Nel quadro delle sue letture, Pierre Bance mostra, nello scritto che segue, come Žižek ponga delle questioni che si contrappongono al pensiero libertario, e che obbligano coloro che aspirano ad una società senza Stato ad uno sforzo di concettualizzazione, ad un rafforzamento delle argomentazioni, al fine di spiegare che il comunismo è un mondo auspicabile e possibile. Un mondo che non ha granchè a che vedere con la democrazia radicale suggerita da Žižek, i cui postulati, pregiudizi, astrazioni, digressioni... chiariscono, in contrappunto, la pertinenza del progetto di un altro futuro senza Stato. Il testo è redatto per poter esser letto senza essere obbligati a riferirsi sistematicamente alle note, le quali, ai fini di una riflessione più approfondita, rimandano alle fonti delle citazioni, ai complementi bibliografici e agli approfondimenti o alle osservazioni da parte dell'autore.
Slavoj Zizek, la proposta anarchica in contrappunto
- di Pierre Bance -
Slavoj Žižek sarebbe noto soltanto a qualche specialista della filosofia marxista e della psicoanalisi lacanaiana se non fosse stato per qualche eccentricità che gli ha procurato una notorietà inattesa che egli gestisce come un patrimonio [*1]. Pretendere che sia "il filosofo più pericoloso d'Occidente" è ridicolo [*2]. A differenza di Badiou, con il suo " De quoi Sarkozy est-il le nom? ", a fare scandalo non sono i libri di Žižek, ma le sue colorite dichiarazioni sui giornali, alla radio o alla televisione, che promuovono questo punto di vista. Molti ne parlano, pochi lo hanno letto, di modo che il suo pensiero politico cede alla caricatura. Se ci si immerge nei suoi testi politici, si constata che dice più di quanto se ne scriva e certamente più di quanto se ne pensa [*3]. Dotato di una conoscenza enciclopedica che gli permette di combinare molti argomenti sotto l'angolazione filosofica, psicoanalitica, culturale e politica, stordisce il lettore con un'abbondante produzione, senza timore del "copia&incolla", di digressioni e battute [*4]. Žižek sviluppa il suo pensiero per progressione. Di libro in libro, riprende un'idea, la prolunga, la corregge, ci torna sopra, la sua lettura esige un'attenzione costante. Questo è il monito del professore belga-americano Bruno Boostels:
«Può sembrare che Žižek si attenga ad una serie ortodossa di concetti lacaniani, ma in realtà questi termini cambiano assai spesso drammaticamente di significato. Alla fine, il dialogo di Žižek con dei pensatori contemporanei offre un esempio superbo di "arte della guerra" machiavellica nel campo filosofico - che presenta spesso come se fosse una posizione dell'avversario ciò che in realtà è la sua propria posizione, prima di attaccarlo per delle ragioni che sono del tutto valide per una delle sue stesse posizioni precedenti. In questo modo, nei libri di Žižek, molte delle critiche possono e devono essere lette come delle autocritiche. Il risultato di un simile stile di pensiero, assolutamente unico nel panorama contemporaneo, è che una lettura completa dell'opera di questo prolifico autore diventa un'affascinante impossibilità.» [*5]
Non si tratta qui di studiare la filosofia di Žižek, organizzata intorno a quattro pensatori: Hegel, Marx, Lacan, Badiou, sulle astrazioni intorno alle quali disserta, secondo i modi, e nella lingua, del marxismo volgare, nel corso di pagine difficili per chi è estraneo alla dialettica hegelo-marxista, alla retorica freudo-marxista, alla psicoanalisi lacaniana. Rispetto alle sue prese di posizione politica che ne derivano, non c'è affatto bisogno di saper leggere il vecchio Marx o il Marx postmoderno per comprendere che Žižek non merita l'etichetta di stalinista che gli hanno incollato sopra, con piacere, gli editorialisti; non merita neppure di essere considerato come un filosofo rivoluzionario, ed ancor meno un ideologo innovativo. La sua dottrina è meno sofisticata di quella di un Rancière, meno elaborata di quella di un Negri, meno sconcertante di quella di Badiou e senza i trucchi di quella di Holloway [*6], non è troppo lontana dalla democrazia radicale di Laclau e Mouffe [*7]. Ci sono due parole che hanno ucciso Žižek come teorico del pensiero politico ed allo stesso tempo ne hanno creato la fama come attore della scienza mediatico-intellettuale: "dittatura-del-proletariato" e "terrore". Nei suoi scritti, Žižek nega di aver generato questi malintesi.
Žižek si definisce comunista. Ma, non è sufficiente opporsi allo sfruttamento ed al dominio capitalista per essere comunista, quello che è determinante è la questione dello Stato. Come altri filosofi contemporanei, Žižek si trattiene dal dire troppo su quello che potrebbe essere una società comunista [*8], dal momento che «se il comunismo è davvero un'idea "eterna"; e quindi funziona come una "universalità concreta hegeliana: esso è eterno non nel senso per cui si tratterebbe di una serie di caratteristiche universali astratte che possono essere applicate dappertutto, ma nel senso per cui dev'essere reinventato in ciascuna nuova situazione storica » [*9]. Questo gli lascia tempo, prima di arrivare ad enunciare i modi dell'ipotesi comunista, e gli permette di concentrarsi sulla critica del capitalismo.
Il nuovo spirito del capitalismo
Slavoj Žižek ritiene che il dominio del capitalismo sia più forte di quello dello Stato perché il capitale «minaccia la nostra libertà in una maniera molto più subdola, pervertendo il senso che noi diamo alla libertà »; il capitale ci bombarda con « ”libere scelte” imposte », ci obbliga a «prendere delle decisioni circa le quali spesso non siamo per niente competenti». [*10] Nell'ideologia quotidiana, la nostra servitù viene presentata come la nostra libertà con l'unico fine di farci consumare, « comprare delle cose equivale [...] a votare continuamente con il nostro denaro » per la continuità del sistema. [*11] L'egemonia del capitale finisce per dare «l'illusione che lo Stato sparirà da sé solo » [*12]. Questa società del ricatto - essa o il caos, essa o la dittatura - si mantiene sull'apparenza della sua indistruttibilità e sulla sua capacità di «convivere con tutte le civiltà, da quella cristiana a quella buddista, da Occidente ad Oriente» [*13]. «Evidentemente» - constata Žižek - «è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo» [*14]. La questione dello Stato liberale e della democrazia rappresentativa viene solo dopo in quanto questi non sono altro che ingranaggi.
«Dall'analisi di Marx, risulta essenzialmente che la matrice ideologico-giuridica del binomio libertà-uguaglianza non è affatto una semplice "maschera" che nasconde il binomio sfruttamento-dominio, ma è la forma stessa in cui quest'ultimo viene messo in pratica » [*15].
