiero critico moderno, che ama essere accompagnata da un forte rumore mediatico. Le lodi postmoderne della trasgressione normativa corrispondo in un certo qual modo alla scomparsa della socievolezza negli agglomerati urbani. In linea con la nuova debolezza per quel che riguarda la debolezza in materia filosofica, niente è originale, tutto è costruito, e perciò ha le sue basi sulla sabbia. L'economia politica, le classi, la storia, il tessuto sociale, le opinioni... tutto. Quindi, se non esiste una relazione sociale che valga, se non c'è nessuna vera liberazione collettiva, né dialettica, nessun criterio definitivo da prendere in considerazione a tal riguardo, allora quale potrebbe mai essere il significato di norme, di mezzi e di fini? Si parte dal niente per non arrivare da nessuna parte.
Il nichilismo, è in armonia con i mercati, per i quali quel che non ha valore economico ha poca importanza. Né dovrebbe sorprendere che l'elogio della disumanizzazione ed il tipico caos dei de-costruttori va di pari passo con l'apologia della tecnica. Il pensiero debole, fra le altre cose, celebra l'ibridazione dell'uomo con la macchina. La natura meccanica, libera dalle costrizioni, non sarebbe forse superiore ad una natura umana, schiava delle leggi naturali?
Il nichilismo inerente alla logica meccanica, riflette e risponde all'abolizione della storia, alla soppressione dell'autenticità, alla liquidazione delle classi e alla consacrazione dell'individualità narcisistica; si tratta quindi di un prodotto della cultura del capitalismo tardivo - se possiamo ancora chiamarla cultura - e la sua funzione non sarebbe altro che quella di adattarsi ideologicamente al mondo della merce così come esso è diventato. In relazione all'esistente, la filosofia postmoderna è una filosofia di legittimazione. Ciò che è nato come una reazione alla rivolta del maggio '68 «nei bassifondi dello spirito del tempo» (Debord) è stato accolto nelle università americane, come se si trattasse di un paradigma della profondità critica. e a partire da questo la "French Theory" si è irradiata in tutti i laboratori pensanti della società capitalista, scendendo nei ghetti dei giovani sotto forma di una moda intellettuale trasgressiva. Dato il loro carattere ambivalente e malleabile, i sillogismi liquidi della postmodernità hanno riempito la cassetta degli attrezzi degli ideologhi del vuoto di ogni genere, dai cittadinisti più camaleontici agli anarchici più a la page. C'è anche un nuovo tipo di anarchismo, nato dal fallimento dei valori borghesi storici, incentrato sull'affermazione soggettivista, sull'attivismo senza oggetto né progetto e sulla mancanza di memoria, che ha sostituito nella maggior parte degli spazi quello vecchio, figlio della ragione, nato dalla lotta di classe, fondante un'etica universale ed il cui lavoro rivoluzionario era saldamente ancorato alla storia. Nella French Theory, o piuttosto nel "morbus gallicus", di cui il post-anarchismo è il figlio bastardo, i riferimenti non contano; rivelano la nostalgia per il passato, qualcosa che è molto riprovevole agli occhi di un decostruzionista. La questione sociale si dissolve in una moltitudine di questioni identitarie: le questioni di genere, di sesso, di età, di religione, di razza, di cultura, di nazione, di specie, di salute, di alimentazione, ecc. sono al centro del dibattito e danno luogo ad un singolare politicamente corretto che si traduce in un'ortografia torturata ed in un discorso pieno di storture e di confusione grammaticale. Una collezione di identità fluttuanti sostituisce il soggetto storico, il popolo, il collettivo sociale o la classe. La sua affermazione assolutista ignora la critica dello sfruttamento e dell'alienazione e, di conseguenza, un gioco "intersezionale di minoranze oppresse sostituisce la resistenza collettiva al potere stabilito. La liberazione arriverà da una trasgressione ludica di regole che ostacolano queste identità e che opprimono queste minoranze, e non da una "alternativa" globale o da un progetto rivoluzionario di cambiamento sociale, indubbiamente considerato come totalitario, dal momento che una volta "costituito", esso genererà delle nuove regole, più potere e quindi più oppressione. Il comunismo libertario, da questo punto di vista, non sarebbe altro che l'incarnazione di una dittatura. L'analisi critica e l'anticapitalismo stesso, grazie all'annullamento di ogni riferimento storico, lascia il posto alla messa in discussione della normatività, della contorsione del linguaggio e dell'ossessione per la differenza, del multiculturalismo e della singolarità. Non si può discutere della coerenza, dal momento che la categoria della contraddizione è stata relegata nell'oblio, così come quella dell'alienazione, del superamento e della totalità.
