domenica 5 novembre 2017

Freddamente

freddezza

La freddezza verso sé stessi e la pulsione di morte del soggetto senza frontiere
- di Robert Kurz -

La logica della dissociazione e la crisi della relazione fra i sessi
La relazione sociale di coercizione nata dai tanti crimini fondanti ha costituito sempre, simultaneamente, un corrispondente rapporto fra i sessi: Ancora una volta, in contrasto con tutte le leggende illuministe, la modernità produttrice di merci non ha migliorato l'oppressione della donna, ed ancor meno l'ha superata come pretende, ma al contrario l'ha ulteriormente aggravata in una sistematica "relazione di dissociazione"  (Roswitha Scholz), la quale si spiega a partire dalle sue origini nella moderna rivoluzione militare. Nella sua essenza, il capitalismo non è altro che la militarizzazione della riproduzione sociale; e non solo per il suo riferimento esterno alle esigenze economiche della produzione di armi da fuoco, che ha caratterizzato i suoi primordi, ma anche per la formazione quasi militare di tutto il modo di produzione, sotto la forma di "eserciti del lavoro", sotto la forma della concorrenza universale, come una guerra economica permanente di tutti contro tutti, ecc.. Tutti i momenti della riproduzione e della vita che non rientrano in queste forme vengono connotate per mezzo del "femminile", vengono dissociate, rese "ufficiose", definite come inferiori ed escluse. Il soggetto della merce è pertanto per sua essenza "maschile", ed è un soggetto di violenza latente o manifesto, anche se parzialmente include delle donne. E in questo senso la società capitalista contiene il momento della predisposizione alla violenza fin dentro i pori della vita quotidiana.
Questa essenza violenta del capitale, che in maniera evidente ha caratterizzato la storia della colonizzazione esterna ed interna, rimane presente fino ai giorni di oggi e attraversa tutte le forme del regime capitalista. Non è un caso che le democrazie occidentali contemporanee dispongono di un arsenale militare e di capacità distruttive che non hanno precedenti storici, mentre l'apparato capitalista di amministrazione interna degli esseri umano, anch'esso senza precedenti, viene poliziescamente armato fino ai denti e preparato a reagire istantaneamente con la violenza a qualsiasi "perturbazione dell'ordine interno", o anche a qualsiasi opposizione ai processi decisionali capitalisti.
La relazione di violenza che costringe le persone ad un'attività etero-determinata e sotto molti aspetti irrazionale, ma che è allo stesso tempo ormai da molto tempo le persone portano con sé e "sono" esse stesse, nella loro forma di soggetto borghese, perfino nel momento "femminile" dissociato della riproduzione, consolidate in forme economiche e giuridiche ormai tacite, ma che nella loro latenza sono anche percettibili nella vita quotidiana attraverso la violenza maschile diretta. Nei centri capitalisti è solo diventata più dissimulata e (anche nella relazione fra i sessi) si maschera per mezzo della tipica caricatura democratica della partecipazione che, in realtà, non è nient'altro che la coercizione allo scherno di sé stessi, dal momento che le decisioni reali sono sempre pre-programmate dal cieco andamento dei processi di mercato e di concorrenza. Nelle regioni al collasso, il latente carattere violento del capitalismo si mostra apertamente, dal momento che ormai non piò più essere camuffato e temporaneamente pacificato attraverso i mezzi giuridici e facendo ricorso alle politiche sociali. La violenza dell'economia e l'economia della violenza sono solamente le due facce della stessa medaglia.
Anche nelle più complesse forme postmoderne, torna ad affermarsi immediatamente il carattere maschile, patriarcale e violento dell'economia, per quanto addomesticato esso possa essere apparso agli ingenui propagandisti postmoderni della democrazia di entrambi i sessi. Sebbene le (ex) femministe del "nuovo centro" stanno festeggiando la presunta nuova uguaglianza  dei sessi vista come sinonimo dell'uguaglianza delle opportunità capitalistiche e invece quello che è già visibile è proprio il suddetto "inselvaggimento del patriarcato" nelle strutture dell'economia globale di rapina.
Nelle precarie economie secondarie a margine del mercato mondiale - che cominciano già a proliferare anche nello stesso centro, e che, nella periferia, sono strettamente interlacciate con l'economia di saccheggio - il carattere di dissociazione della relazione moderna fra i sessi torna anche a manifestarsi, laddove apparentemente le donne stanno diventando sempre più socialmente "mascoline", e gli uomini sempre più socialmente "effemminati": «Il risultato finale di questa dissociazione non superata, in via di decomposizione e di mutamento di forma, è e continua ad essere visto essenzialmente come una violazione della donna in opposizione all'uomo, anche soprattutto in un'epoca di crisi [...] Così avviene che oggi le donne sono responsabili "per il denaro e per la sopravvivenza". Il fatto per cui le donne ora assumono funzioni che tradizionalmente erano riservate agli uomini non si applica solo ai "paesi del Terzo Mondo", in particolare come conseguenza delle ondate migratorie, ma anche ai paesi industrializzati. Per esempio, in Germania, le madri single si vedono assai spesso costrette a svolgere allo stesso tempo i ruoli della madre e del padre [...] Tuttavia, per quanto sia visibile il logoramento del patriarcato produttore di merci, l'androcentrismo continua a fare stragi [...] come "fenomeno psicogenetico di base", anche nei modelli comportamentali, negli stati emotivi e nei codici modificati che vanno di pari passo con una situazione economica alterata» (Scholz 2000, pp. 132s.).
Se, per esempio, nelle regioni in crisi ed al collasso, sono le donne che assicurano quasi al 100% il funzionamento delle diverse organizzazioni di auto-assistenza (cf. Scholz, ibidem, p. 125), questo non si accompagna ad una valorizzazione "politica", ma è solo espressione della svalorizzazione e della dissoluzione della politica, situazione in cui la "femminilità" dissociata deve tirar fuori le castagne dal fuoco. Lo stesso vale per quanto riguarda l'assunzione di funzioni economiche e sociali "maschili" da parte di madri single, sia nel centro che nella periferia: anche in questo senso non esiste una valorizzazione del "femminile" dissociato, ma piuttosto una svalorizzazione della riproduzione socio-economica nel suo insieme, a favore della violenza maschile contigua. L'uomo non è più un padre di famiglia, ma tale situazione, anziché volgersi a favore delle donne, si traduce soltanto nella loro costituzione in soggetto monadico concorrenziale e del tutto sradicato che, in quanto soggetto di violenza, porta al manifestarsi del limite assoluto della costituzione sociale moderna. È quasi esclusivamente maschile l'elenco degli "eserciti" dell'economia del saccheggio; "vagabondi" senza nessun tipo di responsabilità, spesso ancora ragazzini, mezzi bambini, che, per mezzo della canna di un Kalashnikov, riproducono i codici più primordiali del patriarcato produttore di merci, come se si trattasse di un incubo assurdo. Il bambino maschio armato come ultima immagine del terrore misogino della modernità è già qualcosa di più che una minaccia annunciata.
Forse su nessun altro punto l'ideologia postmoderna delle "opportunità" è stata così crudelmente svergognata come è avvenuto con la relazione fra i sessi. Di fatto, la tanto invocata individualizzazione nell'ambito della "società del rischio" globale si presenta in maniera ben diversa rispetto alle donne e agli uomini, a meno che facciano carriera nel nuovo capitalismo finanziario e nelle sue bizzarre forme secondarie. L'essenza del soggetto economico della modernità risulta essere, alla fine, un energumeno maschio, così com'era ai primordi più remoti di questa stessa forma di soggetto. L'economicismo reale maschile postmoderno risponde alla precaria "femminilizzazione del posto di lavoro", o addirittura al puro e semplice collasso della riproduzione capitalista, in maniera anti-emancipatrice, con una crescente violenza contro le donne ed i bambini, con stupri, aggressioni ed omicidi.

La freddezza verso sé stessi
Di certo l'economicismo reale del saccheggio non dev'essere inteso come contesto motivazionale in una falsa immediatezza. Quello che costituisce lo sfondo e la forza motrice dell'economia di saccheggio (maschile) è la motivazione del denaro e della concorrenza, che oramai non può essere esercitata se non con il ricorso alla violenza. Ciò nonostante, è necessaria la "definizione del nemico" in maniera non immediatamente economica, anche se il contenuto di questa definizione può essere aleatorio, e la violenza in nessun modo si limita alla popolazione definita più o meno arbitrariamente come nemica. L'ideologia, quale che sia il suo colore, si inselvaggisce e si svilisce allo stesso modo in cui lo fa la concorrenza e la sua forma del soggetto, ma non scompare.
D'altronde, non esiste solo una relazione diretta fra il diffondersi della miseria e il potere delle bande. La miseria produce l'humus sociale della violenza, ma non si manifesta necessariamente come violenta, o quanto meno non è l'unica a farlo. Gli strati sociali veramente miserabili non sono in grado di procurarsi un'arma. Tutt'al più servono da massa sacrificale o finiscono per ridursi del tutto ad un esangue stato vegetativo. Le milizie reclutano, innanzi tutto, fra una gioventù maschile rimasta senza prospettive, proveniente dalla classe operaia industriale, che, fino a poco tempo prima, poteva ancora ostentare una certa facciata di normalità, o perfino di classe media. E reclutano anche un gran numero di rappresentanti della "gioventù dorata", di coloro che, nonostante la crisi, godono ancora di una situazione privilegiata, di ricchi e di super-ricchi, di quelli che traggono profitto dalla crisi e dalla globalizzazione.
Ebbene, la miseria fa paura anche a quelli alle cui porte non ha ancora bussato, nella misura in cui rappresenta una minaccia per il loro futuro. La miseria non produce necessariamente compassione o critica sociale di emancipazione, ma anche rabbia nei confronti dei miserabili ed un degrado dei costumi, proprio fra coloro che si trovano al comando nella società della miseria. Della "generazione perduta" non fanno parte solo i giovani disoccupati a lungo termine ed i "superflui", ma anche i giovani non (o ancora non) direttamente interessati vengono segnati dal clima di crisi sociale e di inselvaggimento in termini morali. Di conseguenza, la maggior parte delle milizie e delle bande nelle regioni in crisi ed il collasso ha costituito uno strano amalgama di disoccupati imbarbariti e di rappresentanti di una "gioventù dorata" ugualmente imbarbarita (i cui genitori, non di rado, fanno da padrini e sub-padrini).
Quando la riproduzione sociale non funziona più come un tutto, quando la quantità di povertà, miseria e disperazione supera un certo limite, ormai non ci può più essere una qualche incontaminata isola di decenza. Il flusso di paura e di odio attraversa senza alcuno sforzo tutte le barriere ad alta sicurezza, dietro cui si è trincerata l'oscenità della ricchezza di crisi. L'accoppiamento delle minoranze "di successo" e la globalizzazione, perfino nelle regioni rovinate, non costituisce alcuno spazio sociale che possa mantenersi mentalmente e psichicamente come extraterritoriale. In fin dei conti, la società è sempre indivisibile. Gli affari e la violenza, che non sono mai stati del tutto separati, cominciano a fondersi - e questa fusione del nucleo della ragione capitalista si propaga in un batter d'occhio nelle zone del mondo dove regna la presunta normalità e la legalità.
Nel contesto della crisi mondiale, la concorrenza si trasforma in concorrenza di annientamento economico e, quindi, in concorrenza per la vita in seno alla società, e degenera immediatamente della concorrenza della forza "maschilista". Se il rischio perfino della morte violenta diventa pane quotidiano, ora nella micro-area del mondo del giorno per giorno così come accadeva già nelle trincee della guerra mondiale, tutto ciò non contraddice necessariamente "l'interesse egoista" e la cupidigia del consumo delle merci. Quello che qui emerge è letteralmente l'auto-contraddizione assassina del soggetto della concorrenza, nella misura in cui la contraddizione interna della logica capitalista - acutizzata dalla crisi - si riproduce sugli stessi individui; e soprattutto sui maschi, a causa della loro socializzazione. Il vicolo cieco della forma capitalista lacera le motivazioni, i pensieri ed i sentimenti riducendoli in contraddizioni antagoniste, inconciliabili ed impossibili da vivere. La sete di successo, di consumo, ecc. sotto questa forma è contraddetta dalla totale aridità e sterilità mentale dell'imperativo economico, i cui contenuti si presentano sempre più come assurdi e, allo stesso tempo, sempre più distruttivi.
Nel clima soffocante di queste contraddizioni arroventate, la coscienza concorrenziale degenera facilmente in uno stato che va al di là del concetto del mero "rischio" o dello "interesse". L'indifferenza nei confronti di tutti gli altri si converte nell'indifferenza verso sé stessi. I primi indizi relativi a questa nuova qualità di freddezza sociale in quanto "freddezza verso sé stesso" si sono già manifestati nelle grandi crisi ricorrenti della prima metà del XX secolo, anche se quelle esperienze erano apparse come transitorie. Hannah Arendt, nel suo famoso libro, "Le origini del totalitarismo", constatava che il tempo fra le due guerre era stato caratterizzato da una "atmosfera di decomposizione generalizzata", in cui, a suo parere, era nata una cultura di "perdita di sé stessi" (Arendt 1985/1951). E già in quei giorni quelli che venivano colpiti erano principalmente uomini e, soprattutto, uomini molto giovani.
