martedì 21 novembre 2017

Critica

jappe

Forma-Soggetto, Dissociazione, Lumi e Feticismo
- Estratti da "Elementi per una storia della critica del valore", di Anselm Jappe -

«Secondo la critica della dissociazione-valore, la società del valore e del lavoro si base, storicamente e logicamente, su una logica di esclusione: in quanto "soggetto" a pieno titolo conta soltanto colui che ha completamente interiorizzato la mentalità del lavoro e dei suoi corollari (auto-disciplina, razionalità, durezza verso sé stesso e verso gli altri, spirito di concorrenza, ecc.), estromettendo tutto il resto (e questo tutto il resto, è la "dissociazione"»). Quindi, l'esclusione delle donne, dei non-bianchi e degli altri soggetti "minori" - vista nel quadro di una logica del valore vuota di contenuti propri e che, conformemente al suo principio, dovrebbe inglobare il mondo intero, e un giorno potrà farlo - non è un'incongruenza. Al contrario, questa esclusione è stata costitutiva fin dall'inizio, anche se le sue forme empiriche sono notevolmente cambiate, dall'epoca dell'Illuminismo in poi.
Infatti, la critica del valore radicalizza la "Dialettica dell'Illuminismo", in quanto non vede altro che il periodo storico nel quale le categorie capitaliste si sono definitivamente radicate nelle teste. Mentre tutta la sinistra - e spesso lo stesso Marx - ha voluto realizzare  - "compiere" - i contenuti dell'Illuminismo che la borghesia avrebbe "tradito", la critica del valore-scissione vede la nascita del soggetto moderno, che esiste soltanto per e per mezzo della concorrenza capitalista, proprio in questi contenuti stessi. I filosofi dei Lumi - ed Emmanuel Kant più di ogni altro - avrebbero formulato - presentandole come condizioni di libertà - i presupposti del sessismo, del razzismo e dell'antisemitismo tipici della modernità. La "ragione" che l'Illuminismo ha voluto far trionfare, e a cui la sinistra si è sempre richiamata, per Kurz non è che una "ragione grondante sangue", un'ideologia della sottomissione della vita nel suo insieme agli imperativi della valorizzazione che ha portato alla devastazione del mondo. L'irrazionalismo - ad esempio, il romanticismo, il vitalismo, l'esistenzialismo - rappresentano solo l'altra faccia di questa ragione capitalista, e niente affatto un'alternativa; ed ha ugualmente contribuito alle catastrofi che hanno costellato tutta la storia del capitalismo.
Con queste analisi, la critica del valore-scissione sostiene di aver superato il suo iniziale approccio "oggettivista". Le ideologia non sono un semplice "riflesso" della "realtà economica", ma il valore costituisce una struttura feticista che ha un lato "oggettivo" e un lato "soggettivo". Il fatto per cui è impossibile vivere in una società dominata dal valore, comporta necessariamente la nascita di ogni sorta di ideologia  che spieghi le sofferenze causate da una simile società, e che permetta ai soggetti del lavoro di proiettare sugli altri le qualità che essi hanno dovuto espellere da sé stessi (ad esempio, la "pigrizia", o le "emozioni"). La critica del valore - sia nella sua versione tedesca, come in quella di Postone - ha dedicato molta attenzione all'antisemitismo: non si tratterebbe di una recrudescenza premoderna, bensì un tentativo di dare un volto pseudo "concreto" a quella terribile astrazione intoccabile che è il valore.
Si vede del resto che la concezione della società capitalista, in quanto essenzialmente "feticista", è assai lontana dal "materialismo storico" con la sua distinzione fra "base" e "sovrastruttura": le pratiche sociali feticiste ed inconsce danno origine tanto al soggetto quanto all'oggetto. Le accuse di "economicismo", se spesso possono essere giustificate per quel che riguarda il marxismo tradizionale, non si applicano alla critica del valore. Ed anche il valore stesso non è una struttura "totale": esso è "totalitario", nel senso che aspira a trasformare tutto in merce. Ma non potrà mai essere in grado di farlo, perché una tale società sarebbe completamente invivibile (non ci sarebbe più, ad esempio, amicizia, amore, educazione dei bambini, ecc.). La necessità che il valore ha di espandersi, lo porta a distruggere tutto il mondo concreto, e a tutti i livelli: economico, ecologico, sociale, culturale. La critica del valore non prevede perciò solamente una crisi economica di dimensioni senza precedenti, ma anche la fine di tutta la "civiltà" (se la vogliamo chiamare così).

[...]