Žižek ha il merito di ricordare questo postulato nel momento in cui i social-liberali danno da bere ai cittadini, potenziali elettori, la loro capacità di valorizzare e di garantire i principii di libertà e di uguaglianza nella società di mercato; e ricordare così come i partiti socialisti, i partiti della sinistra parlamentare, sono l'ultimo bastione del capitalismo, e che non basta sfilare al Social Forum mondiale di Dakar per rompere il quadro « trascendentale » dell'apparato ideologico dominante. [*16]
Ed ecco che, ai nostri giorni, «è il capitalismo ad essere propriamente rivoluzionario » ed a mettere ancora di più lo Stato al proprio servizio per una costruzione apparentemente contraddittoria. [*17] Avendo vinto sull'Unione Sovietica e quello che dice essere il comunismo, il capitalismo si trova in una nuova dinamica ideologica. Senza colpoferire, esso «ha trionfalmente recuperato la retorica egualitaria e antigerarchica del 1968, presentandola come una rivolta libertaria riuscita » [*18]: libertà della società civile contro libertà di impresa, meno Stato per avere più mercato, quello che Žižek chiama «il nuovo spirito del capitalismo » [*19]. Un nuovo spirito, la cui logica di deregolamentazione, anti-statale, nomade, deterritorializzante «coesiste con (e si basa su) degli interventi sempre più autoritari da parte dello Stato e dei suoi apparati giuridici ed altro. Quello che si può distinguere all'orizzonte del nostro divenire storico, è quindi una società in cui il libertarismo e l'edonismo personale coesistono con (e sono alimentati da) una complessa rete di meccanismi regolatori istituiti dallo Stato. Oggi, ben lungi dallo scomparire, lo Stato raccoglie le sue forze.» [*20] Raccoglie e rafforza i suoi mezzi al servizio, e sotto la direzione, di un capitalismo regolato solo dalla sua perennità e prosperità, che esalta il mito della « fine della storia » che lo autorizzerebbe a presentarsi come il sistema più efficace per lavorare nell'interesse generale; nuova impresa di lavaggio del cervello che spera di essere definitiva. [*21] Fortunatamente per l'umanità, la «migliore delle società possibili» è cieca, essa non vede che «si avvicina ad un punto zero apocalittico» [*22]. Il risultato è lo sviluppo degli antagonismi, terreno di comunismo, che finiranno per far dubitare dell'eternità di questa società. Žižek distingue «quattro cavalieri dell'apocalisse » [*23]:
- la mercificazione sfrenata che si scontra con la difficoltà ad applicare il concetto giuridico di proprietà privata ai prodotti derivanti dal lavoro intellettuale, in particolare a partire dalle nuove tecnologie [*24];
- l'inquietudine provocata dallo sviluppo dello tecno-scienze, specialmente la biogenetica ed il controllo digitale sulle nostre vite;
- la catastrofe ecologica globale;
- la costruzione di muri simbolici o materiali in tutto il mondo che accrescono in maniera esplosiva le divisioni sociali.
I tre primi antagonismi evidenziano i cosiddetti "comuni", come sono stati messi in luce da Michael Hardt ed Antonio Negri, e che riattivano e giustificano il concetto di comunismo; dei beni naturali (gli esseri viventi, la natura), o non (il pensiero, il linguaggio), che dovrebbero appartenere a tutti, sono oggetto di un'appropriazione privata [*25]. Il quarto, l'opposizione fra inclusi ed esclusi, è quello che dà agli altri tre il «loro carattere sovversivo ». Senza di lui «l'ecologia diventa una questione di sviluppo sostenibile, la proprietà intellettuale si limita ad un mal di testa giuridico e la biogenetica ad una questione etica » [*26].
La matrice comunista
A questo punto della dimostrazione, come Alain Badiou, che egli ama citare, Slavoj Žižek si riferisce alle invarianti, la matrice del comunismo, che egli oppone all'illusione di « una nuova dinamica postmoderna o postindustriale o post-quello-che-vuoi » [*27]. Ecco il punto di partenza della costruzione politica zizekkiana:
«La sinistra postmoderna non ha mai smesso di ripetere che bisogna abbandonare il paradigma "giacobino-leninista" del potere dittatoriale centralizzato. Ma forse è arrivato il momento di invertire questo mantra [modo di pensare], ed ammettere che una buona dose di tale paradigma "giacobino-leninista" è proprio quello di cui la sinistra attuale ha bisogno. Oggi, più che mai, si deve insistere su quello che Badiou chiama l'idea "eterna" del Comunismo, o le "invarianti comuniste" - i "quattro concetti fondamentali" all'opera da Platone fino al maoismo, passando per il giacobinismo, il leninismo e le rivolte millenariste del Medioevo: giustizia rigorosamente egualitaria, terrore disciplinare, volontarismo politico e fiducia nel popolo» [*28].
Gli antagonismi sociali generano il bisogno di comunismo, le invarianti ne stabiliscono le condizioni. Rimane da immaginare il movimento che farà scomparire gli antagonismi nutrendosi delle invarianti. O, per dirla come Žižek, come fare perché il comunismo non rimanga « un sogno che prospera sulla propria impossibilità » [*29].
Oggi, l'idea comunista è ipotecata dalla divisione del proletariato. Gli esclusi di cui parla Žižek, a proposito degli antagonismi del capitalismo, sono gli emarginati della società: i disoccupati, gli abitanti delle bidonville ed « altri interstizi dello spazio pubblico » [*30], « quelli che non sono più nemmeno cittadini » [*31]. Essi devono allearsi alle altre due parti del proletariato: i lavoratori intellettuali, la vecchia classe operaia manuale. Questa frammentazione della classe lavoratrice deriva dalla disintegrazione della vita sociale organizzata dal capitalismo, che ha portato al ripiegamento di ciascuna parte verso «una politica identitaria multiculturale, fra gli intellettuali; un fondamentalismo populista regressivo, fra gli operai; raggruppamenti semi-illegali (gang, sette religiose, ecc.), fra gli emarginati » [*32]. Ciascun gruppo è opposto agli altri due. Ora, niente sarà possibile senza l'unità delle tre componenti. Come fare? Žižek assicura una cosa: «questa unità non sarà garantita da una qualsivoglia immagine di "Grande Altro" che verrà a stabilirla » [*33]. Il "Grande Altro", riferimento ad un concetto lacaniano, può essere qui inteso come un mito storico (una rivoluzione), un fatto politico esterno (le Venezuela di Chávez), un uomo della provvidenza (un tribuno); sempre un modello esterno idealizzato che dovrebbe risolvere il problema e che, in realtà, lo blocca. Ma sarebbe tuttavia un controsenso pensare che Žižek aderisca alla formula « l'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi » così come la intendono i sindacalisti rivoluzionari [*34]. L'avvertimento non viene rivolto specificamente agli operai o agli esclusi ma piuttosto agli intellettuali, la sinistra universitaria «che pretende che sia un teorico che venga a spiegare cosa bisogna fare » [*35].
Il ruolo degli intellettuali non è quello di imporsi contro le insidie che la società del ricatto tende loro, per disperdere le loro responsabilità, ma quello di padroneggiare la rabbia per « trasformarla in una ferma risoluzione a pensare, a riflettere in una maniera realmente radicale » [*36]. Questo vuol dire: distinguere « quelli che combattono per l'emancipazione dai loro avversari reazionari » , « il popolo ed i nemici del popolo» [*37]. Questa visione dei due blocchi, propria della lotta di classe, pone in secondo piano le lotte multiculturaliste; le lotte antirazziste, femministe, per le libertà sessuali, ecc., sono necessarie ma non devono essere dissociate dalla lotta globale per l'emancipazione, dominata dall'antagonismo economico [*38]. Diversamente, esse si indeboliscono e potrebbero perfino alimentare l'emergere di discriminazioni come le nuove pressioni razziste in Europa [*39], oppure collaborare al dominio dello Stato [*40]. L'accusa può andare ancora oltre, accusando le organizzazioni del movimento multiculturalista di dipendere dallo Stato [*41]. «Credo in una universalità della lotta» [*42], scrive Žižek. L'intellettuale ricerca i sentieri per arrivare all'unità indispensabile del proletariato nel modo in cui lo fa il decomposto Žižek che cita Badiou nella sua purezza leninista:
«Infatti, quello che ci è stato assegnato come compito, diciamo anche come dovere filosofico, è di aiutare a far sì che emerga un nuovo modello dell'esistenza dell'ipotesi » [*43] .
E' questo ciò che Žižek concretizza così: «Il compito essenziale del 21° secolo sarà di politicizzare - organizzando e disciplinando - le "masse destrutturate" delle bidonville [*44] per costituire un'organizzazione esplosiva di vari agenti » [*45]. «Bidonville» va inteso in senso ampio, esso include le banlieue francesi che non sono favelas, ma dove la popolazione dispone di un basso reddito, è disorganizzata, senza pensiero politico, e parzialmente desocializzata, soprattutto i giovani.
Politicizzare, organizzare e disciplinare le masse, ma come?
Che fare?
La questione non è affatto semplice ed il ragionamento di Slavoj Žižek neppure. La fase preparatoria alla rivoluzione, al passaggio alla società anticapitalista prenderà la forma di una triade: c'è un movimento, un partito ed un leader che lega il movimento al partito [*46]. Una volta costituito questo, e venuto il momento favorevole, la presa del potere renderà possibile un comunismo di cui si ignora parecchio. Ammesso che si tratti di comunismo, dal momento che non viene mai sollevata la questione della scomparsa dello Stato.