Secondo Arendt, si trattava molto più che di una mera perdita di sicurezza professionale e materiale che faceva sì che questi individui fossero disposti nel loro intimo a sacrificarsi ciecamente: «Tuttavia, anche quest'amarezza egocentrica che, inquadrata sotto il punto di vista della psicologia individuale, era diventata l'immagine del simbolo di tutta una generazione, non era qualcosa che essi avevano in comune, sebbene tutte le differenze individuali finissero per fondersi in un risentimento generalizzato; l'egocentrismo non consentiva che sorgessero interessi comuni e, perciò, si accompagna frequentemente ad un tipico indebolimento dell'istinto di sopravvivenza e preservazione. L'abnegazione, diversamente dalla gentilezza, ma come la sensazione che la propria persona non ha importanza, che egli stesso può, in qualsiasi momento, essere sostituito da un altro, era diventato un fenomeno globale di massa, in grado di portare l'individuo a rischiare la propria vita, ma senza la minima somiglianza con quello che comunemente si intende come idealismo. Questa gente [...] aveva ormai già perduto molto più che le catene della miseria  e dello sfruttamento quando era stato loro estorto l'interesse per il proprio io [...] In confronto a questa negazione del mondo, i monaci cristiani potrebbero essere considerati aggrappati al mondo, quasi traboccanti interesse per le questioni terrene. Dall'inizio del XIX secolo, molti storici ed uomini di Stato importanti hanno profetizzato l'avvento di un'epoca delle masse [...] Tutte queste profezie di fatto si sono realizzate ora, ma, come accade spesso con le profezie nella maggior parte dei casi, in un modo che alla fine non era stato previsto dai profeti. Quello che non avevano previsto o, pur prevedendolo, non avevano valutato correttamente per quel che attiene alle conseguenze reali, era questo fenomeno di una perdita radicale di sé stessi, quest'indifferenza cinica o annoiata con la quale le masse affrontavano la loro propria morte o altre catastrofi personali, e la loro sorprendente predisposizione ad aderire alle idee più astratte, quest'ossessione per organizzare la propria vita secondo concetti destituiti di qualsiasi senso, se questo permetteva loro di sfuggire al quotidiano ed al buon senso, che disprezzavano sopra ogni altra cosa [...] La mancanza di una vera capacità di discernimento andava qui di pari passo con la strana abnegazione moderna, ed entrambe le cose trovavano una corrispondenza troppo evidente nell'attrazione delle masse per un mondo fittizio [...]» (Arendt 1986/1951, pp. 510s., 539).
Così come è avvenuto per molti altri momenti della sua analisi del totalitarismo, Hannah Arendt non si accorge che qui descrive molto più che un determinato sviluppo storico del totalitarismo politico dopo la prima guerra mondiale, la "catastrofe primordiale" borghese del XX secolo. Il momento totalitario risiedeva all'interno del moderno sistema produttore di merci fin dall'inizio; ne ha costituito la sua essenza, che è un'essenza violenta: la totale sottomissione dell'uomo in carne ed ossa, nel corpo e nell'anima, con armi e bagagli, al principio astratto di valorizzazione del capitale, in sé assolutamente senza contenuto, e di cui lo Stato moderno (il principio di sovranità) è una mera espressione secondaria. Poiché gli imperativi di questa logica irrazionale hanno trasformato la società in un deserto naturale secondario della lotta per la sopravvivenza, l'auto-affermazione astratta degli individui si è costituita solo apparentemente come principio supremo degli individui (nella sua forma moderna, come soggetto strutturalmente "maschile"). Al contrario, in agguato alle spalle della non meno astratta negazione di sé stesso; per meglio dire: l'auto-affermazione e la negazione, nella loro totale separazione da qualsiasi comunità sociale, sono in fondo identiche, e questa identità si manifesta anche in termini pratici nelle grandi catastrofi sociali del capitalismo.
Elementi di questa stessa cosa si trovano già ai primordi della storia della moderna soggettività borghese e maschile, all'inizio della cosiddetta modernità, nelle bande di saccheggiatori della Guerra dei Trent'Anni e nei protagonisti delle innumerevoli guerre civili che hanno formato il sistema sociale moderno. La negazione e la perdita di sé da parte delle masse all'epoca della transizione al totalitarismo politico ha espresso, ad un alto livello di sviluppo, la medesima essenza della soggettività moderna che si è rivelata nella seconda metà del XX secolo, in questo vero e proprio economicismo reale del sistema mondiale in un processo di trasformazione in quello che è sempre stato, vale a dire, il totalitarismo economico.
Come tutte le qualità generali del totalitarismo, che Hannah Arendt ha indicato come presumibilmente limitate (secondo la sua comprensione) alla forma politica di imposizione o di travestimento del regime totalitario, si possono incontrare in forma molto più definita nel totalitarismo economico che si globalizza, la stessa cosa che vale anche, e non meno importante, per questa cultura dell'abnegazione, della perdita e del rifiuto di sé stessi, per questa perdita totale di ogni capacità di discernimento. Tale perdita totale di sé stessi da parte degli individui astratti, implicita nell'imperativo economico totale, si allarga alla fine del XX secolo, nell'ambito della nuova crisi mondiale e del limite interno assoluto della relazione di capitale, con una veemenza ed una ampiezza mai vista prima. Quello che in passato era solo uno stato temporaneo, diventa lo stato normale e permanente; anche la vita quotidiana "civile" diventa uno stato di totale perdita di sé stessi degli esseri umani.
Quali persone sarebbero state così drasticamente «spogliate dell'interesse verso sé stessi», e in più costrette a pensare che «le persone in sé non hanno importanza» e che tutti gli individui possono essere sostituiti in qualsiasi momento in maniera indifferente da delle maschere di carattere del movimento globale della valorizzazione. da quelle masse "superflue" della terza rivoluzione industriale, in quanto maschere di carattere economiche del capitale finanziario globalizzato? E tutto ciò nuovamente avviene, principalmente, a immagine stessa del maschile, anche se questo stato di distruzione, in determinate aree dell'economia, raggiunge anche le donne empiriche. Si tratta di una perdita di sé che caratterizza le bande di teppisti, saccheggiatori e stupratori, allo stesso modo in cui colpisce gli esploratori della new economy, o i lavoratori messi di fronte al monitore del investment banking.

L'economia dell'autodistruzione: La globalizzazione e la "incapacità di sfruttamento" del capitale
Hans Magnus Enzensberger ha tentato, seguendo il pensiero di Hanna Arendt, di descrivere il comune denominatore dell'abnegazione che caratterizza le guerre civili della nuova epoca di crisi, sia quelle generalizzate che quelle "molecolari": «Quel che salta ripetutamente agli occhi è, da un lato, la sua incapacità a distinguere fra distruzione ed autodistruzione. Nelle guerre civili contemporanee, è scomparsa qualsiasi specie di legittimazione [...] L'unica conclusione possibile è che l'automutilazione collettiva non costituisce un effetto collaterale che viene accettata come inevitabile, ma, piuttosto, l'obiettivo propriamente detto. I combattenti sanno assai bene che possono soltanto perdere, che non esiste vittoria possibile. Fanno quel che possono per esasperare al massimo la loro situazione. Non solo vogliono trasformare in "feccia" gli altri, ma vogliono fare lo stesso anche con sé stessi. Un funzionario della sicurezza sociale dice a proposito delle banlieue di Parigi: "Hanno distrutto tutto, le cassette della posta, le porte, le scale. Hanno vandalizzato e saccheggiato l'ospedale, dove i loro fratelli più piccoli ricevevano cure gratuite. Non riconoscono alcun tipo di regole. Riducono in macerie consultori medici e dentistici e distruggono le loro scuole. Se costruite loro un campo di calcio, tagliano le travi delle porte". Le immagini delle guerre civili, sia molecolari che macroscopiche, si assomigliano le une con le altre fin nei minimi dettagli. Una testimone oculare riferisce quel che ha visto a Mogadiscio. La persona in questione ha potuto assistere alla distruzione di un ospedale da parte di un gruppo di uomini armati. Non si trattava di un'azione militare. Nessuno minacciava quegli uomini; in città non si udivano colpi di arma da fuoco. L'ospedale si trovava già gravemente danneggiato ed era dotato solamente delle attrezzature essenziali. I vandali hanno proceduto con violenza meticolosa. Hanno strappato i materassi sui letti, hanno rotto le bottiglie di plasma sanguigno e di medicine; poi, gli uomini armati, con le loro sudice mimetiche, si sono gettati sulle poche attrezzature esistenti. Si sono sentiti soddisfatti solo dopo aver reso inutilizzabili l'unica macchina per i raggi X, gli sterilizzatori e la macchina per l'ossigeno. Qualcuno di questi zombie sapeva che la fine della guerra era lontana; tutti sapevano che le loro vite continuavano a dipendere dall'esistenza di un medico che li curasse, ma, a quanto pare, quello che desideravano era proprio la distruzione di ogni minima ipotesi di sopravvivenza. Tutto questo potrebbe essere definito come reductio ad insanitatem [riduzione alla pazzia]. Nell'Amok collettivo, la categoria Futuro è scomparsa. Ormai esiste solo il presente. Le conseguenze hanno smesso di esistere. L'elemento che regola l'autoconservazione è stato disattivato.» (Enzensberger 1993, p. 20, 31s.)
