lunedì 10 agosto 2015

Il terrore del tempo astratto

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C'è vita dopo il Mercato?
- Riflessioni sulla trasformazione del sistema produttore di merci -
di Robert Kurz

Se il socialismo di Stato ha costituito un tentativo di società post-capitalistica, allora il suo collasso rende ogni critica elementare del capitalismo uno sforzo inutile, che sarebbe meglio non intraprendere. Una simile conclusione è stata tratta dalla maggior parte degli intellettuali della vecchia Germania Orientale, così come dalla maggioranza dei critici sociali di sinistra occidentali, dal partito dei Verdi, ecc.. Molti di loro sostengono di esercitare ancora la critica del capitalismo, seppure solo dentro l'orizzonte del modo di produzione capitalista stesso. Il problema non è stato elaborato storicamente; quel che si è fatto, è stato ingoiare amaro e rivenderlo come "realismo": senza giusti "prezzi", redditività. ecc., non c'è via d'uscita. La capitolazione incondizionata davanti ai ciechi criteri normativi e sistemici del mercato riduce forzatamente la critica sociale ad un innocuo campionato di palliativi: un pochino di pace, un pizzico di compatibilità sociale. Se invece il socialismo di Stato ha costituito essenzialmente un progetto di "modernizzazione ritardata", nell'Est e nel Sud del pianeta, alla cui origine si trovano i problemi del sottosviluppo capitalista, allora tale socialismo era assolutamente incapace di formare una società post-capitalistica. Innanzi tutto, a partire da tali presupposti, esso rifletteva il problema dei ritardatari storici nel moderno sistema produttore di merci, che, nella migliore delle ipotesi, era ancora incapace di recepire quest'orizzonte. Lenin, inoltre, sapeva tutto questo, nella misura in cui all'epoca poteva essere percepito. Solo più tardi il problema venne ideologizzato a vantaggio dell'auto-affermazione.

1. L'uomo è un essere che guadagna denaro?
Quale sarebbe allora il vero superamento del capitalismo, ora non più determinato dal problema dei ritardatari storici, ma piuttosto dal supersviluppo della stessa economia mondiale di mercato? Logicamente, dovrebbe essere la trasformazione del sistema produttore di merci in un modo superiore di socializzazione, senza le forme feticiste della merce e del denaro. Era questa la concezione fondamentale di Marx, per cui viene ancora qualificato di semplicista - proprio dai vecchi rappresentanti dello "apparato ideologico" del marxismo. E' così che oggi, tanto a sinistra quanto la borghesia, eternizzano un modo di vita e di produzione che, in quanto totalizzazione della forma merce, costituisce in realtà solamente un piccolo periodo della storia umana. La coscienza moderna del "guadagnar denaro" viene puramente e semplicemente stilizzata come forma eterna della coscienza umana. Il fatto per cui il superamento (Aufhebung) del denaro e della merce appare un assurdo e, per così dire, una chimera - oltre al fatto per cui coloro che disprezzano tale idea possono sentirsi in tacito accordo con la coscienza delle masse - rivela solo il partito preso, legato ad un sistema di coordinate storiche comune, che appare confondersi con l'identità stessa nella quale siamo stati tutti socializzati (gli intellettuali in forma teorica, inclusiva). Una critica che tocchi soltanto questo nucleo, non sarebbe effettivamente inutile soltanto ad una condizione: che la società mercantile totale, per mezzo della sua propria sistematicità cieca, si trovi immersa in una crisi irrevocabile. E' proprio la sinistra che non vuole né vedere, né sentire, né parlare di questo (i gesti delle famose tre scimmiette); a tal fine, viene evocata la fiducia cieca nella pretesa "eterna capacità di adattamento" del capitalismo. Ma se la realtà si appoggiasse all'ignoranza della grande coalizione dei "realisti"? Quando sopravverrà la grande, tanto peggiore per il centro della produzione di merci della "società del lavoro". Dateci "lavoro"!, esigono le persone; e la classe politica, i sindacati ecc. si accapigliano solo su come fare per creare "posti di lavoro" e su come possa essere mantenuta "la posizione della Germania". Il riferimento, tuttavia, non è la semplice attività produttiva e vitale delle persone, ma, tacitamente, la trasformazione del "lavoro astratto" (Marx) della produzione di merci in denaro, cioè, in salario e in profitto. Prima di 150 anni fa nessuno considerava questo come normale. Non solo a causa dei bassi salari e delle terribili condizioni di lavoro, ma perché ci voleva un tremendo coraggio per entrare alle sette o alle otto in punto un un brutto edificio col terrore di dover "lavorare" fino a notte, in un contesto che non si definiva per mezzo di obiettivi autonomi e comuni, ma per mezzo di un piano statale e/o per mezzo delle leggi anonime del mercato. Perfino dai servi e dagli schiavi non si esigeva tutto il tempo di vita per delle attività aliene, ma soltanto una parte. Il "lavoro", nel senso attuale (determinato da altri in vista del denaro) sarebbe stato visto come una sorta di infamante prostituzione.

D'accordo, abituiamoci a fare le prostitute della produzione di merci e ad offrire quotidianamente il nostro corpo al lavoro astratto. La contropartita storica è stata un ampliamento delle necessità: veicoli, turismo, lavatrici, televisori, segreterie elettroniche. Nella nuova disoccupazione di massa, però, ci viene sempre più negato lo stesso auto-prostituirsi, e, naturalmente, anche le gratifiche di consumo (nuova povertà). Sia la sinistra che i borghesi sperano che ancora una volta si tratti di una paralisi momentanea del processo di valorizzazione del denaro, che presto un nuovo "modello di accumulazione" annuirà con un sorriso. Avverrà in breve tempo, insomma, per mezzo di un aumento della produttività. E per mezzo di che cosa verrà aumentata la produzione? Per mezzo della razionalizzazione. Ora, i posti di lavoro non vengono eliminati proprio a causa della razionalizzazione? Sembra ci sia qualcosa in contrasto con tutto il resto.

2. Il collasso del "lavoro"
A partire dai primi grandi successi della razionalizzazione nella fabbrica di automobili di Henry Ford, al principio del 20° secolo, il settore più razionalizzato nella sua esecuzione fu la stessa attività lavorativa umana (taylorismo, catena di montaggio ecc.). Solo così i beni prodotti per il mercato divennero talmente convenienti da poter diventare consumo di massa. L'incipiente produzione "fordista" per le masse, non aveva bisogno di meno salariati, anzi al contrario; il risparmio di tempo nelle specifiche sezioni di lavoro vennero di molto sorpassate dall'ampliamento dei mercati. Dalla metà del 20° secolo, si impose in questa maniera la "razionalità imprenditoriale" dell'economia di mercato (prima, soltanto un segmento sociale) come forma di riproduzione totale. Se fino ad allora il lavoro salariato e l'economia di mercato erano ancora impregnati di altre attività riproduttive (domestiche, comunali, ecc.) non fondate - per lo meno al principio - sul denaro, la logica del nesso "lavoro"-denaro-consumo divenne, da parte sua, la normalità senza eccezione per le masse. Fin dall'inizio degli anni 1980, però, la concorrenza del mercato mondiale diede alla luce un nuovo tipo di razionalizzazione, il cui supporto tecnico-scientifico è la microelettronica. Ora, la forza lavoro umana non è più razionalizzata nella sua attività; per prima cosa, gli "occupati" vengono sempre più sostituiti dai robot, sistemi di precisione guidati dall'informatica (produzione snella). Con l'esatta inversione del vecchio processo, la razionalizzazione comincia ad eccedere in maniera costante l'ampliamento (sempre ecologicamente precario) dei mercati. Per questo siamo alle prese con una disoccupazione di massa, strutturale e perenne, e non ciclica o temporanea. Di ciclo in ciclo, cresce la "disoccupazione di base", senza che si apra alcuna prospettiva di soluzione.

Questo processo di crisi non è soltanto sociale, ma è anche frutto della stessa accumulazione del capitale, poiché il denaro non "è" altro che "la forma di esposizione" (Darstellungsform) del lavoro morto, ed il capitale non "è" nient'altro che il movimento di valorizzazione del denaro capitalizzato. Con l'eliminazione del "lavoro" da parte della razionalizzazione, il capitale assorbe la sua stessa sostanza, in maniera simile alla nuova malattia emersa in Inghilterra a causa dei batteri assassini che assorbono il tessuto cellulare. Alla superficie del mercato, gli imprenditori si rendono conto di questo, percependo il fatto che i robot e le strutture in rete non comprano assolutamente niente. La contraddizione assurda di un sistema che arriva a produrre sempre più beni con sempre meno "lavoro" - anche se l'appropriazione di questi beni rimane legato esclusivamente al potere di acquisto (denaro) e, pertanto, alla capacità di consumo "da reddito" - entra nel suo stadio maturo. Il punto critico non verrà raggiunto soltanto quando l'ultimo lavoratore produttivo in termini di capitale spegnerà la luce, ma ovviamente molto prima, nella misura in cui l'enorme stock di capitale non potrà essere, per molto tempo, valorizzato a sufficienza dalla diminuzione autoprodotta di "sostanza" del capitale. La trasformazione della disoccupazione ciclica in disoccupazione strutturale corrisponde alla trasformazione della "sovraccumulazione" ciclica del capitale in sovraccumulazione strutturale. Con questo, il sistema raggiunge il suo limite storico assoluto.

3. Dalla crisi dell'esportazione all'amministrazione della povertà
Questo chiaro limite del sistema può essere aggirato sul mercato mondiale (soprattutto dai più forti paesi capitalisti) per mezzo della "esportazione di crisi". A partire dagli inizi degli anni 1980, la crisi è stata parzialmente scaricata sui ritardatari storici del capitale debole, per mezzo della concorrenza globale (prezzi di importazione-esportazione). Il socialismo di Stato e gran parte del Terzo Mondo sono stati vittime di un collasso economico, giacché non hanno potuto tenere il passo al ritmo della produttività del capitale intensivo, seppure, in accordo con la propria forma, dovessero misurarsi con i criteri del sistema produttore di merci. Ora, con l'impoverimento e l'isolamento forzato di buona parte dell'economia mondiale guidata dalla forma merce, il processo di crisi si estende agli altri concorrenti in una spirale sempre più stretta.

In questo quadro non importa chi stia in questa o in quella costellazione di vincitori o di perdenti: la crisi globale di struttura rimane la stessa. Alla fine, l'accumulazione di capitale deve ridursi sostanzialmente, per così dire, alla dimensione di un tappo di birra. Il risultato è chiaro: dappertutto, ivi inclusi gli stessi centri occidentali, una parte vertiginosamente crescente della popolazione si vede esclusa da ogni riproduzione umanamente degna - le loro vite vengono sacrificate ai criteri feticisti della produzione di merci. Questo non a causa di malvagità soggettiva, ma perché si tratta di una follia universale del sistema. Le reazioni a questa chiara follia dell'economia di mercato sanno di panico generalizzato. Per salvaguardare il reddito monetario, si costringe addirittura a "lavori" assurdi e nocivi per la pololazione; le eco-tasse vengono abbassate al minimo, la distruzione del mondo accelera. La sinistra ed il Partito Verde, consegnati ai criteri dell'economia di mercato, devono pregare che l'accumulazione del capitale possa di nuovo ricominciare.

Quando in campo economico regna il debito, infallibilmente riecheggia il lamento da parte dello Stato e da parte della "configurazione politica" della catastrofe dell'economia. Ma dal momento che si tratta di una crisi del sistema, essa raggiunge tanto il mercato del lavoro e delle merci quanto lo Stato, nella sua condizione di istanza centrale secondaria della produzione di merci totalizzata. Lo Stato non possiede, infatti, alcun mezzo proprio di azione, in quanto deve esporre il suo "potere" e le sue misure sociali ed ecologiche per intermediazione del mercato, nella forma del denaro. Indebitamento eccessivo ed emissione di moneta senza una copertura sostanziale conducono soltanto all'iper-inflazione (oggi, "situazione normale" nella maggioranza dei paesi). In questo modo, però, la sinistra aggrappata al mercato si mette in una situazione imbarazzante. In realtà, non ha mai imparato niente di diverso dal dirigismo statale, o dalla distribuzione di rendite. La fine del canto doveva per forza essere la collaborazione infamante con l'amministrazione antisociale della povertà nel nome del terrore del finanziamento, al cui sortilegio i leader "realisti" del Partito Verde appaiono ora consegnati. Quando non si può più fare a meno di notare il pistone fuso della macchina del conio, allora viene alla luce una problematica da molto tempo sotterrata, che si fa gioco di ogni "realismo" di matrice merceologica: gli uomini devono assumere il controllo delle loro proprie vite, controllo che è stato perduto a favore del mercato e dello Stato. In realtà, negli ultimi 200 anni la dipendenza personale nei confronti del signore feudale è stato solo sostituita dalla burocrazia statale nelle varie dittature devote alla modernizzazione. L'ideologia (neo)liberale, da parte sua, ha promosso l'autonomia umana attraverso il mercato. Oggi, è dimostrato che la dittatura - senza soggetto - del denaro esclude con ancor maggior ragione l'autonomia e fa abortire le iniziative individuali, in quanto le sottomette alla legge della redditività. La maggior parte dell'umanità attuale è diventata purtroppo poco redditizia. Le imposizioni del mercato e la burocrazia statale sono le due facce della stessa moneta. La via d'uscita da una simile miseria può essere formulata solamente in termini generali: è imprescindibile lo sviluppo delle attività umane, comuni alla società, e delle forme di riproduzione al di là del mercato e dello Stato. Per questo, sono necessari tentativi pratici ed un nuovo quadro teorico interdisciplinare, con l'obiettivo di trasformare la crisi storica del sistema produttore di merci in un superamento (Aufhebung) positivo. Chi non cerca, non trova. La trasformazione del sistema non rimarrà a disposizione come un offerta a basso costo al supermercato.

Ora che la pressione della crisi ha già eroso le strutture della società mercantile, chi intende condurre una vita al di là del salario e del successo sul mercato sembra fermarsi impotente di fronte ad un muro nero. Questa trasgressione del tabù viene approvata con malizia e con il tono grave del consenso ai criteri dominanti del sistema da parte della coscienza confusa del clan dei filo-feticisti - coscienza questa che si limita, di buon grado, alla redditizia produzione-bolla di sapone ("nuova politica industriale", "regolamentazione democratica", "attuali programmi congiunturali" o perfino "secondo gli interessi tedeschi"). Nella sua versione seria, non deriva dalla rappresentazione militante di nessuna clientela e di nessuna lobby sul campo di battaglia della lotta cieca e feroce della concorrenza: egoismo corporativo ed imprenditoriale, patriottismo regionale e ferocia sociale pullulano come ferite sull'epidermide della società. E la parola d'ordine senza mezzi termini è: o Dio, rendici più ricchi e lascia gli altri per terra!

4. Lo scollamento fra tempo e denaro
Ovviamente, sarebbe irragionevole, nell'attuale situazione di "ripartenza da zero" nella quale si trova il discorso teorico e politico, annunciare la scoperta della pietra filosofale. Bisogna dare prima una soluzione al problema di un progressivo scollamento nel legame della trinità lavoro-denaro-consumo di merci. La "liberazione del tempo" è da molto tempo la parola d'ordine, senza che i suoi protagonisti (Oskar Negt, ad esempio) siano mai stati capaci di slegarsi dal "lavoro" sotto forma di merce e di denaro. La prassi sociale, nel frattempo, ha dato luogo al dibattito sulla riduzione della giornata lavorativa senza riduzione salariale, cioè, la giornata parziale. Con questo, il sistema non viene salvato, poiché la razionalizzazione non viene fermata e la diminuzione del reddito perpetua il ciclo di crisi. Ma non si tratta di una semplice impudenza capitalista, come il salario ridotto per giorni interi (oppure il lavoro forzato per i beneficiari della Previdenza Sociale). In realtà, alla riduzione di salario corrisponde una compensazione; più "tempo disponibile". Chiaramente, causa mancanza di denaro, il tempo guadagnato non può essere riempito (conformemente al modello fordista) con la follia del consumo e con gli infantili giocattoli tecnologici. Ma, proprio per questo, esso farebbe spazioe a quelle attività autonome, al di là del Mercato e dello Stato.

Non si tratta quindi di una rottura apparentemente radicale in alcuni comuni isolati, come viene proclamato da Rudolf Bahro. Una simile alternativa rimarrebbe assolutamente senza alcuna mediazione in termini socio-politici e rischierebbe di essere su base settaria. Lo scambio di tempo disponibile contro un ridotto reddito monetario, al contrario, non sospende la mediazione sociale in crisi. Il terreno del lavoro salariato non viene semplicemente abbandonato alla sua propria sorte, ma rimane, come in una strategia duplice, a disposizione di azioni (per esempio, compensi salariali per gruppi a basso reddito, equiparazione delle donne, partecipazione alle conquiste sociali del lavoro parziale anziché impieghi precari senza garanzie, ecc.).

All'inizio, quali riproduzioni sociali potrebbero essere organizzate come autonome, non più mediate dal denaro? Due idee di base forse possono servire da punto di partenza. In primo luogo: se il mercato ha preso slancio solo progressivamente, in un processo storico,  su tutte le mediazioni sociali, di modo che alcune di queste articolazioni potevano essere ritirate, semplicemente, senza che le persone eludessero la socialità. In secondo luogo, il cambiamento deve iniziare nella sfera individuale ed essere praticamente tangibile nel quotidiano. Un esempio aleatorio: una comunità di acquisto che elimini i passaggi dell'intermediazione commerciale (e può rispettare la qualità sensibile ed ecologica meglio dell'individuo) è un piccolo passo di svincolo dalla logica ambigua del denaro. André Gorz suggeriva qualcosa di simile per i settori come l'educazione infantile e la cura degli anziani, oltre alla produzione di alimenti, riparazioni, attività culturali, ecc., L'autoamministrazione e l'autosufficienza non guidate dalla forma merce dovrebbe essere il principio direttivo. L'importante è che tali sfere non escludano le donne, e che vengano suddivise fra entrambi i sessi.

E' un peccato che in Gorz, le attività autonome, la cui matrice non è la forma merce, siano indirettamente dipendenti dal denaro, dal momento che egli suggerisce, per mezzo di un modello di sovvenzione (statale), la riduzione della giornata di lavoro senza nessuna perdita salariale. Con questo, il tacito presupposto è l'accumulazione di capitale e la posizione del proprio paese come vincitore sul mercato mondiale, ossia, sarebbe, in ultima istanza, una sovvenzione a spese dei perdenti del resto del mondo. Nella crisi, questo modello è insostenibile. Inoltre, Gorz è costretto a mantenere perfettamente intatto il "lavoro" capitalista nelle grandi strutture reificate (il suo progresso, di fatto, deve finanziare, indirettamente, il tutto). Le attività autonome, la cui matrice non è la forma merce, assumono così come un carattere di hobby poco serio. Bisogna appunto far sì che tali attività si svincolino sostanzialmente dal denaro, ma non appaiano secondarie ed inferiori - mere misure di emergenza o semplici passatempo - ma semmai una prospettiva di sviluppo dotata di forza propria.

Soprattutto, però, la trasformazione non può fermarsi qui. Si tratta solo di puntare i piedi per superare la paralisi della critica pratica del sistema totalizzato di mercato. Le persone di già indipendenti, con i piedi ben piantati nelle attività comunitarie auto-amministrate, possono allora procedere alla critica sociale ed ecologica della macrostruttura capitalista, con cognizione di causa. La produzione distruttiva del mercato mondiale non può continuare così. Tra le attività autonome ci sono anche la critica sociale e la resistenza pratica. E' anche inclusa la discussione sui costi ecologici e sociali del sistema, così come l'indagine critica (anche primaria) del processo di riproduzione materiale, spesso assurdo, richiesto dalla logica della merce. Le attività di riproduzione non più mediate dal denaro potrebbero, così, essere intrecciate alla critica ecologica e ad altre iniziative (Terzo Mondo, anti-razzismo) in una nuova trama critica del capitalismo.

5. Il deserto permane
La critica della forma merce totale ha sempre brillato nella storia dell'affermazione del sistema, senza lasciare nient'altro che tracce. Il denaro liberato può così crescere a volontà, in quanto la sua propria logica ancora non si è esaurita - sia per mezzo delle spore delle dittature di modernizzazione tardiva, sia con le coccole delle gratifiche del consumo. Tutta la critica della mediazione monetaria e della forma merce sembrava risalire alla primitiva economia contadina e ai vecchi legami di sangue, come unità di produzione carente di necessità e repressiva. Ancora oggi, l'esigenza della critica del denaro viene respinta per mezzo di tali riferimenti. Nell'attuale stadio di crisi del sistema, però, questi sono argomeni omicidi ed irriflessi. Nel frattempo, lo stesso processo di sviluppo capitalista ha dato origine a quei potenziali che permettono di riformulare la vecchia questione.

Gli stessi agenti sono stati da molto tempo individuati dal capitalismo, a tal punto che non c'è più bisogno di parlare di un regresso alla comunità contadina e alla riproduzione sulla base della parentela di sangue. Ma la sofferenza causata dalla individualità astratta dell'uomo mercificato crea nuove forme di socialità, nelle quali si riuniscono le persone individualizzate: gruppi di mutuo soccorso, comitati di condominio, iniziative civiche, gruppi di quartiere, associazioni culturali, ecc.. Se in queste forme già esistente l'individualità viene rispettata e non sorge alcun terrore psicologico, possono diventare un'alternativa sia alla tutela burocratica dello Stato che alla solitudine lupesca del denaro. E' necessario mobilitare queste forme e infondere in esse la critica sociale, perfino costringendole ad abbandonare il loro carattere di hobby o di passatempo ed organizzandole come vere e proprie sfere riproduttive, fuori dalla logica del denaro.

Allo stesso tempo, a causa delle nuove forze produttive, diminuiranno le possibilità di ricaduta nei vecchi mezzi primitivi. Anticamente, si poteva immaginare la socializzazione solo come un grande apparato, uno spazio gigantesco di amministrazione burocratica con la sua enorme macchina. Al contrario, la microelettronica oggi ha creato una miniaturizzazione tecnologica ed informatica che può essere applicata alle varie fasi produttive, anche quelle in piccola scala. Insieme a questo, l'ecologia ci fornisce piccoli modelli di riproduzione in rete, come alternativa alla socializzazione grossolana della coppia Stato-Mercato. La critica della forma merce e del denaro non deve più tornare indietro; essa può al contrario essere effettuata dall'uomo moderno con mezzi moderni, come progresso nell'evoluzione sociale. Alla fine (dopo molti dibattiti), potrebbe nascere un nuovo modo di regolamentazione sociale, senza base sulla forma merce, riflesso in termini ecologici/cibernetici ed in termini di "teoria del caos" - non più un piano statale meccanicistico, gerarchico e burocratico (come è avvenuto per il problema della "modernizzazione tardiva"), ma una rete decentralizzata ed informatizzata, nelle cui parti sia presente il tutto, ed il governo agisca come "alleanza orizzontale", anziché verticale e burocratica.

Gli elementi di base della miniaturizzazione tecnologica, della rete informatica e della "individualità organizzata" come base della trasformazione sociale, vietano, comunque, una critica ridotta della società mercantile, caratterizzata nel "femminismo di Bielefeld" di Claudia Werlhof, Maria Mies ed altre da un rifiuto assoluto della microelettronica e di tutte le potenzialità della tecnologia informatica. Nonostante le importanti idee, a "questa critica naturalista" (come avviene con Rudolph Bahro) sfuggono i mezzi. L'eredità tecnologica del capitalismo non può essere, d'altra parte, assimilata nella sua forma oggi esistente - questo è diventato, infatti, un luogo comune ecologico. Ciò che conta è selezionare criticamente, secondo criteri di "ragione sensibile", invece di ripudiare astrattamente.

Ad esempio, questo significa utilizzare in forma critica i mezzi di produzione e le tecnologie informatiche moderne (incluse le "tecnologie di crisi") e allo stesso tempo innescare una "rivoluzione culturale", per mezzo della quale venga esposto al ridicolo il modello di vita e di consumo distruttivo di questo sistema. Non nel senso di una "ideologia del rifiuto" conservatrice (che, comunque, anche nella società del mercato totale dipendente dal consumo di massa, rimane un sofisma), ma come desiderio alternativo di una "vita migliore", guidata da relazioni umane soddisfacenti e dal piacere sensibile. Il terrore del tempo astratto del sistema monetario totale è incompatibile con questo quanto lo spiacevole consumo compensatorio. Ci vorrebbe, ad esempio, una campagna culturale contro l'automobile come macchina essenzialmente capitalista, contro il turismo commerciale di massa, e a favore delle forme alternative di riposo e di comunicazione.

Il conflitto possiede anche, è chiaro, un lato direttamente materiale. Le attività autonome, non guidate dalla forma merce, non possono svolgersi nel vuoto. Ci vogliono risorse: terra, edifici per uffici, officine, giardini, mezzi di produzione e comunicazione, ecc.. Bisogna esigere queste risorse dallo Stato e dal mercato. Tali esigenze diventano tanto più plausibili quanto meno il sistema produttore di merci è capace di amministrare sensatamente le risorse e quanto più intatti ed improduttivi vengono lasciati quei mezzi essenziali per la vita, solo perché non soddisfano al feticcio della redditività. Per "dare inizio alla fine" della logica monetaria bisogna ancora esigere, insieme alle risorse materiali, anche quello stesso denaro dello Stato, per investimento che serviranno da impulso alle attività autonome (il che sarebbe qualcosa di fondamentalmente diverso dal modello sovvenzionista). Il movimento tedesco occidentale di centri autonomi di comunicazione, negli anni 70, ed il movimento di occupazione delle case, negli anni 80, sono stati i precursori di questi conflitti. La questione di fondo rimane ancora una volta la proprietà della terra. L'unico scopo è quello di escludere la terra dalla sfera della compravendita, cioè, svincolarla, in quanto fondamento della vita, dal denaro. Qui si rende necessario, però, sviluppare istituzionalmente un criterio decisionale comunitario ed autonomo circa l'utilità, in opposizione ad un criterio burocratico e centralista, tipico del socialismo di Stato.

Tutto questo dimostra come il deserto della società del mercato totale non è ancora completamente morta. Forme di vita alternativa, iniziative dei disoccupati e "sussistenza dissidente" crescono in tutta Europa. In esse, si sommano esperienze e teoria. E' sufficiente legare tali sforzi all'analisi della crisi, al dibattito sulla riduzione della giornata lavorative e alla critica di base della produzione di merci, per poter così arrivare ad un nuovo programma integrato alla critica sociale radicale.

- Robert Kurz - Pubblicato su Neues Deutschland, del 18/19.06.1994 -

fonte: EXIT!

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