Anche se l'atto di ribellione conta « ai fini di una riuscita nella misura in cui instaura l'immortale idea della libertà » [*47], i movimenti sociali come noi li conosciamo sono senza avvenire. Il loro successo è spesso un illusione in quanto « dev'essere valutato sulla base di ciò che rimane una volta che questi movimenti sono passati » [*48]. Per il progetto rivoluzionario, non rimane niente, a meno che non siano altro che « una provocazione isterica, rivolta al padronato, senza un programma positivo che permetta di sostituire un nuovo ordine a quello vecchio » e che va tradotto « come un appello (sconfessato, ovviamente) ad un nuovo padrone » [*49]. L'individuo così come le masse si trovano ad affrontare un'aporia [*50], un'incapacità a misurare la loro forza:
« Noi (gli agenti individuali o collettivi) dobbiamo sapere bene che tutto è nelle nostre mani, che non è impossibile prevedere le conseguenze delle nostre azioni - lungi dall'essere impotenti, non siamo onnipotenti, pur senza essere capaci di determinare la portata dei nostri poteri. Il divario fra le cause e gli effetti si rivela irriducibile, e non c'è nessun "Grande Altro" per garantire l'armonia fra i diversi livelli, per assicurare che il risultato globale delle nostre interazioni sarà soddisfacente » [*51].
Questo enunciato di un problema psicologico cela una soluzione. Oh! Žižek non dice troppo e comincia a disegnare una caricatura dell'imbarazzo in cui si trovano i libertari ed alcuni altri:
«Invece di considerare l'esigenza popolare di un nuovo Capo come un segno di "immaturità" e di impotenza a costituire un potere politico attraverso un processo di democrazia diretta, bisognerebbe assumere eroicamente questo ruolo ed offrire al popolo ciò che vuole, anche se questo equivale perfino a contrariare le sue dirette aspettative» [*52].
Questo capo necessario sarà qualcosa di simile ad ... un partito [*53]. Questo partito sarà diverso dal partito politico democratico ordinario che trae la propria legittimità dalle elezioni. Il «Partito “rinforzato” » la trarrà dalla dinamica politica dei movimenti, rimanendo, le elezioni, secondarie. Meglio, il partito esprimerà la volontà dei movimenti senza neanche negoziare con loro, dal momento che esso è « un movimento transustanziato nella forma dell'universalità politica, pronto ad assumere il potere di Stato nella sua totalità [un movimento che], in quanto tale, è autorizzato soltanto da sé stesso» [*54]. Un po' di nonsense in modo da far passare in un altro modo il buon vecchio Partito Comunista? O non sarà forse che, al momento, è un partito tutto da inventare, e Žižek sta dicendo che non sa come fare [*55]. Di contro, c'è un terzo attore fra il popolo in movimento ed il partito: il leader. Un nome proprio che favorirà questa « transustanziazione » che incarna la fusione del Partito e del popolo [*56].
Se il leader occupa una posizione particolare che gli permette di stabilire e di garantire l'uguaglianza fra i soggetti « che sono uguali in ragione della loro comune identificazione con il leader», egli « deve sciogliere la sua posizione speciale dentro questa uguaglianza» [*57]. Il leader è tutto e niente. E' tutto perché senza di lui popolo e partito non possono unirsi. Niente, perché egli non è altro che un simbolo, un nome mobilitante [*58]. L'idea è difficile da maneggiare in quanto è dura trovare degli esempi, nella storia, che soddisfino a questa definizione. Žižek si guarda bene dal farne [*59]. Si nasconde dietro Alain Badiou che, fra gli altri, cita Robespierre, Lenin, Mao, Che Guevara. Ma Badiou non ritiene che il nome possa mobilitare, in sé, senza considerare il resto: l'esercizio del potere da parte del leader, che egli illustra attraverso la critica di Stalin e del culto della personalità di Nikita Kruscev che «era sgradevole, e annunciava, sotto la maschera della democrazia, il deperimento dell'Idea di comunismo alla quale abbiamo assistito nei decenni successivi» [*60]. In Badiou non si trova quest'idea dello scioglimento del leader nell'insieme. Buenaventura Durruti corrisponderebbe al paradosso di Žižek? Alcuni lo pensano, Hardt e Negri potrebbero essere fra questi [*61].
Supponendo realizzata la fusione della triade - un popolo-in-movimento-mobilitato-nel-partito-diretto-da-un-nome - ecco che arriva il momento dell'azione, della conquista del potere e del destino dello Stato confiscato al capitale. Žižek critica ciò che lui chiama la pseudo-attività che «agisce per tutto il tempo, ma affinché non cambi realmente niente», egli detesta «quest'idea di esplosione liberatrice» [*62]. Ma rimane zitto su che cosa bisogna fare per avere una rivoluzione vittoriosa. Anticipando questa critica, scarabocchia qualche prescrizione che farà ridere di scherno coloro che lavorano ogni giorno per cambiare il mondo:
«I rivoluzionari dovranno attendere pazientemente il momento (di solito molto breve) di un malfunzionamento evidente o di un collasso del sistema, cogliere l'opportunità, impadronirsi del potere che per allora sarà da prendere per così dire nella strada» [*63]. E per chi ha bisogno di un punto di riferimento accademico, Žižek precisa che qui bisogna applicare la distinzione lacaniana fra bersaglio e mirare, «se la costruzione di una società non capitalista non è il fine immediato della politica emancipatrice, essa dovrebbe comunque essere il suo fine ultimo, l'orizzonte di ogni sua attività » [*64].
Anche se Žižek non ama la violenza fisica, in quanto ne ha paura [*65], sa che è un rischio necessario [*66]. Ma questa violenza che può distruggere il vecchio potere, «non può mai creare l'autorità che legittima il nuovo potere. La violenza è quindi la più debole base possibile su cui instaurare un governo» [*67]. Ecco il rovescio della medaglia della leggenda di un feroce filosofo, ma che ci dice che quello che Žižek intende è che «è chiaro che le alternative del 20° secolo non hanno funzionato» [*68].
Ma più che il passato, è piuttosto la democrazia diretta, ogni forma di autonomia politica che Žižek si compiace di attaccare attraverso gli scritti di Negri [*69]. Il dibattito sulle proposte alternative al capitalismo e allo Stato si trovano limitate e mantenute nell'astrazione, in quanto si sa che Negri rifiuta la questione del federalismo politico e dell'autogestione economica anche se non vi si contrappone [*70]. Žižek quindi scrive:
«Possiamo immaginare una società completamente organizzata intorno all'espressione delle moltitudini, una società che sarebbe quella della "democrazia assoluta", una società senza rappresentanza? Una società di mobilitazione permanente, nella quale ciascuna struttura oggettiva costituisce un'espressione diretta della produttività soggettiva? [...] E' strutturalmente impossibile "totalizzare" la moltitudine dei movimenti: la "democrazia assoluta", regno totale e diretto della moltitudine, è una mistificazione, un'immagine che risulta dalla sovrapposizione artificiale di due dimensioni eterogenee» [*71].
Scartate l'autonomia politica e quella economica, Žižek entra in un ragionamento bizzarro. L'Unione Sovietica di Stalin ha fallito perché essa ha abbandonato il vero comunismo, conducendo una politica anti-statale attraverso «delle forme di auto-organizzazione non rappresentative "dirette" (i "consigli")» [*72].
