lunedì 3 agosto 2015

A boccaperta

boccaperta

Quanto costa il mondo?
- di Robert Kurz -

Tutto finisce per collassare prima o poi - l'Impero romano, il socialismo reale, Lehman Brothers ed il discorso dell'egemonia neoliberista. Tranne il capitalismo. Il capitalismo sopravvivrà perfino all'universo. Questo è quello che in termini pratici, insieme alla teoria della sinistra post-marxista, ci garantisce lo Stato, che è appena risorto dalle rovine.
Lo fa comunque, anche se esso stesso recentemente si trova ad essere al verde, mentre i dollari e gli euro scorrono dalla cornucopia del sistema bancario d'investimento. Non importa che ci sia stata una bolla creditizia storicamente senza precedenti; ormai è successo tanto tempo fa, e ora va tutto bene. Ma la crisi ipotecaria negli Stati Uniti, in ebollizione moderata fin dal 2007, è stata solamente il catalizzatore della fusione nucleare del sistema creditizio globale, che ci si aspettava da molto tempo e che ha aperto la strada al lunedì nero dell'autunno di quest'anno. All'improvviso, è lo Stato ad essere invocato come gestore della crisi e come salvatore, ed esso, da parte sua, comincia a scuotere la cornucopia.
Solamente per sé stessi, gli Stati Uniti hanno lanciato pacchetti di salvataggio dell'ordine di circa 8 miliardi di dollari, di cui 3 miliardi di copertura del rischio per le perdite di credito (garanzie), 3 miliardi sotto forma di iniezioni di capitale (nazionalizzazione parziale delle banche attraverso acquisto di azioni) e quasi 2 miliardi di prestiti statali al settore finanziario. In maniera analoga, i pacchetti di salvataggio di Germania, Francia e Gran Bretagna - nell'ambito dell'Unione Europea - aggiungono un importo di circa altri 2,2 miliardi di dollari.
Finora, si è speso solo una frazione di questi importi. Nei bilanci statali, inizialmente non sono stati contabilizzati come un nuovo debito del consumo pubblico, ma sotto forma di titoli di credito e di titolo immobiliari fruttiferi. La speranza, è che con queste misure si possa ricostituire la "fiducia" nel settore finanziario, che le garanzie non vengano sfruttate, che le banche possano utilizzare i prestiti dello Stato e che le quotazioni delle azioni bancarie possano tornare a crescere, di modo che, possibilmente, alla fine si ottenga perfino un profitto per le finanze pubbliche.
Questa speranza, tuttavia, è abbastanza ingenua. Si ispira all'esperienza delle operazioni di salvataggio statale durante il collasso del sistema di casse di risparmio, negli Stati Uniti, alla fine degli anni 80, e nella crisi bancaria scandinava degli anni 90. Però, quelle azioni di appoggio ebbero successo perché erano limitate ad un solo settore ed avvenivano nel quadro di una tendenza ascendente continuativa dell'economia globale della bolla di credito. Ma ora è lo scoppio della bolla ad essere all'ordine del giorno, fino negli angoli più remoti del mercato mondiale. Se inizialmente si riteneva ancora che la crisi potesse restare limitata agli Stati Uniti e ad alcune aree dell'Europa occidentale, fatto sta che ora essa ha raggiunto anche la Russia, l'Europa orientale e parti dell'Asia e dell'America Latina. L'Unione Europea ora deve non solo riabilitare il sistema bancario dei suoi Stati centrali, ma deve anche salvare dalla bancarotta statale i nuovi paesi aderenti - dal Baltico all'Ungheria. E la reazione a catena continua.
