lunedì 20 novembre 2017

Sfuggire

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Per Orlando il soprannaturale letterario esprime la storia segreta e contrastata dei rapporti che gli uomini hanno intrattenuto con l'irrazionale e con il cosiddetto principio di realtà, racconta la resistenza opposta dagli individui alle esigenze di realtà e verità che tutte le civiltà impongono, il loro bisogno liberatorio di credere all'impossibile. L'autore propone una casistica in grado di riordinare, grazie a poche grandi categorie di riferimento, una fenomenologia letteraria che altrimenti risulterebbe magmatica e informe, e che gli consente di avvicinare, tra analogie e differenze, Omero e i racconti di fantasmi, Ariosto e le fiabe di Perrault. Il saggio bilancia con finezza esempi testuali e teoria, in una serie di appassionanti letture di alcuni grandi classici (Gerusalemme liberata, Amleto, Don Chisciotte, Faust, Hänsel e Gretel, Il giro di vite, La metamorfosi,Il Maestro e Margherita...) sui quali, grazie a questo esercizio di critica tematica e comparata, l'autore getta nuova luce.

(dal risvolto di copertina di: Francesco Orlando: Il soprannaturale letterario. Storia, logica e forme, a cura di S. Brugnolo, L. Pellegrini e V. Sturli, prefazione di Thomas Pavel, Einaudi, pp. 190, € 23)

