Stiamo varcando una nuova frontiera nell'evoluzione dell’elaborazione dati, stiamo entrando nell'era dei sistemi cognitivi. La vittoria di Watson, il sistema di intelligenza artificiale sviluppato da IBM, al quiz televisivo Jeopardy! ha rivelato come ricercatori e ingegneri, in ogni parte del mondo, stiano spingendo i confini della scienza e della tecnologia fino a creare macchine che sentono, imparano, ragionano e interagiscono in modi inediti con le persone, dando loro suggerimenti e consigli. Con questo libro, Kelly e Hamm introducono all'affascinante mondo dei «sistemi cognitivi» anche i lettori non specialisti, aprendo una finestra sul futuro del computing. I sistemi cognitivi promettono di penetrare nella complessità e aiutare persone e organizzazioni a prendere decisioni migliori. Possono supportare i medici nella diagnosi e nella cura dei pazienti, aumentare le prospettive di analisi, prevedere i maggiori eventi meteorologici e contribuire a progettare città più intelligenti. Di questa tecnologia gli autori descrivono aspetti interni ed esterni, spiegandoci come ci aiuterà a capire e dominare i «big data», una delle più grandi sfide nell'elaborazione delle informazioni che imprese e governi dovranno affrontare nei prossimi decenni. Coinvolgente e appassionato, il libro ispirerà decisori pubblici, università e imprese tecnologiche di tutto il mondo a lavorare insieme per alimentare questa eccitante ondata di innovazione.
(dal risvolto di copertina di John E. III Kelly e Steve Hamm: Macchine intelligenti. Watson e l'era del cognitive computing, Egea)
Storytelling di una tecno-utopia
- di Mumerico -
Nel Frammento sulle macchine (1858/1859) Marx definisce il rapporto tra macchine come lavoro oggettivato e appropriazione del lavoro vivo dell’operaio da parte del capitale. Per molti aspetti questo testo fornisce una chiave di interpretazione per il libro di John E. III Kelly e Steve Hamm, Macchine intelligenti (Egea, pp. 144, euro 17). Marx descrive l’azione della scienza che costruisce le macchine: piuttosto che di invenzione, si tratta della dissezione dei comportamenti umani, resi così elementari da essere facilmente catturabili e quindi simulabili da una macchina. Ho sempre pensato che Marx qui anticipi Alan Turing quando nel 1936 sostiene l’equivalenza della sua «Macchina» – che costituisce il disegno teorico del computer – con il lavoro di un essere umano che calcola, articolando la sua azione in una successione finita di passi così semplici da essere sintetizzati in forma di istruzioni o comandi che chiunque, anche una macchina, può eseguire.
L’autore del «Capitale» affronta, inoltra, il nuovo ruolo del lavoro vivo quando le macchine esauriranno gran parte dei processi produttivi. Il lavoratore non parteciperà più alla creazione concreta della merce, ma sarà solo sorvegliante e controllore della produzione. Questo passaggio è riprodotto da Joseph Licklider, informatico e teorico della rete Arpanet negli anni Sessanta. Nel 1965 in un libro sul futuro delle biblioteche (The future of libraries), sosteneva che la produzione di sapere sarebbe stata il frutto di una simbiosi tra uomo e macchina. In questa simbiosi la gestione materiale e l’organizzazione dell’insieme delle conoscenze sarebbe stata appannaggio della macchina, mentre l’essere umano sarebbe solo stato il governatore del processo e un facilitatore senza alcun ruolo attivo. Licklider sperava comunque che l’uomo avrebbe conservato la capacità di intuizione in qualche caso, ma in generale avrebbe supportato la macchina nella produzione di sapere, non più di merci.
Licklider anticipa il discorso sulla ricerca, ma soprattutto la retorica intorno ai Big Data, ai quali Macchine Intelligenti dedica un intero capitolo. I due autori – che a Licklider si rifanno esplicitamente – appartengono al mondo Ibm: John E. III Kelly è Senior Vicepresident di Ibm Cognitive solutions, mentre Steve Hamm all’epoca della stesura del testo era il chief storyteller dell’Ibm.
La tesi del libro è che stiamo vivendo un cambio di paradigma nell’ambito delle macchine intelligenti e i sistemi cognitivi sarebbero il futuro, al quale aspiriamo. Ma non è chiaro completamente se questi sistemi rappresentino un salto di paradigma, o se siano solo una generazione più moderna delle attuali macchine in funzione, come Watson, il computer dell’Ibm che ha sconfitto i concorrenti umani a Geopardy, un quiz televisivo molto seguito negli Stati Uniti.