La metafora della "creazione della fiducia", è di per sé una bolla retorica. In realtà, ormai non si tratta più di stato d'animo del settore finanziario, ma di pesanti fatti oggettivi. Non è stato il sistema globale del credito a disaccoppiarsi da una economia reale sana, ma al contrario, è stato tale sistema che ha fomentato un'insostenibile congiuntura economica basata sul deficit. Le condizioni reali di valorizzazione del capitale mondiale, se si può ancora parlare di qualcosa del genere, già nel decennio del 1980 avevano raggiunto il loro limite. Il famoso "jobless growth [crescita senza occupazione]" degli anni 90 si basava soltanto su un finanziamento a credito senza sostanza, oramai senza alcuna base sui salari e sui profitti reali. I rendimenti fittizi della bolla immobiliare negli Stati Uniti, in Inghilterra o in Spagna ed il "miracolo del consumo" ad essa associato, a fronte della caduta costante dei rendimenti reali, sono stati soltanto la punta di un iceberg. Ecco perché, insieme al crollo del credito, l'economia mondiale, che ormai non è reale, frena completamente.
Mentre i buchi che si sono aperti nel sistema finanziario non sono ancora stati tappati, si rendono necessari, allo stesso tempo, programmi statali di congiuntura. Gli Stati Uniti vorrebbero dare il massimo anche in questo; Obama annuncia un'iniezione nell'economia di quasi 900 miliardi di dollari. Nell'Unione Europea, al contrario, la speranza è l'ultima a morire; il governo della Merkel ritiene di poter trattare la situazione con undici miserabili miliardi di euro, ed il ministro delle finanze Steinbrueck fantastica a proposito di un reindebitamento moderato di soli 8 miliardi di euro nel 2009. La discussione intorno a drastici tagli fiscali, e perfino su buoni di consumo da 500 euro per ciascun cittadino adulto, mostrano qual è la situazione. Ma se la fine della congiuntura dell'economia mondiale basata sul deficit vanifica le ricette fiscali, se il credito di Stato deve appoggiarsi ad una vendita di merci in calo e, simultaneamente, affrontare realmente i costi astronomici del risanamento del sistema finanziario, allora il collasso delle finanze pubbliche è già programmato. L'illusione statale è soltanto il proseguimento dell'illusione della bolla del credito.
Il monopolio della crisi gestito dallo Stato, viene preso sul serio anche da un discorso "geopolitico" che prevede la delocalizzazione del potere mondiale verso la Cina e l'India. Ma questi presunti miracoli di crescita non sono autonomi, ma al contrario sono completamente legati al circuito del deficit dell'economia mondiale. Se il collasso delle finanze pubbliche degli Stati Uniti svalorizzasse il dollaro, i fondi pubblici dei paesi emergenti, con i loro attivi in dollari, apparentemente inesauribili,  potrebbero forse riuscire a pagare ancora un giro di birra. I posti di lavoro nell'industria dell'esportazione a senso unico, che dappertutto si basano principalmente sugli investimenti delle multinazionali e sulle catene di creazione di valore fittizio, hanno i piedi di argilla. L'effetto domino della crisi economica mondiale, ben presto arriverà anche in Cina, in India ed in Giappone. Il crollo del sistema di credito che già si vede, la fine del boom di esportazioni e le convulsioni sociali, ivi compresa la caduta della nuova classe media, possono in breve tempo annullare tutti i programmi di potenza mondiale, programmi spaziali e programmi di armamento.
In tutto il mondo, la sinistra politica riconciliata con l'economia di mercato rimane a bocca aperta. Tutta la realpolitik pragmatica del migliore dei mondi si rivela essenzialmente una menzogna. La rottura epocale del 2008 non smentisce il 1989, ma ne costituisce il proseguimento. In quanto la fine del capitalismo di Stato dell'Est, così come la crisi asiatica e latinoamericana del decennio del 1990 ed il crollo del Dot-com del 2001 sono stati i precursori della crisi generale del mercato e del sistema mondiale.
Il capitalismo sta fallendo secondo i suoi propri stessi criteri. L'ordinaria amministrazione politica era già fallita. Questo si renderà noto, al più tardi, quando la crisi irromperà nel quotidiano degli uomini e donne postmoderni della "Io, Ditta Individuale".

- Robert Kurz - Pubblicato sul settimanale TAZ, Berlino, 15/12/2008 -

fonte: EXIT!

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