Costruire o decostruire, ecco il problema. Senza alcun dubbio, il proletariato non ha "realizzato" la filosofia, come sostengono Marx, Korsch o l'Internazionale Situazionista, vale a dire che non ha realizzato le sue aspirazioni di libertà, ed oggi noi ne paghiamo le conseguenze. È vero che, nello sviluppo della lotta di classe, si è manifestato un pensiero critico che poneva la classe operaia al centro della realtà storica, e che questo pensiero è stato denominato come marxista, anarchico, o semplicemente socialista. In realtà, si trattava di catturare la realtà nella maniera più fedele possibile, in quanto totalità che si sviluppa nella storia, al fine di elaborare delle strategie per poter vincere sul nemico di classe. La vittoria finale deve essere inscritta nella storia stessa. Nondimeno, gli attacchi proletari contro la società di classe, hanno fallito. E mentre il capitalismo superava le sue crisi, le contraddizioni divoravano i postulati di quel pensiero, e diventano necessarie delle nuove formulazioni.
I contributi sono stati molteplici e non è per niente necessario enumerarli. Quel che li caratterizzerebbe tutti, sarebbe la chiarezza aggiunta nella prospettiva della lotta liberatrice, ma immersa in un contesto di regressione, che poi si allontana progressivamente dalla pratica. Tuttavia, la sua lettura ha rafforzato la convinzione che una società libera sarebbe possibile, che la lotta è stata utile a qualcosa e che non bisognerebbe mai arrendersi, che la solidarietà mentre si resiste ci rende migliori e che la formazione ci rende lucidi... La lotta delle minoranze, lungi dallo smantellare la critica sociale, contribuisce ad arricchirla. Lungi dall'essere secondario, le questioni di identità sono diventate sempre più importanti man mano che il capitalismo penetrava nella vita quotidiana e distruggeva le strutture tradizionali. Denunciavano degli aspetti dello sfruttamento che fino a quel momento non erano stati presi in considerazione. Dapprima, l'universalità e l'identità convergevano; non si concepiva nessuna soluzione alla segregazione razziale, alla discriminazione sessuale, al patriarcato, ecc., separatamente, ma solo in vista di una trasformazione rivoluzionaria globale. Nessuno poteva immaginare come desiderabile un razzismo nero, una società di amazzoni, un capitalismo gay o uno stato di eccezione vegetariano. La rivoluzione sociale era l'unico ambito in cui tutte le questioni potevano veramente essere sollevate e risolte. Al di fuori, rimaneva solo la specializzazione elitaria, il settarismo dell'«ambito», il narcisismo attivista e lo stereotipo militante.
Si trattava dalla strada che era stata aperta dai postmoderni. Il pensiero debole sfrutta anche il filone della crisi ideologica, recuperando gli autori e le idee, ma con degli effetti e delle conclusioni opposte. Una volta che il soggetto rivoluzionario era stato neutralizzato nella pratica, bisognava sopprimerlo nella teoria, in modo che le lotte rimanessero isolate, marginali ed incomprensibili, avviluppate in una verbosità cretinizzante ed autoreferenziale, adatta solamente agli iniziati. È stato questo il compito della French Theory. Una escalation cominciata nella confusione sofisticata e criptica che ha consacrato, come se si trattasse di maghi privilegiati, la casta intellettuale, e come popolo eletto, i discepoli, principalmente universitari. Il "male francese" è stata la prima filosofia irrazionalista legata al modo di vita dei funzionari, relativamente ben retribuiti e a giusto titolo; la sua revisione della critica sociale del potere e la contestazione dell'idea rivoluzionaria hanno reso dei meravigliosi servizi alla causa del dominio. Il concetto di potere visto come un etere onnipresente che si estende a tutto, condanna ogni pratica collettiva al perseguimento di un ideale, in quanto viene vista come il rinnovamento o la ricostruzione del potere stesso, una sorta di serpente che si morde la coda. Il potere apparentemente non si incarna nello Stato, nel Capitale o nei Mercati  come avveniva quando il proletariato era la classe potenzialmente rivoluzionaria. Il potere ora siamo tutti; è il tutto.