Lo Stato, piuttosto che l'anarchia
Possiamo accontentarci di dire che è semplicemente un postulato paradossale, una provocazione che non merita di essere commentata, dal momento che esprime una fobia rispetto al vuoto anarchico, che tutto questo non è per niente serio [*73]? Dobbiamo, allora, prendere il testo alla lettera: l'autogestione, intesa nelle sue diverse forme, non è un'alternativa alla teoria marxista-leninista dello Stato-partito perché non è altro che un prendere le distanze rispetto allo Stato (capitalista), che viene lasciato intatto, e programmando così la propria sconfitta [*74]. Slavoj Žižek avrebbe potuto prendere come esempio la guerra di Spagna, dove la collettivizzazione ha coabitato con lo Stato, che la distruggerà, insieme alla rivoluzione libertaria [*75]. Ma le implicazioni di un tale esempio non sono di quelle che piacciono allo sloveno, il quale apostrofa il lettore: « se non avete un'idea chiara del perché volete rimpiazzare lo Stato, non avete alcun diritto di abbattere/rimuovere questo Stato » [*76]. Un precetto che castra qualsiasi progresso nel percorso comunista originale. Perché gli anarchici, i comunisti libertari, i sindacalisti rivoluzionari, o gli altri comunisti consiliaristi, non avrebbero le idee chiare [*77]? Seguendo la pura malafede della critica dell'anarchismo dei vecchi politici ed intellettuali marxisti, Žižek riduce le alternative comuniste alla Zone di Autonomia Temporanea (TAZ) di Hakim Bey [*78]. Un procedimento raffermo che gli permette di avanzare un secondo postulato ancora più paradossale del primo:
« Invece di prendere le distanze dallo Stato, il vero compito consiste nel far funzionare lo Stato stesso in maniera non-statale» [*79], ossia, « una società realmente democratica [...] nella quale sono i soggetti uniti che dirigono, serviti da quelli che di leader hanno solo il nome» [*80].
Come riuscire in quest'impresa? Inventare un nuovo ordine sociale, instaurare un nuovo modo di appropriazione dell'apparato statale [*81]? E, soprattutto, come farlo senza tornare alle forme di organizzazione precedentemente denunciate, come i consigli operai? Facendo tesoro della lezione data da Lenin in "Stato e rivoluzione”, risponde Žižek. Lezione che lo stesso Lenin non è stato in grado di rispettare. Žižek la riassume:
« Il fine della violenza rivoluzionare non è quello di far man bassa del potere dello Stato, ma di trasformarlo, di cambiare radicalmente il suo funzionamento, il rapporto che esso intrattiene con la base, ecc.. E' qui che si pone la pietra angolare della "dittatura del proletariato"» [*82].
« Il mio problema è il seguente: il ritorno all'ordine» [*83]. E quale modo migliore, si dirà, se non una buona dittatura del proletariato, per tornare all'ordine? Per dirla in breve, i contorni di questa dittatura, e le sue conseguenze, sono difficili da identificare [*84].
Il senso della dittatura del proletariato
Dal momento che lo Stato non può essere distrutto dall'interno, come ha dimostrato ancora una volta la Rivoluzione culturale cinese [*85], ossia, poiché lo Stato non può far estinguere lo Stato, cosa che gli anarchici affermano da molto tempo, Slavoj Žižek propone un'altra strada, «un arduo compito che consiste nello sganciarsi dal quadro vincolante della struttura statale-mercantile, compito per il quale non è a portata di mano alcuna formula rapida » [*86]. Questo implica una simbiosi fra lo stesso Stato « radicalmente trasformato » e «nuove forme di partecipazione del popolo» [*87]. Il problema attiene al fatto che non sappiamo bene che cosa nello Stato dev'essere trasformato, e quali potrebbero essere queste nuove forme di organizzazione. Solo una cosa è sicura, il motore della nuova società è la dittatura del proletariato, non nel senso e secondo l'uso che ne ha fatto, in Unione Sovietica, il partito bolscevico e la sua burocrazia nel nome del popolo, ma nel senso di una « pressione esercitata dal popolo [sul governo] attraverso la sua mobilitazione e la sua auto-organizzazione » [*88]; da qui la definizione che Žižek dice di prendere in prestito da Toni Negri: « Dittatura del proletariato significa governare con i movimenti» [*89].
Žižek ama agitare il "terrore" come strumento principale della dittatura del proletariato; cosa che spaventa i babbei e viene sfruttata dai suoi nemici per demonizzarlo o ridicolizzarlo [*90]. Ora, per Žižek, « terrore » non dev'essere inteso « nel senso del gulag, ma nel senso di una certa disciplina sociale » [*91]. Perché Žižek si ostina a parlare di terrore, puranche di « terrore buono » [*92], quando il comunismo avrebbe bisogno semplicemente di disciplina? Žižek non ignora del tutto che:
« E quindi, per cogliere la più elementare idea di comunismo, dobbiamo dimenticare tutte le esplosioni romantiche di passione, ed immaginare la chiarezza di un ordine minimalista sostenuto da una disciplina dolce liberamente imposta? » [*93]
La dittatura ed il terrore non sarebbero altro che «disciplina dolce liberamente imposta»; il bolscevico con il coltello fra i denti è soltanto un bonario socialdemocratico. Quello che stona in questa esortazione è l'ossimoro « liberamente imposta » laddove si dovrebbe scrivere « liberamente accettata » o «liberamente sviluppata ». Avvertiamo l'incapacità di Žižek ad aver fiducia nelle persone. Santifica l'escluso e non è in grado di credere nelle capacità delle persone ordinarie, di tutti noi [*94]. Ciò può spiegare come egli sia affascinato dai caudillo catto-socialisti dell'America Latina, i quali mettono all'opera un socialismo locale, decidono al posto delle persone, per il loro bene, in nome di Dio, un Dio ricorrente, un Dio che fa da punteggiatura ai discorsi [*95].
Žižek, come tutti gli altri filosofi di cultura marxista, oggi è costretto ad immaginare una società che si distingua dal comunismo di Lenin o di Stalin. Quando si riconosce, come anche lui fa, che la teoria dell'estinzione dello Stato è uno stallo che porta allo Stato-partito, si trova una risorsa nell'approccio anarchico ad una società senza Stato. Mentre altri l'hanno usata intelligentemente, e perfino abusivamente [*96], Žižek rifiuta di farlo e questo lo obbliga a ripiegare su una democrazia ibrida che non è né la democrazia popolare comunista, né un tentativo più o meno avanzato di comunismo [*97].
« L'unica soluzione che intravvedo è quella di uno Stato sostenuto da un movimento popolare, attraverso una mobilitazione extraparlamentare » [*98].
In questa soluzione che, evidentemente, non ha niente a che vedere con lo stalinismo di cui viene accusato [*99], la presa del potere da parte di quella che lui chiama la sinistra radicale avviene, di preferenza, attraverso la legalità elettorale, anche se non viene esclusa una presa del potere sotto un'altra forma [*100]. Non va chiesto ai rivoluzionari, anche quelli legalisti, il mantenimento di un sistema democratico che viene ereditato in quanto non si è stato in grado di cambiarlo. Più il cambiamento sarà forte e rapido, più, di conseguenza, la reazione sarà vivace, quindi più sarà necessario imporre la nuova dittatura del proletariato: « dove "l'eccesso totalitario" del potere sta dalla "parte dei senza-parte" e non dalla parte dell'ordine sociale gerarchico » [*101]. L'eccesso totalitario non è nient'altro che il rovescio dei metodi dei parlamentaristi; per cui cambiando le regole elettorali, quello che era una manipolazione diviene una contorsione della rappresentanza statale verso i senza-parte. Žižek, più che immaginare un altro futuro, descrive la realtà politica della Bolivia e del Venezuela, democrazie intermediarie che si basano su un rapporto complicato fra quelli che esercitano il potere ed il popolo:
« Anche se Chávez rispetta ancora le regole elettorali democratiche, non è in questo che si trova il senso del suo impegno fondamentale e la fonte della sua legittimità, ma nelle relazioni privilegiate che egli intrattiene con i diseredati delle favelas. E' questa, la "dittatura del proletariato" sotto forma democratica » [*102]. « Prende gli abitanti "esclusi" delle favelas come base per riorganizzare lo spazio politico e le forme politiche di organizzazione di modo che queste vengano "adattate" agli esclusi » [*103].
Questa cooperazione si basa « direttamente sui movimenti di mobilitazione, imponendo delle nuove forme di auto-organizzazione locale, ecc., per garantire l'egemonia della sua base » [*104]. In questo modo Žižek dà un supporto reale alla sua idea di « far funzionare lo Stato stesso in maniera non statale». Tenta così di dare un fondamento teorico marxista alle esperienze boliviane e venezuelane, giustificando le loro azioni, di certo interessanti, ma di molto lontane da un progetto comunista che né Hugo Chávez né Evo Morales pretendono di portare avanti. Si sa cosa poi accadrà, in Bolivia o in Venezuela, se le elezioni saranno sfavorevoli. Žižek non dice di essere a favore di un colpo di mano rivoluzionario. Ora, vediamo che una, la Bolivia, si aggroviglia nei suoi riferimenti indios ed arretra sotto le pressioni economiche e sociali [*105], soprattutto dal momento che il successore dell'altra, Nicolás Maduro, in Venezuela, ha sempre più difficoltà a perseguire la costruzione del socialismo nel XXI secolo [*106].
Se si può dire che Alain Badiou è più comunista che marxista [*107], Žižek è più leninista che comunista. Quanto meno per quel che riguarda il metodo, in quanto il suo progetto si discosta dall'obiettivo di Lenin per andare verso una democrazia radicale dove si esercitino delle lotte egemoniche fra il potere ed i movimenti sociali [*108]. In sostanza, quanto è cambiato dal 1990, anno in cui si presentava alle elezioni presidenziali per il partito della Democrazia liberale slovena?
- Pierre Bance -
NOTE
[*1] Slavoj Žižek è nato a Lubiana, in Slovenia, nel 1949. Dottore in filosofia presso l'università di Lubiana, studia psicoanalisi all'università di Parigi VIII (Vincennes). Per aver contestato il "socialismo reale" della Jugoslavia di Tito, nel 1975 gli verrà rifiutato una posto all'università di Lubiana. Nel 1989, si fa conoscere dall'intellighenzia internazionale con la pubblicazione, in inglese, del suo primo libro: Il sublime oggetto dell'ideologia. Poco prima dell'indipendenza della Slovenia, nel 1990, si presenta alle elezioni presidenziali con il partito della Democrazia Liberale slovena; senza successo. In seguito, torna al marxismo e si dichiara comunista. Direttore della ricerca presso l'Istituto di sociologia dell'Università di Lubiana, provocatore ed enigmatico, questo personaggio del pensiero critico è apprezzato nelle grandi università americane (Columbia, Princeton, ecc.) e dai media. Su Žižek filosofo: sotto la direzione di Raoul Moati, "Autour de Slavoj Žižek. Psychanalyse, marxisme, idéalisme allemand", Paris, Presses universitaires de France, collana « Actuel Marx confrontation », 2010, 224 pages.
[*2] La formula "Il filosofo più pericoloso d'Occidente" proviene dalla fascetta del libro di Slavoj Žižek, "Dalla Tragedia alla Farsa. Ideologia della crisi e superamento del capitalismo" (vedi nota seguente). Tale formula è tratta da un articolo di Adam Kirsch, "Žižek, le bouffon sinistre", apparso sul quindicinale americano di centro-sinistra, The New Repubblic del 3 dicembre 2008 ( http://www.tnr.com ). Questo testo, così come la risposta di Žižek e la replica di Kirsch, tradotto da Jean-Marc Mandosio, sono pubblicati sulla rivista L'autre côté, n° 1, « La French Theory et ses avatars », été 2009, 82 pages (revuelautrecote@gmail.com), pages 68 et suivantes. L'operazione commerciale di Flammarion, cui a quanto pare Žižek non si è opposto, è un'evidente manifestazione del recupero da parte del mercato. In cosa Žižek sarebbe più pericoloso degli altri filosofi della sinistra radicale? Soprattutto, cè da parte dell'editore un vero e proprio inganno. Kirch sostiene che "nella sua vita, come nei suoi scritti, Žižek abbaia ma non morde" (pag.70). Se egli afferma che Žižek è pericoloso, non lo è in quanto rivoluzionario ma perché ritiene che i suoi scritti "affondano [le loro] radici velenose nella tradizione dell'antisemitismo teologico e filosofico" (pag.78) e perché Žižek "si rivela incontestabilmente come una sorta di fascista" (pag.73). Bisogna dire che Kirsch non capisce niente di quello che legge, oppure che è in malafede, in quanto anche se Žižek è a volte oscuro o contraddittorio, non è né antisemita né fascista. Qualche giorno prima dell'articolo su The New Republic, Damian Da Costa, sul New York Observer del 1° ottobre 2008, aveva scritto un articolo, "Il sogno della sinistra", nel quale Žižek veniva definito radicale (anticapitalista) "proto-fascista dall'antisemitismo balbuziente" ( http://observer.com/2008/10/le-rve-gauche/ ). Ecco la reazione di Žižek e la sua conclusione in "Vivere alla fine dei tempi": "secondo questo punto di vista, ogni posizione anticapitalista oggi rifletterebbe un antisemitismo balbuziente" (nota n.3, p.277). Amplierà il concetto - e la querela - nel 2011: "Secondo [Bernard-Henry] Lévy ed i suoi seguaci, l'anticapitalismo di oggi è una forma di antisemitismo" ("In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale").
[*3] Dopo la tragedia, la farsa! Ovvero come la storia si ripete, è il libro da leggere per avere la migliore idea del pensiero politico di Slavoj Žižek. Questo è stato pubblicato in inglese nel 2009. Due altri libri, più filosofici, lo affiancano: "In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale", apparso in inglese nel 2008; "Vivere alla fine dei tempi", apparso in inglese nel 2010. Per l'ultimo stadio del posizionamento politico di Žižek in poche pagine, ci si può riferire alla sua intervista con Nicolas Dutent, apparsa sul quotidiano "L'Humanité" del 26 luglio 2013, nel quadro del dibattito "Pensare un mondo nuovo"; intitolata "L'eterno matrimonio fra il capitalismo e la democrazia è finito", questo testo è stato pubblicato nel 2013, insieme ad altri 49 contributi, con il titolo "À vos souhaits. Penser un monde nouveau", Saint-Denis, Éditions de L'Humanité, 2013, 224 pages (Žižek, page 44).
[*4] Di Slavoj Žižek è stato pubblicato, in inglese, nel 2014, "Le mie battute, la mia filosofia". Si tratta di una compilation di 190 pagine di battute che hanno costellato i suoi scritti. Nella postfazione, Momus (Nick Currie) scrive: "Autorizzare Žižek a ridurre le situazioni complesse per mezzo di battute, rappresenta un vantaggio per il lettore".
[*5] Bruno Bosteels, "Alain Badiou, une trajectoire polémique", Paris, La Fabrique éditions, 2009, 218 pages, citation page 204. Žižek non si lascia fregare e preferisce essere egli stesso a mettere in guardia il lettore circa i doppi sensi dei suoi scritti. Si vedano, per esempio, gli ultimi paragrafi dell'introduzione di "In difesa delle cause perse". Perciò, si può dire che Žižek sia un intellettuale "difficile" che non rispetta i suoi lettori oppure, al contrario, che il suo essere difficile è a vantaggio del lettore esperto che sa ricostruire il ragionamento?
[*6] Su questi autori si possono leggere gli scritti di Pierre Bance ( http://www.autrefutur.net/_Pierre-Bance_ )
[*7] La democrazia radicale di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe rinuncia al "mito del comunismo", alla comunità trasparente, riconciliata e senza Stato, senza pertanto risolvere lo statuto costituzionale di quest'ultimo. Essa si identifica in una società di movimenti dove gli antagonismi permettono di distruggere l'egemonia esistente al fine di poter costruire un nuovo ordine fondato sul principio di uguaglianza.
[*8] "Io sono il primo a riconoscere di non avere nessun progetto positivo elaborato nei dettagli" ma "saremo costretti ad inventare un nuovo modello di collettività" , Liberazion.fr, "Chat", 26 giugno 2008
[*9] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa" nota citata [*3], pag.15; vedere anche pagine 136 e seguenti. Allo stesso modo: "Non si tratta affatto di ristabilire il comunismo del 20° secolo, si tratta di ricominciare da zero, di ripensare tutto, completamente", Liberazion.fr, "Chat", 26 giugno 2008
[*10] Slavoj Žižek, « Finance débridée : un projet d'accord menace notre liberté », traduit de l'anglais par Juliette Kopecka, Le Monde.fr, 27 juillet 2014.
[*11] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa" nota citata [*3], pag.100. Vedere anche Slavoj Žižek, «Le mariage éternel entre capitalisme et démocratie est fini» vedi nota [*3]
[*12] Slavoj Žižek, «Le mariage éternel entre capitalisme et démocratie est fini» vedi nota [*3]
[*13] Slavoj Žižek, "Vivere alla fine dei tempi".
[*14] Slavoj Žižek, «Nous allons devoir redevenir utopiques», intervista con Éric Aeschimann, Libération, 16 febbraio 2008. Alla quale risponde Toni Negri: "A volte si ha l'impressione che sia più facile pensare la fine del mondo piuttosto che la fine del capitalismo. Non credo che questo sia vero" (Intervista con Steffen Vogel "Ritorno agli 'anni di piombo'", su La Revue internationale des livres et des idées, n° 5, mai-juin 2008, page 23).
[*15] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa"; la parola "forma" è sottolineata da Žižek.
[*16] Allusione allo "sbarco di Martine Aubry, allora segretario generale del Partito Socialista francese ed in campagna elettorale per la candidatura socialista alle elezioni presidenziali del 2012, al Social Forum mondiale di Dakar. I congressisti non fecero niente per ributtarla in mare. L'altermondialismo, in agonia, segnava la propria fine. Su questa pagliacciata: Libération, 8 février 2011 ; Le Monde, 10 février 2011 ; e per distrarsi, il sito del Parti socialiste ( http://www.parti-socialiste.fr/dossier/forum-social-mondial-2011-a-dakar )
[*17] Slavoj Žižek, "In difesa delle cause perse".
[*18] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa".
[*19] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa". Žižek fa riferimento al libro, pubblicato nel 1999, di Luc Boltanski et Ève Chiapello, "Il nuovo spirito del capitalismo". Per un panorama delle idee liberal/libertarie, Sébastien Caré, "La Pensée libertarienne. Genèse, fondements et horizons d'une utopie libérale", Paris, Presses universitaires de France, « Fondements de la politique », 2009, 352 pages ; dello stesso autore, "Les Libertariens aux États-Unis. Sociologie d'un mouvement asocial", Rennes, Presses universitaires de Rennes, « Res publica », 2010, 312 pages.
[*20] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa". Žižek utilizza spesso la parola "libertarista" laddove "libertario" potrebbe sembrare più appropriato. Per inciso, notiamo che Žižek, a differenza di Badiou e soprattutto di Rancière, è "assai critico riguardo al Maggio 68. Vi ho partecipato, sì, dice, ma non l'ho mai amato. Per me, si trattava di uno spettacolo" (Intervista con Jean Birnbaum, Le Monde, 7 aprile 2006). Perciò, ad una prima lettura, si può pensare che Žižek mantenga l'ambiguità circa le parole "libertarista" e "libertario" al fine di svalorizzare il pensiero anarchico, ad esempio in una formulazione quale: "Un implicito impegno libertario per la libertà individuale e la creatività" ("Vivere alla fine dei tempi"). E' possibile una seconda lettura; Žižek considera che l'individualismo, il multiculturalismo post-sessantotto, non siano affatto libertari ma piuttosto libertaristi nel senso che promuovono una libertà individuale egoista, senza mettere in discussione il sistema, o meglio, ne rafforzano la costituzione e la legittimità. Ma qui, è la parola "libertarista" ad essere inappropriata in quanto i libertaristi certamente sostengono la più grande libertà individuale, ma in una società in cui lo Stato viene "rimpiazzato" dal libero mercato. Un buon esempio dei meandri della scrittura di Žižek.
[*21] Nella misura in cui sarà più efficace del capitalismo liberale, Slavoj Žižek si domanda se, in mancanza del comunismo, l'avvenire non sia piuttosto il capitalismo asiatico, combinazione di una dittatura politica alla cinese e del capitalismo di borsa, che potrebbe essere chiamato capitalismo totalitario; questo potrebbe spiegare perché le anime belle si preoccupano per la mancanza di diritti dell'uomo in Cina, si preoccupano ancora di più della minaccia che questi paesi fanno pesare sulla supremazia economica occidentale (Slavoj Žižek, « Dalla democrazia alla violenza divina », nella raccolta di testi "Démocratie, dans quel état?", Paris, La Fabrique éditions, 2009, 152 pages ; étude de Žižek page 123, sur le capitalisme asiatique, pages 126 et suivantes). Alcuni passaggi di questo testo si richiamano al libro "In difesa della cause perse".
[*22] Slavoj Žižek, "Vivere alla fine dei tempi".
[*23] Slavoj Žižek, "Vivere alla fine dei tempi".
[*24] "Marx ha omesso di considerare la possibilità della privatizzazione del 'general intellect' stesso - ovvero, è lì che si costituisce il nucleo del pomo della discordia sulla 'proprietà intellettuale'. Negri ha ragione a tal proposito: in questo quadro, lo sfruttamento nel senso marxista classico del termine non è più possibile, per cui viene sempre più esercitato per mezzo di misure giuridiche dirette, cioè a dire attraverso dei modi non economici" (Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa"; "la privatizzazione dello stesso 'general intellect'", è sottolineato da Žižek). Il "general intellect" può essere inteso come la conoscenza o l'intelligenza collettiva di una società in un dato periodo storico. Ad esempio, il capitalista si appropria del sapere di una popolazione indigena in materia di piante medicinali.
[*25] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa".
[*26] Slavoj Žižek, "Il leninismo oggi, come cominciare dal principio", su Contretemps n°2, secondo trimestre 2009, p.141. Vedere le stesse idee, anche in « La véritable leçon à tirer de Mai 68. Face aux échecs matériels et humains du capitalisme global depuis quarante ans, le communisme n'est pas caduc. Au contraire », su Le Monde del 3 giugno 2008, e anche "Dalla tragedia alla farsa".
[*27] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa".
[*28] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa"; "giustizia egualitaria", "terrore", "volontarismo" e "fiducia nel popolo" vengono sottolineati da Žižek. Vedere anche: Slavoj Žižek, "Nessuna soluzione nel mercato", intervista realizzata da Laurent Etre e Rosa Moussaoui, L'Humanité, 26 gennaio 2010.
[*29] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa".
[*30] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa".
[*31] Slavoj Žižek, "Nessuna soluzione nel mercato", intervista realizzata da Laurent Etre e Rosa Moussaoui, L'Humanité, 26 gennaio 2010.
[*32] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa". Žižek non affronta di petto la questione del sottoproletariato, questa frangia estrema della depoliticizzazione e della desocializzazione, che ponte un vero e proprio problema teorico. La popolazione povera delle banlieu, anche se desocializzati, non hanno niente a che vedere con le gang che Žižek mette fra gli esclusi; essi non sono il sottoproletariato e dovrebbero costituire una forza viva del proletariato, cosa che non è, e Žižek afferma "è questa la tragedia" («Nous allons devoir redevenir utopiques», intervista con Éric Aeschimann, Libération, 16 febbraio 2008). Per una definizione di Lumpendproletariat in Marx o in Lenin ed un approccio moderno al concetto di sottoproletariato, vedere Georges Labica, "Lumpenproletariat" in Dictionnaire critique du marxisme sous la direction de Georges Labica, Paris, Presses universitaires de France, « Grands dictionnaires », 1982, 942 pages.
[*33] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa".
[*34] All'occasione, Slavoj Žižek preferisce la formula, più "psy", degli indiani Hopi: "Noi siamo quello che noi ci aspettiamo".
[*35] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa". E anche Contretemps n°2, secondo trimestre 2009.
[*36] Slavoj Žižek, "Lotta di classe a Wall Street", su Le Monde del 10 ottobre 2008.
[*37] Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa".
[*38] Slavoj Žižek, "Viva la cultura dominante", su Liberation del 2/12/2010. Si ritrova l'idea di fronti secondari di certi marxisti. Michael Hardt e Toni Negri ritengono che "Žižek ha torto a pensare che le lotte di classe differiscano dalle lotte antirazziste ed antisessiste [...] Žižek non riesce ad identificare le forme rivoluzionarie delle politiche di genere e di classe" ("Commonwealth").
[*39] In Francia, negli anni 1980-1990, l'organizzazione SOS Racisme, teleguidata dal Partito socialista, con il suo antirazzismo settario, manipolatore, estroverso, esuberante, per non parlare delle turpitudini politiche ed economiche dei suoi dirigenti, ha contribuito ad alimentare il risentimento dei "piccoli bianchi" che si è poi ritrovato nelle urne nel 2002, con un Le Pen al secondo posto nell'elezione presidenziale. Oggi, politicamente dormiente, quest'associazione si consacra alla difesa giuridica delle violazioni delle leggi antirazziste.
[*40] "Lo Stato liberal-democratico contemporaneo e la politica anarchica "infinitamente esigente" sono così impegnati in un rapporto di reciproco parassitismo: lo Stato proietta la sua autocoscienza etica sull'attività etico-politica extra-statale, la quale proietta la sua esigenza di efficacia sullo Stato - gli agenti anarchici svolgono il lavoro di riflessione etica per lo Stato, il quale si fa carico di dirigere e di regolare effettivamente la società" (Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse).
[*41] "Oggi, tutti questi movimenti a favore dei diritti dei gay, degli umani, ecc., si appoggiano a degli apparati di Stato che non solo recepiscono le loro esigenze, ma forniscono anche un quadro favorevole alla loro attività (una vita civile stabile)". (Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse).
[*42] Slavoj Žižek, intervista su Le Monde del 7 aprile 2006 (nota 20). Sulla critica zizekkiana del multiculturalismo, leggere "La politica della resistenza" su "In difesa delle cause perse"; "Multiculturalismo, la realtà di un'illusione", su "Vivere alla fine dei tempi". Sulla questione specifica del multiculturalismo, risultante dall'immigrazione in Europa, e del suo fallimento, Žižek propone l'idea di una "Leitkulture" "positiva ed emancipatrice", cultura di riferimento comune che permata di superare il semplice rispetto per gli altri: "Non rispettiamo semplicemente gl altri, offriamo loro una lotta comune, in quanto i nostri problemi, oggi, sono comuni"; va sottolineato il "offriamo loro" al posto di "offriamoci"; così come gli intellettuali devono guidare la battaglia anticapitalista, gli europei cristiani devono proporre una Leitkulture agli immigrati (Slavoj Žižek, "L'Unione Europea, deve forgiare la propria cultura comune", su Le Monde del 26/2/2011; vedere anche il suo articolo su Liberation del 8/18/2010, nota 38). Leitkulture, cultura di riferimento, rinvio ad un dibattito sulla politica in Germania riguardo agli immigrati: dev'essere orientata alla cultura dominante, quella dei tedeschi? (leggere l'articolo di Béatrice Durand, « En Allemagne, un mot d'ordre bien plus qu'une politique. L'idée de la nécessité d'un culture de référence l'emporte », Le Monde, 26 février 2011).
[*43] Alain Badiou, De quoi Sarkozy est-il le nom ?, [Fécamp], Nouvelles éditions Lignes, « Circonstances, 4 », 2007, 158 pages, citation page 153 ; "un nuovo modo di esistenza dell'ipotesi [comunista]" viene sottolineato da Badiou; Slavoj Žižek, "Dalla tragedia alla farsa".
[*44] Slavoj Žižek, articolo su Le Monde del 3/6/2008. Vedi nota 26
[*45] Slavoj Žižek, Dalla tragedia alla farsa.
[*46] Žižek parla di una tetrade: popolo, movimento, partito e leader (Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse).
[*47] Slavoj Žižek, Vivere alla fine dei tempi.
[*48] Slavoj Žižek, "L'eterno matrimonio fra capitalismo e democrazia è finito", nella raccolta "À vos souhaits. Penser un monde nouveau" (vedi nota 3)
[*49] Slavoj Žižek, In difesa della cause perse. Un ragionamento che evoca il discorso con cui Lacan apostrofò degli studenti all'Università di Vincenne: "Ciò cui voi aspirate come rivoluzionari, è un padrone. Lo avrete" (Jacques Lacan, Le Séminaire. L'Envers de la psychanalyse 1969-1970, Tome 17, sous la direction de Jacques-Alain Miller, Paris, Seuil, « Champ Freudien », 1991, 256 pages, citation page 239).
[*50] Aporia: difficoltà di ordine razionale che appare senza soluzione.
[*51] Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse. "lungi dall'essere [...] in nostro potere] è sottolineato da Žižek.
[*52] Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse.
[*53] Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse. Vedere anche quando parla di questa riconciliazione di cui solo gli psicoanalisti sono capaci: "Il partito deve intervenire al fine di portar fuori la classe operaia dal suo spontaneismo compiaciuto" come lo piscoanalista "dando semplicemente corpo all'oggetto causa del desiderio del soggetto".
[*54] Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse; "è autorizzato solo da sé stesso" è sottolineato da Žižek.
[*55] Slavoj Žižek, intervista su L'Humanité del 26/2/2010.
[*56] Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse. Si ritrova quest'idea in Alain Badiou, nel libro "L'Hypothèse communiste", ([Fécamp], Nouvelles éditions Lignes, testo poi ripreso nel suo intervento su "L'idea del comunismo", conferenza di Londra del 2009 (L'Idée du communisme, [Fécamp], Nouvelles éditions Lignes, 2010, 352 pages).
[*57] Slavoj Žižek, Vivere alla fine dei tempi. Per illustrare il suo punto di vista, Žižek fa uso di un racconto di Franz Kafka, "Josephine la cantante, o il popolo dei topi". Passaggio ripreso, con una traduzione leggermente modificata, dal suo intervento alla conferenza di Londra del 2009, "Note per una definizione della cultura comunista".
[*58] Occorre citare Žižek nella sua versione originale: "Lungi da segnalare la corruzione di un processo rivoluzionario, la celebrazione del nome proprio del leader è immanente a tale processo. Diciamolo senza problemi: senza il ruolo mobilitante di un nome, il movimento politico rimane prigioniero dell'ordine dell'Essere positivo così come viene espresso dalle categorie concettuali - è solo grazie all'intervento di un nome proprio che si apre la dimensione di 'esigere l'impossibile', laddove cambiano i contorni stessi di quello che appare possibile" (Slavoj Žižek, In difesa della cause perse).
[*59] Se avesse fatto degli esempi, si sarebbero trovati, tenuto contro dei suoi riferimenti storici, in contraddizione con questa affermazione di anarchismo che pure non è usuale: "La sola maniera di sbarazzarci dei nostri padroni, non è attraverso il divenire di un padrone collettivo della natura, ma nel riconoscere pienamente l'impostura dell'idea stessa di padrone" (Slavoj Žižek, Vivere alla fine dei tempi). Anche se Žižek non teme di contraddirsi, egli la interpreta come una rettifica.
[*60] "L'ipotesi comunista" (nota 56); "L'idea di comunismo" (nota 56).
[*61] Michael Hardt e Toni Negri sottolineano "il ruolo fondamentale di Buenaventura Durruti, il dirigente anarchico catalano, nella trasformazione sociale dell'insurrezione ("Moltitudine").
[*62] Slavoj Žižek, Intervista su Le Monde del 7 aprile 2006.
[*63] Slavoj Žižek, « Dalla democrazia alla violenza divina », nella raccolta di testi "Démocratie, dans quel état?".
[*64] Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse.
[*65] Slavoj Žižek, Intervista su Liberation del 16 febbraio 2008.
[*66] "Per combattere la violenza esistente, non si ha il diritto di proibirci di rispondere anche con la violenza", Slavoj Žižek, Liberation "Chat", 26/6/2008
[*67] Slavoj Žižek, "Note per una definizione della cultura comunista".
[*68] Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse.
[*69] Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse.
[*70] Su Negri e Hardt vedere http://www.autrefutur.net/Antonio-Negri-et-Michael-Hardt-les : « Antonio Negri et Michael Hardt, les mécanos de la sociale », 1er mars 2013.