Dèi, mostri e fantasmi all’università
- di Massimo Natale -

«La razionalità, secondo Freud, non ha niente di naturale. Essa è una dura e precaria conquista; lo è innanzi tutto nella sua genesi attraverso l’infanzia dell’individuo, ma anche nel suo mantenimento attraverso ciascun momento della vita individuale, e così nelle sue affermazioni culturali collettive attraverso la storia dell’umanità». Così cominciava uno fra i lavori più noti di Francesco Orlando, Illuminismo e retorica freudiana (1982), entro il quale il percorso della ragione occidentale era contraddittoriamente tratteggiato come un cammino «faticoso, repressivo», costellato di «aberrazioni»; e insieme, d’altra parte, come un inevitabile «progresso», sia pure pagato dalla civiltà in termini di repressione. In questo quadro, la letteratura viene a essere un alleato fondamentale per indagare la parabola di quella stessa civiltà, una “seconda vista” raffinata e confidenziale, capace di scrutare gli angoli marginali del vivere sociale, di raccontare le frustrazioni e le speranze, il senso del proibito, il dolore e l’aspirazione alla gioia disseminati lungo l’intera esistenza degli uomini. Sono già tutte qui – in questo identikit della letteratura come proiezione del desiderio – le premesse dell’esercizio critico di Orlando, che intanto al nume tutelare di Freud aveva già dedicato, nel 1973, un libro ambizioso come Per una teoria freudiana della letteratura, a inaugurare un trittico che comprendeva anche una delle sue riuscite forse maggiori, Due letture freudiane: Fedra e il Misantropo, del ’71.
Al racconto del perenne conflitto tra desiderio e realtà, del quale il testo letterario può essere un luogo d’osservazione privilegiato, è implicitamente consacrato, ora, un libro postumo di Orlando – scomparso nel 2010 – Il soprannaturale letterario. Storia, logica e forme, a cura di S. Brugnolo, L. Pellegrini e V. Sturli, prefazione di Thomas Pavel, Einaudi, pp. 190, € 23. Bisognerà intanto dire che il volume è una notizia – e in certo modo anche una scommessa – per i lettori più affezionati di questo grande interprete della modernità letteraria. I curatori ci informano, nelle pagine introduttive, che il lavoro – frutto di «un’indagine condotta sull’arco di un ventennio, la cui genesi risale agli anni Ottanta» – è in realtà «il primo inedito» orlandiano ad approdare alla pubblicazione, lasciando così presagire altre future trovate tra le carte – o fra i materiali dispersi – di Orlando. E una scommessa, si diceva: perché il testo non è stato licenziato dal suo autore, ma è invece il risultato di una serie di lezioni che risalgono soprattutto al 2005-2006 (l’anno del suo ultimo corso universitario, a Pisa). È nota l’acribia con cui Orlando rielaborava le sue pagine, in una sorta di fobia dell’imperfezione. Ma è forte anche il ricordo del suo inconfondibile stile oratorio: ecco dunque un libro «probabilmente diverso dal solito», come si legge nella stessa introduzione, che permetterà di entrare più da vicino nell’officina dello studioso, attraverso il cantiere privilegiato – pur soltanto intravisto, perché il lavoro dei curatori è impeccabile – della lezione universitaria.
Orlando insegue le apparizioni del soprannaturale letterario, incaricandosi di disegnare un arco che va dal Medioevo di Rutebeuf al Novecento di Kafka (non senza qualche puntata all’indietro, verso l’antichità, purtroppo soltanto sfiorata, ma non senza che riemergano, qua e là, almeno i nomi di Omero, Luciano e Ovidio), in un sostanziale nomadismo letterario, senza confini geografici, che può dunque spingersi dall’Inghilterra di Shakespeare all’Italia del poema cavalleresco, dalla Francia di Voltaire alla Germania di Goethe (e così l’Orlando francesista ci ricorda ancora una volta, per inciso, che comparatistica non vuol dire abolizione delle letterature nazionali, ma loro capillare assunzione e conoscenza, e in certo senso loro custodia). L’autore tenta di rispondere, sostanzialmente, a questa domanda: come reagisce il Testo di fronte all’irrazionale? Come lo rappresenta? Quali sono le eventuali costanti di una fenomenologia del soprannaturale (dei, mostri, fantasmi, ecc.)? Le proposte di Orlando sono abitate – viene da dire: come sempre – da due istanze ineludibili, o due demoni: quello della tassonomia e quello dell’esempio. I quali collaborano vitalmente, anche a stare al solo titolo del capitolo d’esordio: Minimi esempi in vista di un concetto. È qui che si fissano i primi puntelli teorici, per esempio la necessità – perché si dia soprannaturale letterario – di una serie di regole che permettano di avvertire l’esplosione dell’irrazionale come infrazione, come alterazione persino minima del reale. Oppure, si veda la grande attenzione topologica di Orlando, ovvero per le localizzazioni letterarie: per gli spazi della Commedia o soprattutto della Gerusalemme Liberata, intimamente legati all’apparizione dell’Altro o – più esplicitamente – alla liberazione della «trasgressione» (per cui il luogo appartato e oscuro, diventa, in questa lettura, un correlato dei segreti intimi della psiche tassiana). E più oltre, ecco Orlando fare cenno alle altre due meridiane fondamentali per la sua esplorazione, cioè la Storia, da una parte, e la Tipologia dall’altra. La prima parte del volume si preoccupa infatti, in particolare, delle «variabili cronologiche» del tema. Non si potrà non citare il capitolo dedicato a Cervantes – nel quale il tema della magia è identificato come portante – ma il passaggio più chiaro, in tal senso, è quello imperniato sul Faust, se quest’opera assomiglia all’atto di fondazione di un soprannaturale compiutamente moderno: così, nella scena di una strega che non riesce a riconoscere il diavolo, si può rileggere il soprannaturale goethiano come un segnale di allusione all’accelerazione storica, o diremo forzando un po’: alla tecnicizzazione del mondo (o, con il Lukacs ricordato da Orlando, come allegoria del capitalismo).
Quanto, invece, a uno sforzo diretto alla categorizzazione, questa è consegnata soprattutto alla seconda parte dell’indagine, nella quale si distingue fra l’altro tra un soprannaturale «di tradizione», come quello di Omero o di Dante, esito della «reificazione dell’immaginario collettivo» (e dunque ben piantato su un principio di autorità religioso); e un soprannaturale «di derisione», per il quale bisognerà di nuovo tornare al Chisciotte, o si potrà spingersi, per stare a un solo caso, ai Contes di Voltaire. E si tenta di circoscrivere un soprannaturale «di indulgenza» – testimone principale un Ariosto – categoria intimamente rinascimentale, che certificherebbe un modo di guardare all’evento prodigioso intriso di ironia e insieme di empatia: come se, insomma, utopia e razionalizzazione potessero in qualche modo convivere, per esempio nel Furioso.
È persino ovvio che Freud sia, anche qui, un riferimento importante (basti guardare all’età della Rivoluzione ripensata, nel capitolo faustiano, alla luce del complesso di Edipo). Così come è ovvio che un interlocutore costante sia il Todorov de La letteratura fantastica, dal quale si prendono tuttavia le dovute distanze. Per esempio dal Todorov che definisce il fantastico badando anzitutto a come questo si risolva o razionalizzi nel finale: «Ma se per la maggior parte dell’opera esitiamo e siamo tenuti in sospeso – chiosa Orlando – che cosa importa che nelle ultime pagine ogni incertezza cessi o si razionalizzi del tutto? Il piacere della lettura risiede proprio nel dubbio che si diffonde su tutto il testo». Può darsi che l’ansia categoriale di questo Orlando – come dell’Orlando de Gli oggetti desueti – non sia (più) nostra. Ma è l’invito continuo – e spesso implicito, nobilmente silenzioso – a un irrinunciabile plaisir du texte – a non farcelo sentire distante. Anzi: a farlo risultare ancora più indispensabile.

- Massimo Natale - Pubblicato su Alias del 25/6/2017

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Rileggere Francesco Orlando *
di Gianluigi Simonetti

[* Una versione più breve di questo articolo è apparsa sulla «Domenica» del «Sole 24 ore»; una discussione più ampia e dettagliata del Soprannaturale letterario di Francesco Orlando uscirà invece sul prossimo numero della «Nuova Rivista di Letteratura Italiana»]

   Chi possiamo considerare il più sottovalutato, isolato e in definitiva inascoltato fra i grandi studiosi di letteratura che hanno operato in Italia negli ultimi decenni? Un nome possibile è quello di Francesco Orlando, francesista prima e poi comparatista, scomparso a Pisa nel 2010; la cui lezione, osservava qualche settimana fa Franco Cordelli sul «Corriere della Sera», «è ormai solo un ricordo». Un po’ esagerato, ma in sostanza giusto. Naturalmente è facile, per chi si occupa di letteratura, associare il nome di Orlando a quello di tanti suoi libri importanti, quali Per una teoria freudiana della letteratura, Illuminismo, barocco e retorica freudiana e Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Naturalmente, Orlando ha lasciato un metodo, e una schiera di allievi. E naturalmente non sono mancate importanti traduzioni straniere delle sue opere più aggiornate e esportabili (come quelle, in inglese e francese, degli Oggetti desueti). Ma l’impressione, oggi, è che non si sia riflettuto abbastanza non tanto sul metodo di Orlando, a volte irrigidito da scommesse un po’ ingegneristiche – quanto sulla qualità delle sue letture testuali, e sulla concezione stessa che aveva della letteratura. Che insomma sia mancato un ascolto attento e profondo, anche critico purché intelligente, delle sue parole.
L’occasione per una verifica della figura di Orlando è offerta oggi dall’apparizione del suo primo saggio postumo, finalmente pubblicato da Einaudi (peraltro nella stessa collana, la Piccola Biblioteca, che aveva ospitato anche alcuni suoi precedenti lavori; e che si spera possa accoglierne altri, inediti, che sappiamo in circolazione). Il soprannaturale letterario condensa una ricerca durata vent’anni, articolata, com’era abitudine di Orlando, in diversi cicli di corsi universitari. I tre curatori del libro – Stefano Brugnolo, Luciano Pellegrini e Valentina Sturli – si sono serviti in particolare delle registrazioni complete di un corso tenuto nella primavera del 2006, integrato con sbobinature dell’anno precedente e appunti dettagliati presi per le lezioni. Il risultato è un saggio che nutre la ambizione di verificare – attraverso l’analisi di singoli testi esemplari – i diversi statuti che il racconto del soprannaturale ha assunto durante i secoli, e più in generale i rapporti che ha intrattenuto con la realtà ordinaria rappresentata nelle opere. Orlando riflette insomma sul modo in cui la letteratura ha reagito alla pressione che le leggi di realtà, in situazioni storiche date, hanno opposto alla tentazione umana di credere all’incredibile. Interrogandosi sui diversi statuti del soprannaturale Orlando cerca evidentemente di emanciparsi da categorie più circoscritte, come il fantastico, il meraviglioso o il fiabesco; cerca insomma di decifrare il funzionamento di un grande codice letterario, capace di attraversare i secoli declinandosi attraverso analogie e differenze, costanti e varianti. Il tutto chiaramente in stretta relazione con l’intuizione teorica di una letteratura continuamente sospesa tra obbedienza alle regole imposte dalla società e trasgressione di quelle stesse regole: una letteratura come «formazione di compromesso» tra ciò che è lecito e non è lecito, di volta in volta, scrivere o dire; tra le istanze imposte da una determinata epoca storica e quelle atemporali della psiche.
Chi scrive è tra coloro che hanno avuto il privilegio di seguire Orlando a lezione, cioè in quello che definirei il suo ambiente naturale – il luogo nel quale la sua intelligenza e il suo fascino intellettuale erano più acuti e per così dire irresistibili. Nel Soprannaturale letterario, sebbene frutto di un assemblaggio a posteriori, ci si imbatte a volte in tratti retorici e stilistici che erano tipici di Orlando: su tutti l’ironia, sempre eloquente (come quando ad esempio, commentando Le Miracle de Théophile di Rutebeuf, il critico si mette dalla parte del diavolo, contro una Vergine «un poco a corto di argomenti»); ma anche certi giri sintattici, certe simmetrie, certe inversioni molto riconoscibili («Quando leggiamo che per don Chisciotte “tutto può essere” risulta difficile dire se tutto si spiega perché non si spiega niente, o niente perché si spiega tutto») [1].
Quel che più conta, però, è che nel libro postumo tornano le tracce delle principali qualità intellettuali di Orlando, come le ricordano i suoi studenti di un tempo. La prima era ovviamente la quantità e l’eccellenza della cultura letteraria. Un aspetto risaputo, sul quale non mi soffermo, se non per rilevare, con i curatori del volume, che il Soprannaturale letterario contribuisce a quel progetto di una teoria e storia della letteratura occidentale che Orlando concretizza nei primi anni Novanta, soprattutto negli Oggetti desueti. Un modo per saldare la sua ultima stagione al ricordo dei modelli critici giovanili: Auerbach soprattutto, poi Praz e Curtius. Soprannaturale e Oggetti si muovono nello stesso vastissimo mondo culturale e condividono la stessa struttura di indagine (collaudata a lezione): una intuizione teorica sommariamente evocata, una serie di verifiche testuali, un abbozzo di classificazione, infine un’ultima controprova testuale.
La seconda caratteristica di Orlando, particolarmente ben testimoniata da questo volume, riguarda il suo grande talento didattico: un dato che assume oggi – in una stagione in cui nella facoltà umanistiche s’impongono pedagogie che a Orlando avrebbero fatto orrore – un senso e un valore davvero preziosi. Molto difficilmente mi è capitato di sentire lezioni preparate con la cura con cui Orlando preparava le sue, sempre gremite di studenti (i quali sapevano e sanno benissimo chi vale la pena di ascoltare e con quanta attenzione). Anche questo è un aspetto abbastanza noto, per non dire leggendario, ma vale la pena di sottolineare quanto tipico di Orlando fosse il piacere di insegnare; il desiderio, l’allegria, e il bisogno di farlo; la capacità di comunicare agli studenti quanta passione intellettuale e quanto autentico godimento possa offrire l’ascolto di una grande opera d’arte.
Infine la terza qualità, solo apparentemente scontata per un letterato: Orlando aveva capito cos’è e come funziona la letteratura. Non solo l’aveva capito; lo sentiva nel profondo, nella carne e nel sangue, in virtù di un’adesione e di un investimento personale nell’arte che poi sapeva valorizzarsi al servizio di un’intelligenza critica fuori dal comune. Vale a dire che il nucleo della sua proposta teorica non gli veniva da una somma di letture o di ragionamenti astratti, ma dalla comprensione di una parte profonda di sé; una parte con cui Orlando deve avere, credo, molto battagliato, ma il cui ascolto aveva dato origine all’intuizione di una letteratura, letteralmente, portatrice di desiderio, che è poi il primo passo che conduce al suo personalissimo impiego, in chiave formale, di Freud e Matte Blanco. C’era qualcosa di sensuale nella passione di Orlando per la cultura; un’energia che nasceva dalle opere che analizzava – era uno di quegli studiosi vecchio stile che si occupano pressoché esclusivamente di buona letteratura, e che credevano, ancora, alla centralità del letterario – e un’energia che alle opere, lette da lui, ritornava, come moltiplicata. Dalla percezione di un nesso tra la coerenza formale di ogni grande testo e la presenza, nel testo stesso, di un sottofondo desiderante nasce l’intuizione di un’ambivalenza sovrana della scrittura che si afferma, ancora una volta, nel Soprannaturale letterario, ma che dopotutto era già presente nel primo libro importante di Orlando. In Infanzia memoria e storia da Rousseau ai romantici, pubblicato nel 1966, la nozione di patto col lettore, ricavata dallo studio delle Confessioni di Rousseau, configura già, come ha notato Sergio Zatti, l’idea-chiave della formazione di compromesso, che prelude alle letture di Racine e Molière (1971 e 1979) e a Per una teoria freudiana della letteratura (1973). Risulta quindi precocemente delineata l’idea che la letteratura dia voce a istanze contraddittorie e profonde; che sia la somma di bisogni divergenti, tra dire e non dire – come al giovane Orlando suggeriva una lettura non superficiale di Mimesis. Prima ancora che spiattellare contenuti, l’arte esprimerebbe un’esigenza di tipo formale: l’esigenza di dare voce al mondo com’è, e insieme a ciò che è soffocato dal mondo com’è. La cosa cruciale che Orlando ha capito, e ci ha spiegato, è che – provo a dirlo brutalmente e forzando un poco – la letteratura non è votata al bene, e neppure al male, ma vuole il bene e il male contemporaneamente, e che questo soprattutto la distingue da altri saperi, fino a renderla quella forma di conoscenza specifica e insostituibile che sa essere.

(In questo nuovo Soprannaturale letterario, per inciso, l’ambivalenza è rappresentata dal rapporto, storicamente determinato, tra critica e credito al soprannaturale. Più profondamente, dal rapporto tra il bisogno di pensare razionalmente, o addirittura scientificamente, e il bisogno, opposto, di scappare dalla realtà, di abbandonarsi all’anarchia e all’irrazionalità del desiderio).

Ora, l’idea di una letteratura come congegno espressivo al servizio di un’ambivalenza irriducibile alle leggi etiche e logiche può sembrare semplice, o addirittura elementare, dopo che Orlando ce l’ha spiegata – sulla scia di una tradizione romantica e poi modernista con cui si sentiva in continuità. E in effetti i grandi scrittori l’hanno sempre saputo, che la letteratura non sta mai da una parte sola. Eppure si pensi a quanto pochi siano stati gli studiosi italiani che abbiano saputo spiegarlo con altrettanta chiarezza; soprattutto si pensi a quanto sia in effetti poco diffusa e condivisa quest’idea al presente. La distanza si verifica facilmente se proiettiamo le idee di Orlando non solo sul piano del senso comune, ma anche su quel che resta del dibattito letterario, e della ricerca teorica. L’uno e l’altra monopolizzati da letture che sempre più cercano nelle opere letterarie l’ affermazione pura e semplice di un’ideologia; come testimonianza di una sola matrice identitaria, di un solo ordine simbolico.
Che la letteratura, quando è davvero tale, sia un tipo di sapere non arruolabile a scopi civili; che ciò che non dice esplicitamente sia altrettanto o forse più importante di ciò che esplicitamente (e volontaristicamente) dice; che non sia mai solamente espressione diretta e coerente di un pensiero o di una morale, ma, sempre, l’esito di un conflitto invisibile – credo sia questa la lezione più importante di Orlando, e, al tempo stesso, paradossalmente, la meno assimilata. La cultura italiana conserva, nonostante tutto, questo fondo idealistico, per cui la letteratura deve stare dalla parte del Bene. Tutto sommato è stato sempre così; ma il guaio è che è sempre più così. La critica e ormai anche la teoria sempre più ridotte a una psicopolizia conformista e ottusa, incapace di tollerare la minima sottigliezza e la minima contraddizione.

- Gianluigi Simonetti - Pubblicato su Le Parole e le cose del 20/11/2017 -

[1] F. Orlando, Il soprannaturale letterario. Storia, logica e forme, Einaudi, Torino 2010, p. 52.

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