La descrizione è precisa, i fatti vengono analizzati con arguzia, e non manca neppure il fatto che venga richiamata l'attenzione sulla caratterizzazione sessuale dei criminali. Ma così come avviene, sebbene in maniera diversa, in Hannah Arendt, anche Enzensberger non va al fondo del problema. E' evidente lo sforzo di delimitare in qualche modo la fenomenologia horror della perdita di sé stessi e dell'autodistruzione vista come qualcosa di estraneo e di esterno, da escludere dal proprio mondo della quotidianità, affinché non si abbia personalmente niente a che vedere con la cosa. Anche così, Enzensberger continua a riferirsi (sebbene lo faccia, innanzi tutto, come se si trattasse di qualcosa di accessorio), alla connessione sociale esterna fra la globalizzazione capitalista, le nuove guerre civili ed i protagonisti dei vandalismi: «Non c'è dubbio che il mercato mondiale, da quando ha smesso di essere una visione del futuro per diventare una realtà globale, produce ogni anno che passa sempre meno vincitori e sempre più perdenti, e non solo nel Secondo e nel Terzo Mondo, ma anche nei paesi centrali del capitalismo. Se ci sono paesi, e perfino continenti interi, che finiscono per vedersi esclusi dalle relazioni internazionali di scambio, qui ci sono parti crescenti di popolazione che smette di essere in grado di partecipare alla competizione dei qualificati, che peggiora a vista d'occhio.» (Enzensberger, ibidem, p. 39).
È vero che questo realismo dei fatti, a prima vista, si distingue gradevolmente dal falso ottimismo professionale della retorica ufficiale delle "opportunità", rappresentato dall'economia politica accademica o dagli spin doctor del New Labor e del "nuovo centro". Ma  Enzensberger rovescia a testa in giù il riconoscimento dei fatti negativi, in un voltafaccia affermativo; il potenziale socialmente distruttivo della globalizzazione capitalista si converte miracolosamente in una miserabile apologia dell'Occidente: «Le conseguenze politiche previste dai teorici marxisti, tuttavia, non si sono verificate. Viene così dimostrata la falsità delle loro tesi. La lotta di classe internazionale non ha luogo [...] Gli sconfitti, lungi dall'unirsi sotto uno stendardo comune, lavorano alla propria autodistruzione, ed il capitale si ritira, ogni volta che può, dagli scenari di guerra. In questo senso è necessario mettere un freno alla convinzione radicata secondo cui le relazioni di sfruttamento possono essere ridotte ad un mero problema di distribuzione, come se si trattasse di una giusta o di un'ingiusta divisione della torta di una determinata dimensione [...] Si fa ricorso (a questo luogo comune) e si afferma, soprattutto, che "noi" viviamo a spese del Terzo Mondo; presumibilmente, noi siamo ricchi, perché noi, vale a dire, i paesi industrializzati, li sfruttiamo. Chi si batte sul petto a questa maniera deve avere un rapporto disturbato con i fatti. Basta fare riferimento ad un unico indicatore: la quota-parte dell'Africa nelle esportazioni mondiali é approssimativamente del 1,3%, e quella dell'America Latina di circa il 4,3%. Gli economisti che si sono occupati della questione ritengono che se le regioni più povere sparissero dalle mappe, la popolazione dei paesi più ricchi nemmeno se ne accorgerebbe [...] Le teorie che spiegano la povertà dei poveri si basano solo su fattori esterni, alimentando a buon mercato non solo l'indignazione morale, ma hanno altri vantaggi: assolvono i governanti del mondo povero, imputando all'Occidente la responsabilità esclusiva della miseria [...] Dagli africani che si sono già accorti di questo trucco abbiamo sentito, tuttavia, che esiste soltanto una cosa peggiore dell'essere sfruttato dalle multinazionali, non essere sfruttato da esse [...].
» (Enzensberger, ibidem, pp. 40s.).
Enzensberger cerca di eludere la questione, proiettando la problematica del nuovo capitalismo di crisi universale, del limite interno assoluto del modo di produzione e di vita capitalista diventato planetario, sulla precedente linea ascendente del capitalismo, sulla storia della sua imposizione per mezzo delle sue lotte interne. Il conflitto centrale in tal senso è stato di fatto la cosiddetta lotta di classe che, tuttavia, per la sua esistenza e per sua natura, non è stato altro che la "lotta per il riconoscimento" del lavoro salariato nelle forme giuridiche e politiche del capitale (ivi inclusa la relazione capitalista fra i sessi) e, in secondo luogo, la lotta economica per la distribuzione delle "quote-parti", all'interno del movimento di valorizzazione del capitale.
In entrambi i casi si trattava di lotte di soggetti costituiti in maniera capitalista, all'interno delle forme del sistema produttore di merci, che non venivamo minimamente messe in discussione. In altre parole: si trattava di un confronto sociale "immanente" che, proprio grazie al continuo movimento di ascesa ed espansione della forma capitalista, ha potuto svilupparsi nella "gabbia di ferro" (Max Weber) di tale forma, senza andare al di là di essa; vale a dire, non era esattamente (ancora) una "immanenza" quella che, a causa della propria dinamica di crisi interna del sistema mondiale, era stata spinta oltre i suoi limiti, ed era stata obbligata a germogliare in tale "gabbia di ferro" sotto quella forma (e, così, sotto la forma stessa del soggetto).
Il fatto per cui "la lotta di classe", che rimane nell'ambito dell'immanenza, ormai non può più verificarsi sul nuovo terreno della crisi diventa, per Enzensberger, l'argomentazione che gli permette di passare furtivamente a lato del problema della forma delle relazioni sociali e della forma del soggetto, invece di riconoscerne il limite, la crisi e l'insostenibilità di tale medesima forma. Ma perché, dal momento che ormai la "lotta di classe" non può più avvenire all'interno delle categorie borghesi, e perché sono soprattutto solo i maschi sconfitti (e non solo gli sconfitti ben noti!) a lavorare alla loro autodistruzione? Proprio perché oramai non si dà più nessuno sviluppo sostenibile all'interno delle forme categoriali della modernità produttrice di merci, in quanto non ci può più essere una prospettiva civilizzatrice, sia pure illusoria. Ma che cosa significa, dopo tutto, il fatto che parti sempre più ampie della popolazione mondiale oramai non sarebbero nemmeno più sfruttate, diventando "superflue", e che dalla mappa dell'economia del capitale sparirebbero quasi del tutto interi continenti? Non sarebbe altro se non che la forma capitalista, la forma sociale della modernità, vale a dire, lo stesso sistema produttore di merci diventa incapace di riprodursi per la maggioranza globale (ed in ultima analisi per tutti); imponendosi, in tal modo, la critica e la sostituzione della gabbia nella cui forma la defunta "lotta di classe" poteva ancora muoversi.