In un mondo complesso – si afferma – gli esseri umani non possono essere soli a prendere le decisioni. I sistemi che le prenderanno si saranno addestrati a contatto con umani in formazione, per esempio studenti di medicina, per imparare a simularne le tecniche di apprendimento, avendo a disposizione milioni di dati di casi utili per la diagnosi in corso. Una sorta di nuova cattura del ragionamento, invece che dei movimenti umani, ai fini di semplificarne la procedura e reiterarla attraverso l’analisi delle ingenti masse di dati a disposizione.
Come già sosteneva Licklider, in questo modello la quantità di dati disponibili trasformerà completamente l’efficienza cognitiva nella presa di decisione, producendo un cambio di marcia che metterà la macchina in grado non solo di archiviare e conservare, ma anche di selezionare i dati utili per ogni scelta. Le macchine svolgeranno l’analisi e la lettura di informazioni e trattati, perché gli umani non saprebbero gestire l’eccessiva quantità di informazione.
I due autori non chiariscono se i sistemi cognitivi, di cui parlano, sarebbero ancora all’interno del modello della macchina di von Neumann (il modello del calcolatore, attuale, per intenderci) oppure no. Ma se fossero oltre quel modello bisognerebbe chiarire meglio come garantirebbero l’affidabilità, soprattutto in presenza di dati così ingenti.
Si allude al calcolo parallelo come a un possibile superamento del modello sequenziale introdotto da von Neumann e alla ricerca su una macchina che adotterebbe la computazione quantistica per il proprio funzionamento. Ma questi interrogativi tecnici restano progetti di ricerca pieni di incognite ancora senza risposta, conditi dall’agiografia di manager e ricercatori Ibm che sembrano cavalieri della tavola rotonda senza macchia e senza peccato, di cui si narrano le gesta per il recupero del sacro Graal. Ovvero la soluzione la cui esistenza si ipotizza, ma per ora ancora introvabile.
Una cosa sembra chiara nel progetto dei sistemi cognitivi: c’è una crisi in corso. Al di là di tutta la retorica che lo storyteller capo mette in atto per schivarla, la crisi è quella della legge di Moore che prevede che ogni anno e mezzo si ottenga il raddoppio delle possibilità computazionali mantenendo inalterati gli spazi dei chip. Il silicio è al limite. Il grande progetto capitalistico di uno sviluppo senza fine sembra essere arenato o prossimo a rallentare notevolmente.
Non si può crescere senza mai fermarsi, non lo può fare l’economia, né i materiali per quanto sofisticati essi siano. La materia presenta il conto. il filosofo Herbert Marcuse direbbe che la natura è il limite di ciò che la tecnica non riesce a controllare. L’abbondanza infinita è una chimera e la crescita permanente un mito della retorica instancabile del capitale. Inoltre le capacità cognitive del cervello umano racchiuse in uno spazio poco più grande di un pompelmo e che consumano scarsissima energia sono ben lontane dalle prestazioni di tutti i sistemi cognitivi presenti e anche di quelli oggetto di ricerca futura, come ammettono gli stessi autori del libro.
Resta l’idea di catturare le capacità cognitive umane nella macchina. Ma diversamente da quando la tecnica catturava i movimenti ripetitivi della produzione materiale, qui la cattura riguarda i meccanismi umani per la presa di decisione, l’incertezza e l’instabilità che scelgono la soluzione in casi difficili. Il problema è che non esiste un unico sistema di ragionamento, altra chimera delle macchine intelligenti, non c’è una categorizzazione unica possibile.
Sistemi descritti nel libro come gli analytics pervasivi che dovrebbero aiutare le persone a orientarsi nella realtà di tutti i giorni o i cognitive enterprise lab che servirebbero a favorire la presa di decisione in situazioni complesse appaiono meccanismi accentratori, le cui capacità programmate in maniera opaca somigliano a una minaccia di normalizzazione rispetto alla diversità e variabilità dei criteri di valutazione umana.
Solo i nomi attribuiti a questi strumenti fanno rabbrividire e tradiscono la dimensione commerciale e l’interesse per una psicopolitica di controllo sugli individui. Rendere elementari i movimenti in una catena di montaggio per farli svolgere dalle macchine può avere un carattere liberatorio, a certe condizioni, automatizzare le decisioni degli esseri umani in tutti i campi, inclusa la ricerca e la conoscenza, sembra il disegno ricattatorio di uno di quei cattivi di Hollywood che il buono di turno riesce presto o tardi a sventare, per la gioia degli spettatori. Non è neanche molto chiaro quali siano i benefici che i sistemi cognitivi già in funzione e quelli che verranno dovrebbero portare all’umanità.
Aspettiamo un nuovo capitolo dell’infinito storytelling Ibm per maggiori dettagli.
- Numerico - Pubblicato su Manifesto dell'8 aprile 2017 -
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