la critica del valore fa anch'essa stessa parte del processo storico. La sua comparsa, alla fine degli anni 1980, non è stata dovuta al fatto che sarebbero arrivati dei teorici che avevano "compreso" tutto ciò che i marxisti tradizionali non avevano capito. Piuttosto riflette la fine dell'espansione del capitalismo, e quindi la fine della possibilità di redistribuirne i frutti (spesso avvelenati, d'altronde) senza mettere in discussione la natura del sistema stesso. La critica marxiana radicale del valore e del lavoro astratto, che per più di un secolo era rimasta nel medesimo stato della bella addormentata, apparentemente poco "utile" per quanto riguarda le lotte reali, ora rivela di costituire ancora la miglior spiegazione del declino della società di mercato. La critica del valore non è stata quindi un semplice "progresso nella teoria" che avrebbe potuto anche aver luogo in un altro momento storico. Essa piuttosto rappresenta la prima presa di coscienza riguardo ad una profonda rottura storica.
Le sue prime formulazioni sono state anch'esse ugualmente segnate dalla rottura. Ostile all'eclettismo e ai discorsi scritti col pennarello tipici dell'ambiente universitario, rifiutando - a differenza di quasi tutte le varianti del marxismo - di iscriversi un una tradizione già esistente e di definirsi in rapporto ad altri pensatori marxisti, la critica del valore pretendeva di riprendere la riflessione quasi daccapo, con le sole armi della critica dell'economia politica di Marx. Le sue relazioni con le altre forme di critica sociale sono state perciò generalmente contrassegnate da polemiche reciproche, e sono state spesso contornate dall'ostilità e dai tentativi di ignorarla.
Se la critica del valore non concepisce sé stessa come il semplice proseguimento di una linea teorica già disponibile, fosse anche la più eretica, si possono però quanto meno individuare alcune radici teoriche. "Storia e Coscienza di Classe" di György Lukacs e gli autori della Scuola di Francoforte, soprattutto Theodor Adorno (ed anche Alfred Sohn-Rethel, per concetti quali la "astrazione reale" ed il valore in quanto "sintesi sociale") costituiscono le influenze principali. Per quel che concerne la teoria della crisi, Kurz riconosce a Rosa Luxemburg ed a Henryk Grossmann il merito di avere quanto meno posto il problema, anche se è stato fatto in maniera ancora insufficiente. Isaac Roubine, riscoperto negli anni 1970, ha fornito delle idee importanti ai fini della comprensione del valore. Tuttavia, anche questi autori non vengono mai feticizzati nel contesto della critica del valore e tutti loro, una volta o l'altra, sono stati oggetto di critiche severe. In generale, la critica del valore non si presenta come una discussione sulle teorie di altri, ma come un'analisi del presente e del passato del capitalismo, che può eventualmente passare attraverso l'esame di altre teorie che trattano dello stesso soggetto.
Esiste tuttavia un approccio che può essere chiamato come "l'altro ramo" della critica del valore, anche se non si fregia di questo nome: è quello di Moishe Postone, professore a Chicago e autore di "Tempo, lavoro e dominio sociale". Una reinterpretazione della teoria critica di Marx. Questo grosso libro è apparso negli Stati Uniti nel 1993, nello stesso momento in cui la teoria elaborata dagli autori di Krisis aveva raggiunto una prima forma di maturità e cominciava a trovare un'eco. La teoria di Postone - che d'altronde aveva fatto i suoi studi a Francoforte, agli inizi degli anni 1970, in un ambiente ancora assai marcato dall'impronta di Adorno - meriterebbe una presentazione altrettanto dettagliata di quella di Kurz e degli autori della critica del valore di lingua tedesca. Proponendo essenzialmente una rilettura dell'opera di Marx - una lettura costantemente opposta a quella del "marxismo tradizionale" -, Postone si concentra sul concetto di "lavoro astratto", di cui esamina ugualmente i presupposti storici, come il "tempo astratto". Postone e gli autori di Krisis hanno elaborato le loro concezioni durante il medesimo periodo e spesso a partire dagli stessi presupposti, ma senza che ci fosse una reciproca conoscenza. Abbiamo tuttavia dei risultati assai simili su numerosi punti. La differenza principale consiste nell'assenza , in Postone, di un'esplicita teoria della crisi.

jappestoria

La critica del feticismo della merce in Marx
- ed i suoi sviluppi in Adorno e Lukacs -
di Anselm Jappe
( tesi di Anselm Jappe, 2000; sotto la direzione di Nicolas Tertullian )

Qual è in Marx il significato del concetto di "feticismo della merce”? L'analisi filologica di tutti i suoi scritti riguardanti la critica dell'economia politica. dimostra cha Marx non critica le false rappresentazioni della realtà capitalista, bensì la "inversione reale" causata dal valore: tutta l'attività sociale assume la forma del suo contrario, il valore. Si tratta di una vera e propria "falsità ontologica".
Secondo tale interpretazione, al centro dell'opera di Marx non si trova affatto il concetto di lotta di classe, ma la critica delle categorie pseudo-naturali che sono la base della socializzazione capitalista: la merce, il denaro, il valore, il lavoro astratto.
Questa interpretazione porta quindi ad una critica del marxismo tradizionale ed a mettere in discussione la glorificazione del lavoro.
In questa prospettiva vengono discusse le opere di autori marxisti poco noti in Francia come Krahl, Kurz, Postone, Rosdolsky, Sohn-Rethel, ma anche Roubine e il giovane Lukacs.
La dialettica non appare più come una legge di tutto quello attiene al divenire, ma come la descrizione appropriata della realtà capitalista. Questo si sviluppa necessariamente a partire dalla sua "cellula germinale": la struttura delle merce. Questo fatto dimostra l'urgenza di un'interpretazione "logica", e non solo "storica" del capitalismo.
La seconda parte della tesi esamina i contributi di Theodor Adorno e di Georges Lukacs a questa "critica del valore" ed i loro limiti, dimostrando che in loro manca una vera e propria distinzione fra natura e società. Questo implica delle incomprensioni per quanto riguarda la teoria marxiana del valore. Le loro teorie estetiche - in opposizione fra di loro - vengono esaminate a partire dai loro giudizi a proposito di Balzac e del "realismo", per arrivare a concludere  che essi non tengono sufficientemente conto delle conseguenze auto-distruttrici che derivano dalla logica della merce.
È qui che si dimostrano utili le tesi di Guy Debord sulla fine dell'arte. Per cui appare quindi necessario partire dalla teoria del feticismo, allargata a tutto il campo antropologico, per arrivare ad una nuova teoria della relazione fra la cultura e la società che sia basata sul valore.

- Anselm Jappe -

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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