La rivoluzione verrebbe quindi ridefinita come una menzogna del potere al fine di ricostruirsi, nei casi estremi, a partire da dei nuovi valori e da nuove norme altrettanto arbitrarie di quelli che essa stessa rifiuterebbe. Il discredito della rivoluzione sociale, per il potere reale è più utile in tempo di crisi, in quanto un'organizzazione sovversiva organizzata che tenti di formarsi (un soggetto sociale che tenta di costituirsi) verrebbe immediatamente denunciata come potere di esclusione.
In breve, una brutta "storia della modernità" - secondo la terminologia di Lyotard - come quella della lotta di classe. Il rifiuto del concetto di classe rivela così, involontariamente, un odio di classe, eredità del precedente dominio attivo nell'immaginario post-razionale. In poche parole, si abbandona ogni velleità comunista rivoluzionaria per trasmigrare verso i generi, il poli-amore, la trasversalità e il regime vegano. I problemi individuali vengono risolti in questo modo, perciò viene sgomberata la strada che porta ad una opposizione collaborativa e partecipativa, pronti ad entrare nel gioco, ed ovviamente a votare, ad occupare degli spazi di potere ed a gestire al suo interno l'ordine attuale attraverso un discorso radicalmente identitario, dunque politicamente assai corretto, e di riflesso, un discorso ipercittadinista che fa infuriare non solo la nuova sinistra, ma anche la sinistra integrata di sempre. La situazione critica, vittima del male francese, è quindi angosciosa, così angosciosa come la vita nel mondo occidentale ed urbano devastato dal capitalismo. È la fine della ragione, la chiusura spirituale di un mondo obsoleto in cui la resistenza al potere era possibile, l'evaporazione della coscienza di classe storica, l'apoteosi della relatività, il trionfo assoluto del bluff, il regno compiuto dello spettacolo... Potremmo chiamare questo fenomeno come vogliamo, ma è soprattutto l'effetto intellettuale della disfatta storica del proletariato nel corso degli anni '60 e '80, e, di conseguenza, della scomparsa di due o tre generazioni intere di combattenti sociali e dell'incapacità di quest'ultimi a trasmettere le loro esperienze e le loro conoscenze alle nuove generazioni, consegnandole così alla psicosi postmoderna ed al suo gergo incomprensibile.
C'è una netta linea di rottura generazionale che coincide più o meno con la comparsa dell'«ambito», o ghetto, della gioventù alla fine degli anni '80, ed una relazione dello stesso ambito con il processo di gentrificazione dei centri urbani; alla fine, si può stabilire con evidenza un rapporto fra l'estendersi della malattia postmoderna e lo sviluppo delle nuove classi medie. Il collasso del movimento sociale rivoluzionario e la catastrofe teorica, sono due aspetti del medesimo disastro, e quindi del doppio trionfo, pratico ed ideologico, del dominio capitalista, patriarcale e statale. Malgrado tutto, la sconfitta non è mai definitiva, in quanto gli antagonismi proliferano molto più delle identità, e la volontà di liberarsi insieme è più forte del desiderio narcisistico di distinguersi.
Dieci minuti di celebrità virtuale patetica sono una goccia d'acqua nell'oceano agitato della "conflittualità" permanente. La lotta di classe riappare nella critica del mondo della tecnologia e nella difesa del territorio, nei progetti comunitari di uscita dal capitalismo e nelle lotte delle classi contadine contro l'agricoltura industriale e la mercificazione della vita. Probabilmente, nei paesi turbo-capitalisti, questi conflitti non riusciranno a sfuggire agli approcci "intersezionali", al trattamento "di genere" e ad altri riduzionismi identitari, perfettamente compatibili con una casistica riformista derivante dalla "economia sociale", ma dovunque si cristallizzerà un vero e proprio fronte di lotta, simili inezie finiranno per girare in tondo e verranno consumate dal fuoco dell'universalità.

(Miguel Amorós, 2017) - Pubblicato su Le Moine Bleu il 2 febbraio 2018 -

Nessun commento: