giovedì 9 novembre 2017

Tutti gli accusati sono belli!

handke

C'è stato un tempo in cui sono tornato a leggere tutti i diari di Kafka, le sue lettere, ed anche quello che avevano scritto i suoi amici su di lui, solo perché volevo verificare se per caso non avesse lasciato dei semi. Ma le descrizioni dei suoi amici ed i gesti che emergevano dalla scrittura delle sue lettere mostravano il volto di una persona trasparente, del tutto sincera nei confronti delle persone cui si rivolgeva.
«Kafka era bello», scriveva Max Brod, «una figura alta, un volto bruno». Allo stesso modo, ho sempre immaginato che da adolescente Kafka avesse avuto l'acne, dolorosi edemi che suppurano sul viso e sul collo, per cui non poteva radersi bene. Foruncoli, paura del contatto. Una volta arrivò a tornare a casa dall'estero perché aveva un foruncolo: questo è un fatto. L'estero e il foruncolo. Cerchiamo di non esaltare i fatti! Poiché nella realta per niente esaltante, Kafka era bello.
Una volta volevo scrivere una storia in cui qualcuno, per il fatto di avere l'acne, cominciava ad osservare tutto con altri occhi. Questo racconto si sarebbe dovuto chiamare ACNÉ. Questo è successo molto tempo fa, quando il mio mondo era il mondo di Kafka ed il mio eroe, il dottor Franz Kafka. «Tutti gli accusati sono belli».
Come mi sentissi riflesso nella vergogna di Kafka; no, non riflesso, piuttosto scoperto per la prima volta... e poi da allora sempre riflesso. E quanto vile, quanto paurosa mi appare oggi quella vergogna: in maniera arrogante.
Forse per questo spesso rovistavo fra i documenti come se fossi un detective privato, per vedere se in realtà Kafka fosse andato a letto con delle donne. L'eccitazione che si trova nelle sue storie è un po' l'eccitazione del sogno, animalesca da una parte, fra pozze di birra sotto il tavolo di una taverna, ma dall'altro lato imbavagliata per la paura di sporcare il lenzuolo pulito che poi la madre vedrà... Era anche un po' il mondo di un adoloscente, quello che descrive Kafka, per quel che attiene alla sessualità, un mondo adoloscente.
E la sua allegria non è mai un'allegria in sé, ma sempre il risultato fisico di un lungo dolore: come se la forza mortale della gravità diventasse così forte da tramutarsi un'assenza di peso celestiale. Questa allegria (altri dicono: lo "humor" di Kafka), unicamente come risultato del dolore mi è diventata estranea, perfino ripugnante: e senza dubbio, quando penso all'ultima frase de "Il Processo" -  «e fu come se la vergogna dovesse sopravvivergli» - mi sembra come se non fosse solo una frase, ma un'AZIONE, più potente di qualsiasi azione abbia mai udito finora.
Quando penso a Kafka e me lo vedo davanti, mi rimane la sensazione che mi basterebbe guardarlo con sufficiente pazienza, abbassando la testa nel frattempo, per non ferirlo troppo; e lui smetterebbe di essere, poco a poco, la mera immagine di una vittima, per essere qualcosa di completamente diverso, e lo racconterebbe, ma con la stessa meticolosità di prima.

- Peter Handke - Su Franz Kafka, 1974 -

Nessun commento: