Come possiamo spiegare le origini della grande ondata di odio paranoico che appare inevitabile nel nostro mondo coeso - che va dagli sparatori americani e dall'ISIS a Donald Trump, dall'aumento di un nazionalismo vendicativo che attraversa il pianeta fino al razzismo e alla misoginia sui social media? In "Age of Anger", Pankaj Mishra risponde al nostro sconcerto rivolgendo il suo sguardo indietro, al 18° secolo, prima di riportarci al presente. Ci mostra che con il diventare moderno del mondo, quelli che non erano nelle condizioni di poter godere delle sue promesse - di libertà, stabilità, e prosperità - cominciarono a diventare sempre più sensibili ai demagoghi. I tanti che sono arrivati più tardi in questo nuovo mondo - che erano stati lasciati, o spinti, indietro - hanno reagito in una maniera spaventosamente simile: con un intenso odio nei confronti dei nemici inventati, nel tentativo di ricreare un'immaginaria età dell'oro, ed un'autovalorizzazione, per mezzo di una spettacolare violenza.
È stato fra i ranghi degli scontenti che sono nati i militanti del 19° secolo - giovani uomini arrabbiati che divennero nazionalisti culturali in Germania, rivoluzionari messianici in Russia, bellicosi sciovinisti in Italia, e terroristi anarchici a livello internazionale.
Oggi, proprio come allora, il grande abbraccio fra la politica di massa e la tecnologia con la ricerca della ricchezza e con l'individualismo ha scagliato miliardi di individui in un mondo demoralizzato, sradicato dalla tradizione eppure ancora assai lontano dalla modernità - con gli stessi terribili risultati.
Con i suoi sorprendenti collegamenti e confronti, "Age of Anger" è un libro di immensa urgenza e di profonda argomentazione. È una storia della nostra situazione presente diversa da qualsiasi altra storia.
(dal risvolto di copertina di: Pankaj Mishra: Age of Anger - A history of the present, Farrar, Straus and Giroux)
Mazzini rinasce a Calcutta
- di Carlo Pizzati -
Possiamo individuare le radici della crisi del cosmopolitismo e quelle del successo della demagogia populista nelle idee di Jean-Jacques Rousseau e dei filosofi tedeschi e le ispirazioni del nazionalismo nei paesi emergenti studiando Giuseppe Mazzini e Gabriele D’Annunzio. Così scrive Pankaj Mishra nel suo Age of Anger - A history of the present (L’età della rabbia - Una storia del presente. ed. Farrar, Straus and Giroux).
Saggista acuto e controverso, Mishra ha spesso analizzato i cambiamenti culturali della globalizzazione nei paesi non occidentali. Il suo nuovo libro colpisce nel segno parlandoci di una sorta di nuovo fascismo populista emergente ovunque.
Perché scrive che siamo a un ritorno della demagogia del Volk, a una nuova divisione culturale tra cosmopolitismo e nazionalismo?
«L’idea astratta del Volk o della “gente” fu un modo per rimpiazzare Dio e la monarchia: era un’entità che esercitava un potere sovrano incarnando un volere collettivo. Attorno a quest’astrazione si sono costruiti gli spazi politici del mondo moderno. Stiamo ancora lottando per definire che cosa sia la gente, poiché la gente in realtà è un concetto molteplice e diversificato. Nell’era della globalizzazione, che prometteva cittadinanza cosmopolita a tutti, ma poi l’ha garantita solo alle élite lasciando fuori molti che si sono sentiti imbrogliati, il fascino emotivo di quest’entità chiamata la gente è di nuovo cresciuto. La politica è di nuovo ossessionata dall’idea di ricreare l’unità culturale e ideologica della gente, di affermare il volere della gente».
Lei scrive che i conflitti attuali vanno spiegati studiando ciò che Nietzsche diceva del contrasto tra Voltaire e Rousseau: da un lato i rappresentanti delle élite vittoriose al potere e dall’altro la plebe retrograda. Siamo al ritorno della lotta di classe?
«Alexander Herzen diceva che quella occidentale è la civiltà di una minoranza privilegiata: “un banchetto della vita” dove le masse sono “commensali non invitati,” esclusi o oppressi. Le teorie economiche dicono che il capitalismo è soggetto a crisi periodiche di estrema ineguaglianza e non può distribuire i suoi beni a tutti quelli a cui li ha promessi, creando armate di schiavi del salario. Nietzsche vide questo problema in termini più filosofici e politici. Vide che Rousseau aveva lanciato una sfida formidabile ai difensori dell’Illuminismo, come Voltaire, che nel ’700 avevano beneficiato di un’ampliamento di libertà intellettuali e opportunità economiche delineando i principi della società mercantilista moderna».
In che modo, allora, la dialettica del ressentiment, o della frustrazione, di cui parla Rousseau, influenza chi oggi si sente abbandonato dall’economia globale? Qual è il ruolo dell’individualismo in rapporto alla violenza dei diseredati?
«Rousseau fu profetico nel capire che la società mercantilista basata sulla premessa della concorrenza e dell’emulazione si sarebbe esaurita e avrebbe corroso l’individuo moderno dal di dentro, creando una vita interiore intollerabile. L’individuo, obbligato a fare ciò che non gli piace o per cui non è adatto, come la gara per la ricchezza e lo status, si sarebbe riempito di ressentiment destinato a esplodere in demagogia e terrorismo. È la storia del mondo moderno».
Lei riconduce suprematisti bianchi come quelli che sostengono Trump in America e estremisti islamici come quelli dell’Isis alla storia di Gabriele D’Annunzio.
«D’Annunzio con l’impresa di Fiume nel 1919 delineò l’attrazione che tanti giovani e tanti frustrati provano per gli uomini carismatici e la violenza. Non possiamo ignorarlo quando pensiamo ai demagoghi nazionalisti, ai terroristi d’oggi. L’Italia tra fine ’800 e primi del ’900, quindi prima dell’avvento di Mussolini, è un caso illuminante di un Paese che fallisce miseramente nel mantenere la promessa della modernità liberale - democrazia, Stato-nazione, capitalismo industriale - e genera disaffezione accumulando un culto di violenza. Qualcosa che i fascisti erano meglio equipaggiati di tutti a sfruttare. L’Italia pre-fascista era uguale a tanti Paesi dell’Asia e dell’Africa d’oggi: con una vasta popolazione di giovani senza meta, appena emersi da società tradizionali e rurali».
Lei sostiene che le idee mazziniane di unificazione e uniformità continuano a ispirare i nazionalisti del mondo non occidentale.
«Sì, i nazionalisti indù hanno un’ascendenza italiana molto più profonda di Sonia Gandhi, che viene accusata dai fanatici indù d’essere una straniera in patria. Il loro teorico principale, Savarkar, era ossessionato da Mazzini e prese in prestito praticamente tutto dal pensatore italiano nella sua costruzione del nazionalismo indù come nuova religione dell’India. Mazzini fu un’ispirazione per i combattenti per la libertà in esilio, per i militanti e gli scrittori ovunque nel mondo non occidentale, in Cina, come anche nel mondo arabo. La sua influenza globale è davvero straordinaria. In un certo senso è più importante di Marx, perché la sua influenza è ancora presente nel nazionalismo contemporaneo».
- Carlo Pizzati - pubblicato su La Stampa del 15 dicembre 2016 -
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