sabato 25 novembre 2017

Cambia il tempo!

capitalocene

Che i drammatici cambiamenti climatici degli ultimi decenni siano dovuti alle emissioni antropogeniche di gas serra è un fatto acclarato, che non suscita serie controversie se non da parte di qualche sparuta setta negazionista. Quali siano le conseguenze di tale situazione è invece oggetto di discussione. Sempre più spesso si sente parlare, nei circoli accademici ma anche sui mass media, di "Antropocene". Il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, che ha coniato il termine, intende con esso una nuova era geologica in cui le attività umane sono diventate il fattore determinante, decretando così la fine dell'Olocene. L'umanità come un tutto indifferenziato (e colpevole) da un lato, l'ambiente incontaminato (e innocente) dall'altro. Jason W. Moore rifiuta questa impostazione e parte dal presupposto che l'idea di una natura esterna ai processi di produzione non sia che un effetto ottico, un puntello ideologico su cui si è appoggiato il capitalismo. Al contrario, il concetto di ecologia-mondo rimanda a una commistione originaria tra dinamiche sociali ed elementi naturali che compongono il modo di produzione capitalistico nel suo divenire storico, nella sua tendenza a farsi mercato mondiale. Il capitalismo non ha un regime ecologico, è un regime ecologico. Sfruttamento e creazione di valore non si danno sulla natura, ma attraverso di essa - cioè dentro i rapporti socio-naturali che emergono dall'articolazione variabile di capitale, potere e ambiente. Si tratta dunque di analizzare la forma storica di questa articolazione - ciò che Moore chiama "Capitalocene": il capitale come modo di organizzazione della natura - per fronteggiare l'urgenza dei disastri ambientali che ci circondano.

(Dal risvolto di copertina di: Jason W. Moore: Antropocene o Capitalocene. Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria, ombre corte, pp. 174, euro 15)

Il grande balzo del «capitalocene» sulla natura
- di Gennaro Avallone -

Il capitalismo non ha un regime ecologico, ma è un regime ecologico, cioè un modo specifico di organizzare la natura. Questa affermazione del docente alla Binghamton University, Jason W. Moore, costituisce una guida del tutto diversa da quella abituale per guardare alla cosiddetta questione ambientale. Quest’ultima è pensata, solitamente, come una conseguenza possibile del capitalismo ed invece è una sua dimensione costituiva, nel senso che il capitalismo si fonda sulla subordinazione della natura, umana ed extra-umana, alle necessità della produzione e accumulazione di ricchezza.
È questa una delle tesi fondamentali dello stesso Jason W. Moore nel libro Antropocene o Capitalocene. Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria, edito da ombre corte (pp. 174, euro 15): un libro che permette di ragionare criticamente sul concetto di «Antropocene», tanto presente nel dibattito internazionale quanto assente in quello italiano.
L’introduzione dei ricercatori Alessandro Barbero e Emanuele Leonardi facilita, insieme alla prefazione e conclusione scritte dall’autore per l’edizione italiana, la comprensione di questo dibattito, chiarendo di cosa si tratta quando parliamo di «Antropocene», la storia del concetto, le sue definizioni e possibili origini e le conseguenze conoscitive e politiche dell’utilizzo di questa categoria.
Non siamo di fronte, infatti, ad un concetto condiviso in modo unanime tra gli studiosi e le studiose, neanche nell’ambito della geologia. Se è vero che l’«Antropocene» è la parola che indica l’epoca caratterizzata dal predominio dell’azione umana sul pianeta, cioè l’epoca in cui le influenze antropiche si impongono «su composizione e funzioni del sistema-Terra e delle forme di vita che lo abitano», è anche vero che questa parola non chiama le cose con il proprio nome.
L’«Antropocene» assume l’umanità come una totalità omogenea, operando così una mistificazione, perché, ad esempio, non è vero che tutta l’umanità è stata responsabile allo stesso modo dell’aumento delle emissioni di gas serra, come ci ricorda la studiosa di storia economica e dell’ambiente Stefania Barca.
Prendendo sul serio queste disuguaglianze, Jason W. Moore invita, allora, a parlare di «Capitalocene» per riferirsi alle trasformazioni inscritte nei rapporti di capitale, proprie di un’ecologia-mondo con specifiche relazioni di potere e forme di produzione della natura, iniziata durante il 1400 attraverso le pratiche espansive incentrate sulle merci nell’Atlantico.
Il «Capitalocene» non individua un’epoca geologica, ma è un riferimento utile per dire che quello di «Antropocene» è un tema che oscura più che chiarire la comprensione dei cambiamenti socio-ecologici in corso da alcuni secoli, ben prima della Rivoluzione industriale.
Moore sta anche attento a riconoscere che «Antropocene» può essere un concetto importante, se riferito all’uso che ne fa una parte dei geologi per riferirsi ai mutamenti in atto nell’epoca atomica in corso dalla seconda metà del Novecento. Diviene problematico, invece, se si impone, come è accaduto, come un significante vuoto, una parola alla moda che nega «la disuguaglianza e la violenza multi-specie del capitalismo», suggerendo che dei problemi creati dal capitale sarebbero responsabili tutti gli esseri umani.
In questa seconda accezione – l’unica definizione di «Antropocene» presente, in realtà, nel dibattito ecologista – i rapporti di potere che plasmano storicamente le relazioni socio-ecologiche scompaiono, ponendo sullo stesso piano sfruttati e sfruttatori, colonizzati e colonizzatori, bombardati e bombardieri, subalterni e dominanti, espropriati ed espropriatori.
Sono i rapporti di capitale, invece, a dovere essere chiamati in causa per comprendere questo periodo della storia del mondo, e non solo della storia umana, caratterizzato dallo sfruttamento del lavoro e dall’appropriazione del lavoro gratuito delle nature umana (il lavoro di riproduzione sociale, come quello domestico realizzato solitamente dalle donne) e non umana (il petrolio, ad esempio, e le altre cosiddette risorse naturali).
È così, allora, il lavoro ad essere al centro dell’analisi del «Capitalocene» e non il tema generico del deterioramento ambientale dovuto ad un’indistinta azione umana: ma non solo il lavoro retribuito, quello associato nel capitalismo alla produzione di valore, ma tutto il lavoro, l’insieme delle attività di trasformazione socio-ecologica. Seguendo la lezione di una parte della politica e teoria femminista, specialmente il lavoro non retribuito, quello di cui il capitale si appropria senza pagare, posto al di fuori dell’area della mercificazione e base reale dei processi di accumulazione della ricchezza.
È per questo che affrontare la cosiddetta questione ambientale significa ridefinire il lavoro e superare i rapporti di potere, anche patriarcali e coloniali, in cui è ingabbiato, costruendo una diversa, rivoluzionaria, politica della natura.

- Gennaro Avallone - Pubblicato sul Manifesto del 7.7.2017 -

Nessun commento: