Quella che è stata definita la «piccola era glaciale», tra il 1570 e il 1700, vide le temperature abbassarsi con variazioni da tre a cinque gradi, dando avvio a una vera e propria «rivolta della natura» che sortì effetti devastanti sui raccolti. Philipp Blom dimostra la sorprendente correlazione tra questa circostanza e la nascita dell’Illuminismo, analizzando le ricadute culturali dello sconvolgimento climatico in Europa.
Con un registro narrativo e appassionante, Blom costruisce un affresco in cui combina storia delle idee, della cultura materiale, delle scienze della natura, intorno a una suggestione di grande attualità: l’impatto che il cambiamento del clima produce sulla vita delle società. Così, l’avvento della piccola era glaciale diventa il punto di partenza per interrogare e mettere in relazione avvenimenti e discipline che concorrono alla formazione del mondo e del pensiero moderno. Attingendo ai racconti di testimoni diretti – tra cui Montaigne e Shakespeare – Blom riesce a proiettare il lettore nella realtà dei secoli xvi-xvii. La descrizione della vita delle comunità nel nuovo scenario ridisegnato dalla natura prende vita grazie alle affascinanti connessioni tra innovazioni nel campo della scienza, dell’economia, della tecnica e fenomeni artistici. Il capovolgimento della prospettiva operato da Blom riguarda infatti anche l’aspetto iconico: se abbiamo sempre guardato ai paesaggi invernali di Avercamp, Bruegel e altri come a rappresentazioni di un mondo in armonia con il susseguirsi delle stagioni, qui diventano ulteriori prove della catastrofe climatica L’affresco di ghiaccio del lungo inverno europeo si rivela il pretesto per rileggere la storia da una prospettiva inedita.
(dal risvolto di copertina di: Philipp Blom, Il primo inverno. La piccola era glaciale e l'inizio della modernità europea (1570-1700). Marsilio)
Il gelo aguzzò l'ingegno e modernizzò l'Europa
- di Eleonora Belligni -
Di fronte alle grandi questioni relative al passato, gli storici d'oggi, ben più dei loro predecessori, rinunciano ad adottare prospettive ampie nel tempo e nello spazio. Ma questo è un coraggio che non manca al libro del filosofo e giornalista Philipp Blom, pubblicato in tedesco nel 2017 e tradotto ora per Marsilio da Francesco Peri con il titolo "Il Primo Inverno": un saggio divulgativo e non specialistico, che ha però il respiro delle grandi opere storiche del Novecento. L'oggetto del suo narrare è spiegato nel sottotitolo, che in italiano è una sintesi della lunga versione originale: La piccola era glaciale e l'inizio della modernità europea.
La piccola era glaciale di cui si parla è un fenomeno di irrigidimento del clima che l'autore colloca tra il 1570 ed il XVIII secolo e che interessò non solo l'Europa, ma il mondo intero. Il cambiamento climatico fece seguito a un lungo, caldo Medioevo, in cui la mitezza delle stagioni aveva sì favorito il propagarsi della tremenda peste nera del 1348, ma anche la successiva ripresa demografica, lenta eppur costante.
Fino al termine del Cinquecento, il tempo atmosferico si era mostrato benevolo con il genere umano, e soprattutto con gli europei. L'agricoltura aveva prosperato nonostante l'arretratezza degli strumenti e dei sistemi produttivi, arricchendo, se non i contadini, almeno l'aristocrazia e i grandi proprietari terrieri; le condizioni metereologiche avevano favorito i commerci, i viaggi, le scoperte. E tuttavia, per cause definite ancora incerte dall'autore, questa congiuntura climatica favorevole si rovesciò improvvisamente in un crollo delle temperature medie di circa due gradi, con «inverni glaciali, estati piovose e primavere funestate dalla grandine».
Le correnti marine e oceaniche si raffreddarono, causando migrazioni ittiche, tempeste e maremoti; contemporaneamente, l'attività sismica si risvegliò in molte parti delle terre emerse, sollevando cortine di cenere a coprire il già pallido sole. Medie stagionali più basse e umidità diffusa danneggiarono la produzione dei cereali maggiori, come il grano, e quella del vino, cardini dell'alimentazione europea. Di conseguenza, le carestie si avvicendarono ad un ritmo insolitamente serrato, perché l'agricoltura di sussistenza non permetteva di fare scorta di sementi. DI semi e cibo facevano incetta gli organi religiosi o i mercanti cittadini; alla ricerca di queste riserve, folle contadine affamate sciamavano verso le città, dando luogo a disordini e rivolte.
In questo drammatico scenario, immortalato dalle allegorie pittoriche di Avercamp e Bruegel, nella morsa di ghiaccio e neve l'Europa non cessò di trasformarsi, assecondando i mutamenti che avevano accompagnato il Rinascimento, la Riforma protestante e la scoperta del Nuovo Mondo. Il problema di Blom è quello di capire in che modo i cambiamenti climatici del "primo inverno", destabilizzando l'assetto economico del continente, investirono la società e la politica, l'arte e la cultura, la religione e la scienza.
Esiste un nesso di causa-effetto tra freddo, fame e carestia e la nascita della mentalità moderna? Per rispondere, l'autore dipinge un affresco che si direbbe arioso e a tinte calde, se non si collocasse sotto una cappa di cenere vulcanica, tra pianure innevate e alberi stecchiti, sulle rive di fiumi e laghi ghiacciati così in profondità da poter reggere interi mercati. È un quadro che utilizza la lente del tempo atmosferico, delle escursioni termiche e delle anomalie climatiche per raccontare un continente travagliato da guerre di religione e fanatismi, da superstizioni e cacce alle streghe e che nondimeno, nel giro di due secoli eccezionalmente freddi. giunse a colmare la distanza dal nostro presente sotto innumerevoli aspetti.
Battuta dalle precipitazioni, attanagliata da una natura più che matrigna, l'Europa assistette al crollo della feudalità e dell'Antico Regime, diede i natali a due rivoluzioni politiche (inglese e francese) e alla rivoluzione scientifica; «adottò» il sistema solare copernicano; teorizzò il relativismo culturale con Montaigne e Bayle, il razionalismo con Descartes, lo Stato-Leviatano con Hobbes, la libertà e i diritti con Spinoza e Locke e la sfera pubblica con Mandeville; passò dai fanti mercenari alle unità di moschetteria; sperimentò mercantilismo e liberismo; creò le società per azioni, il capitalismo e finanche gli anticapitalisti. Quanto ci entri, in tutto questo, il grande freddo, l'autore lo spiega solo in parte, e non sempre in modo convincente: la temperatura di cui parla è, per buona parte, quella emanata dai dibattiti filosofici, dall'intelligenza innovatrice, dall'energia della polemica, dalla battaglia delle idee.
Ne risulta un'opera vivida, brulicante di vicende biografiche e avventure culturali, non sempre stimolate da fame e gelo. Alcuni storici del clima non l'hanno apprezzata, accusando l'autore di colpevoli inesattezze, di cronologie fantasiose e di poca dimestichezza con i fenomeni atmosferici e con le fonti storiche. Gli errori, però, non inficiano l'interesse di un lavoro in cui il clima è spesso un semplice pretesto, un espediente narrativo per ben raccontare le trasformazioni culturali della prima età moderna. Il ghiaccio è a parte.
- Eleonora Belligni - Pubblicato su La Lettura del 22/4/2018 -
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