martedì 16 maggio 2017

Demoni e non

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Un giovane procuratore fa un incontro che gli cambierà la vita: uno scrittore che sta scontando la sua pena. Il suo nome è Fedor Dostoevskij.  Dopo "Anime baltiche", Jan Brokken svela un altro sodalizio maledetto.
(dal risvolto di copertina di: Jan Brokken, Il Giardino dei Cosacchi, Iperoborea, euro 18,50)

L'amico del demone
- di Michele Mari -

«Il destino mi ha fatto incontrare una persona eccezionale, sia per gentilezza d'animo che per qualità intellettuali; è il nostro giovane e sfortunato scrittore Dostoevskij»; «Ho preso a volergli bene come ad un fratello e lo rispetto come un padre»: così il barone Alexander Igorovic von Wrangel scrivendo rispettivamente al padre e alla sorella nel 1855, dalla piccola cittadina siberiana di Semipatalinsk ( e Dostoevskij, a sua volta: «Per me è come un fratello»). Giovane procuratore distrettuale appena giunto a San Pietroburgo, Wrangel fu subito attratto da Dostoevskij, che dopo aver scontato quattro anni di lavori forzati con la palla al piede (pena in cui era stata commutata la condanna a morte per cospirazione) doveva scontarne altri quattro come soldato.
Schivo e modesto, quasi selvatico, lo scrittore vive ai limiti della sussistenza in una catapecchia a riddosso della caserma, e affascina Wrangel per la profondità della sua pur laconica conversazione; sta scrivendo le "Memorie dalla casa dei morti", e la sua conoscenza del mondo criminale sembra più estesa di quella dell'uomo di legge, che poco a poco lo adotta: prima regalandogli generi di prima necessità, poi ospitandolo a casa propria, infine portandoselo nella dacia nota come "Giardino dei Cosacchi". Qui i due amici si danno al giardinaggio e parlano di letteratura e politica: ma dopo che, debitamente ripulito e vestito, lo scrittore sarà stato introdotto in società, l'argomento principale diventano le donne: entrambi innamorati, si scambiano confidenze e consigli che, anche per via epistolare, copriranno oltre un quindicennio di vita.
L'amore di Dostoevskij, è noto, riguardava Marija Dmitrievna, che dopo essere rimasta vedova e avere a lungo traccheggiato lo avrebbe sposato due anni più tardi: peraltro quelle nozze furono funestate da un gravissimo attacco di epilessia durante la prima notte, cosa che allontanò per sempre la donna dal corpo del marito. Rientrato a San Pietroburgo (nel frattempo allo zar Nicola è succeduto Alessandro II) Wrangel si prodiga perché a Dostoevskij venga concessa la grazia, che arriva nel 1859, a quasi dieci anni dalla condanna. Dostoevskij può così tornare a pubblicare (in precedenza, disperato, aveva proposto all'amico di firmare i testi al proprio posto!), e uno dopo l'altro appaiono le "Memorie dalla casa dei morti", "Umiliati e offesi", "Delitto e castigo", "L'idiota", "I demoni" e "I fratelli Karamazov".
Leggendoli, Wrangel ritroverà le antiche conversazioni («Quando leggo i romanzi di Dostoevskij, le parole si mescolano ai ricordi»; «Tutto quello che abbiamo vissuto insieme ha trovato posto nei suoi romanzi»), anche perché il suo rapporto con lo scrittore, inaridendosi progressivamente, è sempre più legato al passato; ad un certo punto è lo stesso Dostoevskij a coniugare solo al passato quell'amicizia: «Voi, che siete stato mio amico in un tempo in cui non avevo amici, che siete stato testimone della mia infinita felicità e della mia tremenda sofferenza; voi, che siete stato mio amico e in seguito il mio paladino - potrei mai dimenticarmi di voi?».
Al presente, lo scrittore, sempre più schiavo del demone del gioco, assilla l'amico con continue richieste di denaro (il più delle volte mai restituito), e l'impressione è che, venute meno due condizioni fondamentali come il comune innamoramento e la condivisione della solitudine siberiana, i due antichi sodali fossero destinati a divenire due estranei.

«Estranei» è anche l'ultima parola del "Giardino dei Cosacchi", il libro dedicato dall'olandese Jan Brokken all'amicizia fra Dostoevskij e Wrangel, documentata da una quarantina di lettere e da testimonianze d'archivio scrupolosamente indagate. Saggio biografico o romanzo? L'autore, in una postfazione, si augura che il testo sia letto «come un romanzo», confidando che a tanto il lettore sia indotto da un espediente grammaticale: grazie alla prima persona, infatti, il racconto viene attribuito direttamente a Wrangel. Apparentemente, la situazione narrativa è la stessa di "Lord Jim", dove Conrad si serve di un personaggio, Marlow, per parlare di un altro personaggio, Lord Jim: solo apparentemente però, perché nel romanzo conradiano il protagonista è Lord Jim, mentre qui, a dispetto delle intenzioni, il protagonista è il procuratore legale, i cui amori, la cui carriera, i cui viaggi (che occupano complessivamente più di due terzi del testo) appaiono al voyeur dostoevskijano come una zavorra o un'occasione mancata.
Che il focus sia questo è confermato anche dalla recidività, visto che in precedenza Brokken aveva dedicato il suo libro più noto, "Anime Baltiche", ad una pronipote dello stesso Wrangel, figura che un più avveduto istinto narrativo avrebbe utilizzata come vettore privilegiato per osservare da vicino un artista mumentalizzato nella sua stessa malattia e nei suoi stessi squilibri; un artista le cui tempeste erano tutte interiori, e la cui vita, al contrario, si sottraeva ad ogni maledettismo di maniera («spirito maligno» nella fantasia, azzarda Wrangel-Brokken, «nella vita reale si comportava come un santo»), cosa che lo portava a compatire tutti tranne sé stesso, e a sopportare la condanna con stoica rassegnazione, zuppa di cavolo con scarafaggi compresa.

- Michele Mari - Pubblicato su Robinson del 4 dicembre 2016 -

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