Enzensberger, tuttavia, rende il fatto che le persone "nemmeno sarebbero più sfruttate" un argomento assurdo a favore del capitalismo, o del centro occidentale del capitalismo. Il fatto che ormai non si tratta realmente di un mero problema di distribuzione all'interno della forma della ricchezza prodotta nel capitalismo, diventa per lui la giustificazione di questa forma, cosa che evidentemente non vuol dire altro che egli la vede come una condizione ontologica irrinunciabile dell'esistenza umana in generale, anziché una formazione storica limitata nel tempo. Tuttavia, la povertà dei poveri non può essere solo ridotta a "fattori esterni" (questo è stato il paradigma erroneo e riduttore dei movimenti di liberazione nazionale meramente anticoloniali del passato) nella misura in cui il capitalismo si è trasformato, da una relazione coloniale fra il centro e la periferia, in un sistema mondiale immediato, negativamente universale, che ha smesso di avere un "esterno".
Nelle condizioni della terza rivoluzione industriale, che ha reso questa immediatezza del mercato mondiale una realtà, le forze produttive ed i mezzi di produzione della maggior parte del mondo diventano superflui per mancanza di redditività, in termini di economia imprenditoriale, ma senza che nella forma capitalista (che da tempo ha costituito anche la sua forma interiore di soggetto) siano superflue anche le persone, dacché questa forma di soggetto soffre anche il peso della moderna relazione fra i sessi, ossia, è sessualmente modificata. Laddove non vengono resi puramente e semplicemente superflui, i mezzi di produzione (non da ultimo i terreni agricoli fertili) soffrono di un re-orientamento forzato verso il mercato mondiale universale, il che significa, ad esempio, nell'ambito dell'agro-business globale, una produzione - poco esigente in termini della manodopera di prodotti ad alta tecnologia  - di beni di lusso tipo fiori recisi o alimenti selezionati per i centri occidentali, mentre la popolazione locale viene espulsa dalle sue terre e privata delle sue risorse vitali, che non (o non più) possono essere rappresentate economicamente sotto la forma del valore, senza che, nel nuovo livello delle forze produttive, possano essere integrate nella produzione rivolta al mercato mondiale, nemmeno in forma meramente repressiva come "braccia". È un fatto che i flussi di merce e di denaro, sotto la cui forma si presenta la produzione agraria marginalizzata o si presentano le specifiche situazioni di sfruttamento salariale a basso costo, sono di una trascurabile dimensione ridotta in confronto alla totalità del prodotto globale e, soprattutto, in confronto al volume del capitale finanziario vuoto di contenuto; ma è proprio in questa dimensione relativamente microscopica della creazione di ricchezza "valida" a livello mondiale che scompare la vita di enormi masse di popolazioni di "superflui". La ricchezza (in sé stessa solamente astratta e distruttiva) dei paesi centrali dell'Occidente non dipende dalla massa di fiori recisi a basso costo, provenienti dalla Colombia o dall'Africa centrale, che vengono mandati nelle metropoli per via aerea; ma è a causa di questa mezza dozzina di fiori recisi che popolazioni intere vengono sacrificate socialmente, proprio perché l'esistenza nell'ambito del mercato mondiale è stabilita in maniera ferrea come unica forma di esistenza possibile.
Le argomentazioni di Enzensberger sono chiaramente apologetiche, e lui dovrebbe essere il primo a saperlo. A quanto pare, sceglie di convertire in cinismo quella che è un'impotenza senza prospettive. Partendo da una problematica storicamente concreta, si rifugia perciò in presunte inevitabilità antropologiche, in un esistenzialismo e in un nichilismo astorico: «In questa situazione, le vecchie questioni antropologiche vengono collocate in forma nuova.» (ivi, p.11). A seguito di questo, a proposito di una forma qualitativamente nuova dell'annichilimento degli indifesi, il discorso diventa deplorevolmente autistico e parla di una «accumulazione di energia di giovani, indotta dai livelli di testosterone.» (ivi, pag.22).In tal modo, la relazione fra la forma moderna del soggetto e la moderna relazione fra i sessi, nei limiti della crisi globale, non è tematizzata criticamente, ma viene antropologizzata ideologicamente, per non dover affrontare questa stessa crisi. Come "veri colpevoli" allora si profilano i barbari «governanti del mondo povero» (ivi, pag.41) ecc.. L'Occidente, il centro della forma universale della relazione di capitale che distrugge il mondo, va dichiarato non responsabile per il proprio sistema mondiale, in quanto il pubblico occidentale non deve essere più infastidito con le «motivazioni incomprensibili» (ivi, p.78) delle folli fazioni assassine di questa o quella regione esotica.
L'eurocentrismo positivo della competenza occidentale universale, nel nome di un universalismo astratto, che era sinonimo della possibilità di sfruttamento capitalista del mondo, in Enzensberger si converte in un eurocentrismo negativo di ignoranza, che si sforza di esternalizzare le catastrofi all'interno del sistema mondiale, proprio perché questo mondo diventa non sfruttabile con i mezzi capitalistici. L'addio alle «fantasie di onnipotenza morale» (ivi, p.86) si convertono così nella vecchia saggezza anchilosata di una politica di campanile: «Tuttavia, tutti sanno nel proprio intimo che, innanzi tutto, si devono occupare dei loro figli, dei loro vicini, di tutto ciò che immediatamente li circonda» (ivi, p.87). Questo costituisce solamente la versione inversa della politica occidentale di intervento militare, ma non una critica delle relazioni ad essa soggiacenti. Così, Enzensberger può essere accusato da un filosofo interventista come André Glucksmann di "sfuggire alle responsabilità", in quanto per Glucksmann le responsabilità consistono nel bombardare le zone di crisi incontrollabili.
In un modo o nell'altro, non sembra che sia all'ordine del giorno una critica allargata, che guarda alla forma del sistema moderno ed alla sua soggettività, ma, come  pensa Enzensberger, allo "screening", la scelta dell'emergenza come «costrizione» (ivi, p.88 s.) nel quadro delle condizioni esistenziali ontologiche inalterabili del sistema produttore di merci. «Quel che dovrà avvenire dell'Angola dev'essere deciso, soprattutto, dagli Angolani.» (ivi, p.90) - come se la globalizzazione non rendesse le bande assassine angolane dei "vicini" altrettanto immediati delle bande giovanili tedesche di «Hoyerswerda e Rostock, Mölln e Solingen» (ivi, p.90). Lo "interno" universale non può essere esternalizzato e particolarizzato.

La metafisica della modernità e la pulsione di morte del soggetto senza frontiere
Si pone evidentemente la questione di come possa Enzensberger cadere, a partire da un'analisi che non smette di essere lucida, in una simile ignoranza voluta e in una pacifica coesistenza con le "costrizioni". Dopo tutto, l'alternativa all'intervento militare occidentale contro i processi di imbarbarimento indotti dalla relazione stessa di capitale globale, non è il ritirarsi, senza prospettive, lasciando la presunta competenza alle soluzioni nel proprio cortile, ma è proprio l'ampliamento della critica sociale, che ormai può essere formulata solo nel contesto globale, circa le forme diventate insostenibili del moderno sistema produttore di merci e della sua soggettività (strutturalmente "maschile"). Il paradigma della lotta di classe, immanente alla forma, dev'essere sostituito dal paradigma di una critica del contesto formale comune, trasversale alla classe, di una moderna socialità negativa, basata sulla monetizzazione e sulla concorrenza anonima, così come sulla relazione di dissociazione sessuale.
Qual è allora l'origine della riluttanza, e non solo da parte di Enzensberger, ad adottare questa critica della forma? La ragione deve risiedere nel fatto che questa critica, di lungo raggio e di natura categoriale, della modernità dovrebbe abbandonare ogni terreno familiare. Tutta la critica sociale precedente, e non solo del movimento operaio nel senso più stretto, nell'ambito del movimento di ascesa e di espansione del capitalismo, si riferiva positivamente al sistema di idee dell'illuminismo borghese del XVIII secolo e, pertanto, alla costituzione del soggetto borghese. Tale soggetto, da sempre pensato primariamente come maschile, doveva agire in maniera emancipatrice proprio per via della sua forma, qualunque fosse la copertura ideologica. Non solo la cosiddetta nuova sinistra ha ereditato questo mondo immaginario del vecchio movimento operaio, così come anche, e soprattutto, lo ha invocato l'intellighenzia tedesca del dopoguerra, contro la fatalità della storia tedesca. Illuminismo, soggetto, politica, democrazia: è questo ciò che sono stati Marx e i profeti.
Tanto più ci costa oggi arrivare a concludere che la storia tedesca ed il nazionalsocialismo sono stati parte integrante della storia de capitalismo mondiale, e che all'interno di questa forma non esiste più alcuna alternativa che possa essere connotata positivamente, e che quello che si trova al centro dell'attualità della miseria mondiale è la forma stessa del soggetto borghese moderno, che è diventato disfunzionale in maniera assoluta e senza soluzione possibile. Ora, nei limiti dell'illuminismo borghese e della riproduzione nella forma della merce, la metafisica reale della modernità si mostra nel suo aspetto più ripugnante. Dopo che il soggetto borghese illuminato si è spogliato delle sue vesti, diventa evidente che sotto tali vesti non si nasconde niente: che l'essenza di questo soggetto è il vuoto; che si tratta di una forma "in sé", senza alcun contenuto. Quello che  Enzensberger vuole rendere esotico è la sua stessa propria essenza sociale, come soggetto dell'illuminismo borghese (ed evidentemente maschile). Quando pensa di star descrivendo l'esotismo dello "incomprensibile", sta ritraendo la metafisica della modernità occidentale stessa: «Quello che conferisce all'attuale guerra civile una nuova e sorprendente qualità è il fatto di essere condotta senza alcun impegno, di no essere, letteralmente, preoccupata di niente.» (ivi, p.35). Ma è proprio questo orrore a non essere l'alieno, l'esterno, ma al contrario quello che viene alla luce è solamente il più intimo io del soggetto della merce, del denaro e della concorrenza, l'essenza del cittadino democratico. Il niente di cui si tratta è il vuoto assoluto del "soggetto automatico" (Marx) della modernità, che si auto-valorizza.
È questo ciò che è la forma del valore che si esprime nel denaro, che, come astrazione reale metafisica oggettivata, domina l'esistenza moderna come un dio secolarizzato e reificato, e di cui la metafisica della cittadinanza democratica non è altro che il rovescio, non avendo "in sé" alcun contenuto sensibile o sociale; sta in questo mondo come forza negativa, ma non è di questo mondo. È il vuoto metafisico che si nasconde dietro le lotte degli interessi apparentemente così tanto razionali e dietro l'apparente volontà di autoaffermazione degli individui astratti. Gente come Beck ed Enzensberger preferisce non prendere atto di questa testa di Gorgone fatta di vuoto sconnesso dal mondo al centro della modernità. Ma è proprio questa mostruosità metafisica che occhieggia da dietro la maschera di colui che allegramente individualizzato è il "gestore di sé stesso" della postmodernità.
In un clima globale di concorrenza e di annichilimento reciproco, di minaccia permanente dell'esistenza sociale e, allo stesso tempo, di una precaria ricchezza monetaria speculativa che può svanire in qualsiasi momento, prospera una volontà di annientamento diffusa, che agisce al di là delle "situazioni di rischio" esterne, e che è altrettanto astratta e vuota di contenuto della forma sociale che costituisce la base del processo di valorizzazione del capitale. La forma "valore" e, di conseguenza, la forma "soggetto" (denaro e Stato) per la sua essenza metafisica è in sé autosufficiente e, malgrado ciò, deve "esteriorizzarsi" nel mondo reale; ma lo fa solamente per poi tornare invariabilmente a sé stessa. Quest'espressione metafisica apparentemente banale (e, sotto l'aspetto sensibile e sociale, di fatto orribilmente banale) del movimento di valorizzazione costituisce il vero tema di tutta la filosofia dell'illuminismo, cosa che è molto chiara in Kant e soprattutto in Hegel; che descritto in maniera precisa ed affermativa la forma dialettica del movimento di questo "processo di esteriorizzazione" di un vuoto metafisico nel mondo reale.
A questa autosufficienza, ma con un necessario movimento di esteriorizzazione, e, in ultima analisi, autoreferenzialità della vuota forma metafisica chiamata "valore" e "soggetto", resta ancorato un potenziale di distruzione del mondo, dal momento che la contraddizione fra il vuoto metafisico e la "obbligatorietà della rappresentazione" del valore nel mondo sensibile può essere solo risolta nel niente e, pertanto, nell'annientamento. Il vuoto del contenuto del valore, del denaro e dello Stato si deve esteriorizzare in tutte le cose di questo mondo senza eccezione alcuna, per poter rappresentarsi come reale: dallo spazzolino da denti fino alla più sottile emozione, dall'oggetto utile più semplice fino alla riflessione filosofica o alla trasformazione dei paesaggi e di interi continenti. Vita e morte, tutta l'esistenza umana e tutta l'esistenza della natura servono unicamente questa capacità di auto-rappresentazione, alla maniera di Proteo, del vuoto sociale metafisico del capitale e dello Stato.
In questo movimento interminabile del fine in sé metafisico (i fini del desiderio degli individui in concorrenza fra di loro vengono inclusi in questo processo gerarchicamente superiore di auto-riflessione del "soggetto automatico"), le cose di questo mondo e i desideri degli individui non sono riconosciuti a partire dalla loro qualità intrinseca, ma al contrario questa viene eliminata, per essere trasformata in mera "gelatina" (Marx) del vuoto metafisico, e quindi assimilando la forma del valore sempre uguale a sé stessa (in una prospettiva superficiale: "economificandosi", vale a dire, trasformandosi nel mero ed indifferente materiale del movimento della valorizzazione).
Questo dà origine ad un duplice potenziale distruttivo: un potenziale "comune", per così dire quotidiano, quale risulta sempre dal processo di riproduzione del capitale, ed un altro per così dire finale, quando il "processo di esteriorizzazione" sbatte contro i limiti assoluti. La metafisica reale del moderno sistema produttore di merci distrugge il mondo parzialmente, come "effetto collaterale" del "successo" della sua esteriorizzazione; e diventa una volontà assoluta di distruggere il mondo, non appena smette di riuscire a rappresentare sé stesso nelle cose del mondo. Si potrebbe perciò parlare di una pulsione di morte dell'umanità moderna costituita in maniera capitalistica, che ha anche un'origine sessualmente specifica. Al centro della filosofia dell'illuminismo si trova la rispettiva espressione ideale, l'adorazione dell'astrazione vuota di una "forma in quanto tale" (Kant).
Questa logica dell'annientamento si può manifestare in modo banale nello svolgersi perfettamente normale degli affari, ad esempio, nella distruzione delle condizioni naturali della vita per mezzo dell'esternalizzazione dei "costi" dell'economia imprenditoriale, nella scarsa offerta a interi gruppi di popolazione di alimenti e di cure mediche per mancanza di "capacità di finanziamento", nella non necessaria morte di massa di neonati e bambini nelle regioni globali di povertà, ecc..
Ma la medesima logica di annientamento può anche manifestarsi immediatamente come esplosione di violenza e, in quell'atto, provocare questa dissoluzione della coscienza di sé, che può essere osservata non solamente sui fronti di battaglia delle guerre capitaliste, ma anche nelle grandi esplosioni di crisi del XX secolo. Oggi questo disfarsi dell'io sembra diventare il principio che presiede al mondo. La volontà di annichilimento finale del soggetto metafisicamente costituito si indirizza perfino contro proprio tale soggetto, nella misura in cui egli è di questo mondo, ossia, sensibilmente esistente. E non è in alcun modo un caso che, in quest'orgia di autodistruzione, l'essenza "maschile" di tale soggetto torni ovviamente ad irrompere in superficie.
Naturalmente, quello che agisce immediatamente "nel" soggetto" non è il vuoto metafisico reale del valore, la forma sociale del movimento del capitale; ma questa attuazione di crisi, questa transizione alla violenza senza limiti avviene attraverso la trasmissione delle forme di socializzazione e dei meccanismi psichici. In questo contesto, proprio la così tanto celebrata individualizzazione postmoderna che, in realtà, è solo la forma più esacerbata della soggettività astratta (separata) dell'essere umano costituito in maniera capitalista, fino al massimo grado di abbandono totale, si rivela come la forma di transizione verso l'assoluta perdita di sé, in cui i meccanismi psichici della pulsione di morte si sviluppano fino alla manifestazione immediata, come il sociologo e psicologo carcerario Götz Eisenberg descrive in maniera eloquente: «I conflitti sociali vengono riprivatizzati e si addensano in uno spazio mentale interiore, che è inadeguato all'assorbimento di tali energie. È troppo stretto. L'infelicità incarcerata non può fermarsi, cerca una via d'uscita [...] Dietro le immagini delle umiliazioni attualmente sofferte emergono le immagini del passato della propria vita, provenienti dall'infanzia, ma che si rivelano solo ora. Funzionando come un amplificatore, esperienze di offese e rifiuti molto antiche si uniscono alle umiliazioni attuali e solo in questo modo riescono a conferire a queste ultime il loro peso [...] L'energia emotiva raccolta all'interno si diffonde, si ricompone in un altro luogo, si disloca e forma nuovi collegamenti [...] Il mondo interiore si trasforma in un caleidoscopio di frammenti che si intersecano, creando immagini sempre più grottesche e spaventose. Parti psicotiche della personalità, che tutti portiamo dentro di noi in quanto essere "parzialmente socializzati (Mitscherlich), riemergono in primo piano, guadagnando così una sorta di egemonia psichica. Si va addensando un odio arcaico per degli oggetti che ci perseguitano dentro e fuori di noi, la percezione si confonde, il mondo diventa sempre più scuro finché, alla fine, tutto diventa un oggetto "malefico e persecutorio". Ora, la calma ed il dominio di sé funzionano solo con un grande sforzo; sotto cova qualcosa. Fantasie paranoiche cominciano a riempire l'intero campo visuale interiore. Ora manca solo un'ultima spinta perché la meccanica della sventura entri in azione.» (Eisenberg 2002, p. 24 s.).
L'astrazione di questa volontà di annichilimento riflette la doppia autocontraddizione della relazione del capitale: da un lato, essa riguarda l'annientamento degli "altri", apparentemente con la finalità dell'auto-conservazione a qualsiasi prezzo, dall'altro lato, è anche una volontà di auto-annientamento, che riguarda la mancanza di senso della propria esistenza nell'economia di mercato. In altre parole, il confine fra omicidio e suicidio diventa sempre meno netto. Si tratta, al di là del "rischio" della concorrenza, di una furia di annichilimento talmente illimitata che la distinzione fra il proprio io e quello degli altri comincia a scomparire, cosa che, a sua volta, può essere descritto come un meccanismo psichico: «Per sfuggire alla propria catastrofe narcisista e allontanare insopportabili sensazioni di paura, impotenza e abbandono, il proprio sé stesso interiore viene rivolto all'esterno, mettendo in atto una messinscena omicida e suicida. Può accadere che la preservazione della propria autostima e dell'integrità della personalità costituisca una motivazione di comportamento umano che ha un peso maggiore rispetto alla protezione della propria sopravvivenza sminuita. Prima che tensioni interne possano lacerare il proprio io, il criminale lacera parti del mondo esterno in una sorta di difesa preventiva [...] La furia distruttiva del bambino che si sente abbandonato, ignorato e disperato e che vorrebbe spaccare tutto quello che gli sta intorno, è limitata dalla sua mancanza di forza fisica; ora la stessa rabbia esplosiva abita il corpo di un adulto, che può avere accesso alle armi, alle automobili o perfino agli aerei.» (Eisenberg, ibidem, pp. 25s.).
L'io astratto del soggetto del denaro si dissolve nella concorrenza della crisi finale, portando alla luce l'essenza di quello che è sempre stato celato al suo interno, quello che è il vuoto della sua esistenza, identico all'autodistruzione. Nei sempre più frequenti collassi delle relazioni socio-economiche, indotte come sono dal mercato mondiale della globalizzazione, nel processo di decomposizione di intere società, ormai non è più possibile una auto-definizione degli individui, in quanto questi continueranno a muoversi all'interno della forma sociale dominante (cosa che fino ad oggi hanno fatto in modo spontaneo). La chiacchiera democratica può solo aumentare ed attizzare la rabbia, poiché essa stessa non è altro che un'espressione ipocrita e beata della medesima logica di annientamento contro l'essere umano e contro la natura.
I fenomeni di distruzione e di annientamento di sé stessi, quali li descrive Enzensberger per mezzo della gioventù maschile, sono diventati al giorno d'oggi, sotto vari aspetti, universali. Da una parte, non sono solo gli autori di azioni immediate di annichilimento e di auto-annichilimento (anno dopo anno, sempre più frequenti) a rappresentare questa perdita di sé stessi. Gli apparenti autori di atti di violenza costituiscono solo la punta di un iceberg, il fenomeno evidente di uno stato della società che è molto più generalizzato. Ad ogni assassino suicida corrispondono migliaia e milioni di persone con sentimenti simili, ma che (ancora) non sono passati all'azione, giocando con queste cose nella loro immaginazione, o sfogandosi con prodotti mediatici corrispondenti (il semplice fatto che tali prodotti, i cosiddetti video violenti e numerose altre forme di esaltazione mediatica della violenza, possono essere fabbricati in termini di produzione redditizia di massa è un chiaro segnale di quanto profondamente questo problema riguarda la società).
In secondo luogo, avviene che non sono solo i perdenti dichiarati, come quelli delle banlieue o di Mogadiscio, ad ammazzarsi gli uni con gli altri, o a tagliare consapevolmente il filo che li lega alla vita. La guerra civile molecolare si svolge anche, e con particolare impatto, fra la gioventù isolata nella pseudo-normalità di coloro che guadagnano salari sopra la media, i vincenti della crisi ed i fanatici della decenza, la cui condizione mentale di senzatetto e di perdita di sé stessi non coincide a quella degli assassini minorenni degli slum. Il culto dell'omicidio e dello stupro, considerato come uno sport, cosi' come il culto della messinscena del suicidio, diffuso anche nei quartieri ricchi e benestanti di Rio de Janeiro, di New York o di Tokio. L'ormai proverbiale Amok, con la sua conseguente auto-esecuzione nelle scuole degli Stati Uniti, è frutto della fantasia dei virgulti delle classi medie danarose. E anche i bombaroli suicidi palestinesi o dello Sri Lanka sono in genere provenienti da "buone famiglie".
Alla fine, si deve precisare che non si tratta di eruzioni degli strati più anziani di una cultura premoderna, la quale, sotto la maschera della modernità capitalista e dell'universalità globale, si evidenzierebbe negli "esclusi", per esempio, sotto la forma dell'islamismo che prolifera nel mondo musulmano. Sebbene il sistema unico, universale, globale e metafisico reale del capitale abbia una colorazione culturale differente nelle varie regioni del mondo, secondo gli standard delle tradizioni ancestrali, delle concezioni religiose, dei comportamenti sociali ed estetici ecc., questa colorazione, questa differenza culturale, non costituisce l'essenziale, il nucleo profondo, in cui la costituzione capitalista e l'integrazione sul mercato mondiale costituirebbe una specie di vernice meramente esteriore. La situazione è esattamente quella opposta. Dopo secoli di storia di assestamento al capitalismo e dopo l'imposizione della relazione di capitale come relazione mondiale immediata, la stessa ed unica forma universale del soggetto che "incarna" il vuoto metafisico del valore identico in ogni parte e che costituisce l'io interiore degli individui, come essenza del tutto incolore ed anche senza alcuna qualità, mentre la differenza culturale ormai rappresenta soltanto una maschera esteriore, quasi folcloristica.
È anche per questo motivo che le "bombe viventi" (Enzensberger, ibidem, p. 36) erranti per il mondo del capitale globalizzato sono i prodotti più genuini di questo stesso mondo: soggetti identici della medesima metafisica reale, in cui è diventata evidente la pulsione di morte propria di questa socializzazione negativa. Gli autori delle azioni Berserker nelle scuole degli Stati Uniti e i bombaroli suicidi islamici sono più uniti dalla loro forma del soggetto e, quindi, dalle loro azioni, di quanto siano separati dai loro differenti sfondi culturali.
Quello che è evidente negli autori delle azioni Berserker vale anche per i bombaroli suicidi, che apparentemente sono più influenzati da motivi ideologici: Anche fra di loro, similmente a quello che Hannah Arendt già identificava nella generazione perduta del periodo fra le due guerre mondiali, la predisposizione a sacrificare la propria vita non ha «la minima somiglianza con quello che siamo soliti intendere per idealismo». I motivi religiosi che, non a caso, hanno sostituito le ideologie moderne propriamente dette, sono espressione di questa universale perdita di sé stessi, che sfocia nella «predilezione appassionata per l'organizzazione della propria vita secondo concetti destituiti di qualsiasi senso», finendo per buttarla via come un fazzoletto di carta usato.
La follia religiosa che infuria in tutto il mondo e che anche in Occidente ha dato origine ad un gran numero di sette (ivi incluse anche "sette suicide" dichiarate) oramai non possiede alcun tipo di coerenza; è composta sincreticamente da ogni tipo di elementi religiosi smarriti ed arricchiti con i prodotti della decomposizione delle ideologie passate, dal culto di Hitler fino alla "messa nera". Il culto assurdo del male corrisponde alla pulsione di morte nel centro vuoto della ragione illuminista, che viene messa a nudo.
Questo processo era già iniziato nell'epoca delle guerre mondiali, ed è stato interrotto solo dall'ultima fase di intenso sviluppo fordista dopo il 1945. Infatti, il nazismo può essere considerato come una specie di precursore o prototipo della velenosa miscela di idee che oggi circola in tutto il mondo, secondo varie ricette. Anche i nazisti mescolavano la loro patologica "visione del mondo" a partire da motivi pseudo-religiosi disconnessi fra loro, miti arcaici sintetici, ideologie moderne e prodotti collaterali del pensiero delle scienze della natura associati all'ascesa del capitalismo. Anche i nazisti si caratterizzavano per il culto della "mascolinità" violenta specificamente moderna ed i relativi codici. Ed anche per i nazisti ad essere in questione non erano, o quanto meno non erano solo, gli interessi imperiali ma, ugualmente, una furia di annientamento che aveva tutti contorni di un fine in sé, che è culminato in un'orgia di auto-annichilimento e di auto-sacrificio.
Oggi, tuttavia, il medesimo contesto motivazionale ormai non si presenta più come nazionale e specificamente tedesco, bensì globale ed universale; la vertigine assassina non si organizza più come un "Reich" nazionale ed imperiale, ma, semmai, nel contesto dello "imperialismo globale ideale" e nella dispersione molecolare per tutto il globo terrestre.
L'enfatizzazione esacerbata di atti di culto esteriori, sia nelle sette occidentali che in quelle islamiche, si riferisce alla stessa assenza di contenuto. Se le antiche religioni hanno sempre avuto alle spalle lo sfondo riproduttivo delle civiltà agrarie, ormai non si può più constatare niente del genere per le idee zombie di queste nuove "generazioni perdute", ora globali, per le quali non esiste alcun futuro nella sua costituzione capitalista. Dall'altro lato, lo "sfondo degli interessi" delle precedenti moderne ideologie, provenienti dalla storia dell'ascesa del capitalismo, non riesce più a stabilire una qualche coerenza ideale. Lo stesso "interesse" si inselvaggisce e si decompone, ed insieme ad esso l'ideologia, che è ugualmente spogliata di qualsiasi contenuto coerente.
L'avidità per il successo sul mercato da parte dei virgulti dei vincitori minoritari della globalizzazione e l'avidità dell'economia di saccheggio per le "merci occidentali" nelle regioni al collasso si trasforma immediatamente nella vuota e totale mancanza di interesse del soggetto dell'Amok e del suicidio, maschile e giovanile. I McDonald e la jihad [guerra santa] costituiscono di fatto le due facce della stessa medaglia, sebbene molto più orribili di quanto li abbia rappresentati Benjamin Barber nel suo libro "Coca-Cola e Guerra Santa" (Barber 1996). La "sete di morte" non è un motivo specificamente islamico ma, piuttosto, l'universale grido di disperazione di un'umanità che si auto-giustizia nella sua forma del mondo capitalista. E gli autori sono, al 90 o quasi al 100%, uomini in competizione con violenza, alla fine non meno di quanto lo fossero all'inizio di questa meravigliosa "civiltà".

- Robert Kurz - Pubblicato su Exit! n°14 del Maggio 2017 -
(Estratto da: Robert Kurz, "La guerra di ordinamento mondiale" 2003)

fonte: EXIT!

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