[*71] Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse. In questa citazione, la parola "moltitudine" può essere sostituita da "popolo", "lavoratori", "persone"; e le parole "democrazia assoluta" da "federalismo", "autogestione", "repubblica dei consigli", "anarchia", ecc..
[*72] Slavoj Žižek, Dalla tragedia alla farsa.
[*73] Cosa che ha fatto il filosofo trotzkista inglese Alex Callinicos: "L'idea per cui l'origine della 'mancanza di fedeltà all'avvenimento rivoluzionario' di Stalin deriverebbe dal fatto che quest'ultimo fosse stato un comunista consiliarista contrariato, è troppo grottesca per essere presa sul serio" (Contretemps, n° 4, « De quoi le communisme est-il le nom ? », 4e trimestre 2009, « Sur l'hypothèse communiste, page 31).
[*74] Certamente Žižek è influenzato dal suo passato jugoslavo, dal momento che Tito aveva messo in piedi una forma edulcorata di autogestione come supporto ad un regime socialista totalitario.
[*75] Nel quadro di un'abbondante bibliografia sulla Guerra di Spagna vedere, soprattutto su queste questioni, César M. Lorenzo, Le Mouvement anarchiste en Espagne. Pouvoir et révolution sociale, Saint-Georges-d'Oléron, Les Éditions libertaires, 2e édition revue et augmentée, 2006, 560 pages
[*76] Slavoj Žižek, Dalla tragedia alla farsa.
[*77] L'assioma è reversibile. Se Slavoj Žižek non propone niente di "concretizzabile" per costituire il suo "partito rinforzato", per poter aprire la finestra alla rivoluzione, per rimpiazzare lo Stato capitalista, ecc., forse questo è perché lui, in politica, non ha le idee chiare.
[*78] Slavoj Žižek, "Il soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica". Hakim Bey sostiene un anarchismo individualista nel quale si ritrovano gli ambienti alternativi della controcultura: "Come finirà il capitalismo? Probabilmente non verrà rovesciato da una rivoluzione, ma il suo sistema mondiale di creazione di ricchezza e di valore si va lentamente sfaldando, abbandona delle regioni e delle popolazioni intere a sé stesse - questo è un processo già avviato" (dalla presentazione di Alexandre Lacroix ai testi di Hakim Bey).
[*79] Slavoj Žižek, Dalla tragedia alla farsa.
[*80] Slavoj Žižek, Vivere alla fine dei tempi.
[*81] A proposito di questi interrogativi, vedere le considerazioni di Slavoj Žižek a partire dal lavoro di Alain Badiou su "La grande rivoluzione culturale proletaria". Questa non si è accontentata solo di prendere il potere, ma voleva anche riorganizzare la vita quotidiana sotto una nuova angolatura economica ma ha fallito per mancanza di radicalità: "quello che ne è rimasto è un eccesso carnevalesco, inquadrato in un apparato di Stato (sotto la guida di Zhon Enlai) che garantirebbe la continuazione della vita quotidiana e il proseguio della produzione" (In difesa delle cause perse).
[*82] Slavoj Žižek, Dopo la tragedia la farsa. Si ritrova la stessa frase in "Dalla democrazia alla violenza divina".
[*83] Slavoj Žižek, Intervista su Le Monde del 7 aprile 2006. Nello sviluppo di questa idea, una frase lascerà perplesso più di un rivoluzionario: appena preso il potere, i rivoluzionari devono "stringere la presa, costruire degli apparati di repressione, ecc., di modo che una volta passato il periodo di confusione, quando la maggioranza avrà ritrovato il suo spirito e si mostrerà delusa del nuovo regime, la rivoluzione sia ben piazzata" (dès qu'ils ont pris le pouvoir, les révolutionnaires doivent « resserrer leur prise, édifier des appareils de répression, etc., de sorte qu'une fois la période de confusion passée, quand la majorité retrouvant ses esprits se montre déçue par le nouveau régime, la révolution est bien en place » (Slavoj Žižek, « Dalla democrazia alla violenza divina»).
[*84] In Moltitudine, Hardt e Negri scrivono: "Nel libro provocatorio di Slavoj Žižek, "Tredici volte Lenin", non si capisce molto bene se egli difenda, come noi, il rilancio degli obiettivi democratici del progetto leninista senza il ruolo dirigente del partito bolscevico o se, al contrario, difenda proprio il ruolo dirigente del partito bolscevico". Quindi, se Hardt e Negri, rotti al ragionamento filosofico, esperti di dialettica marxista, non capiscono molto bene...
[*85] Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse.
[*86] Slavoj Žižek, Dalla tragedia alla farsa.
[*87] Slavoj Žižek, Dalla democrazia alla violenza divina. Dopo aver ricordato che "privarsi dello Stato può lasciare spazio alle peggiori derive", aggiunge Žižek, non troppo convinto, che "gli Stati Uniti, sono lo Stato che difende alcune libertà fondamentali contro le pressioni locali o civili neo-conservatrici" (Slavoj Žižek, "L'eterno matrimonio fra capitalismo e democrazia è finito".
[*88] Slavoj Žižek, Vivere alla fine dei tempi.
[*89] Slavoj Žižek, Il Manifesto 12 maggio 2009. Qui si può sicuramente vedere una risposta alla questione posta da Hardt e Negri, in "Moltitudine", circa la natura del progetto politico di Žižek (vedi nota 84). Hardt e Negri, che nello stesso anno 2009 scrivevano su Commonwealth: "La critica di Moltitudine fatta da Badiou è in effetti un'estensione ed una generalizzazione di quella di Žižek: mentre Žižek, indicando l'errore di Marx, accusa la moltitudine di imitare e sostenere il dominio del capitale sotto la copertura della contestazione, Badiou si riferisce a Foucault ed afferma che la moltitudine, come altri progetti di resistenza, partecipa nei fatti alla progressione del potere [...] Per ribattere a tali questioni, bisogna mostrare che la moltitudine non è un soggetto politico spontaneo ma un progetto di organizzazione politica, cioè a dire spostare il dibattito dalla questione dell'essere moltitudine a quella del fare moltitudine".
[*90] Per farsi persuaso di non utilizzare la parola "terrore", soprattutto facendo riferimento alla rivoluzione francese, Žižek dovrebbe leggere le Père Duchêne. Durante la Comune di Parigi, si parlava, come fa lui, del terrore riferendosi al Terrore del 1793, cosa cui le Père Duchêne risponde: "Follie! Sciocchezze! Fantocci con i quali si spaventa il piccolo commercio e la borghesia". E ricorda le cause storiche del Terrore, e la sua giustificazione: "Sì, lo sanno bene, se nel 93 si è ghigliottinato i nobili ed i preti, non è avvenuto perché erano nobili o preti, ma semplicemente perché, come quei veri giuda che erano, tradivano la patria e volevano far entrare lo straniero in Francia, sul territorio della Nazione, per ristabilire il loro privilegi ed uccidere la Rivoluzione" (Le Père Duchêne, n° 6, 20 ventôse an 79 [20 mars 1871], page 5)
[*91] Slavoj Žižek, Intervista a l'Humanité del 26/1/2010.
[*92] Accanto al buon terrore, opportuno seguito alla presa del potere, ce ne può essere uno cattivo, espressione del "forse più autentico fallimento ma anche il più terribile: ben conscio che questa perennizzazione della rivoluzione sotto forma statale va ineluttabilmente a sfociare nel suo tradimento, ma, incapace di inventare o di imporre un nuovo ordine sociale, il movimento rivoluzionario si impegna in una disperata strategia di protezione della sua propria purezza mediante la linea "ultrasinistra" di un terrore distruttivo" (Slavoj Žižek. Vivere alla fine dei tempi).
[*93] Slavoj Žižek, Note per una definizione della cultura comunista.
[*94] Qui troviamo un posizionamento frequente fra i cristiani, Razmig Keucheyan scrive: "In Žižek, l'invocazione della religione non ha pertanto funzione, come in Badiou ed in Negri, di costituire una risorsa in vista della ricostruzione di un progetto di emancipazione, ma di difendere il cristianesimo di per sé, in quanto partecipe della storia dell'emancipazione" (Hémisphère gauche. Une cartographie des nouvelles pensées critiques, Paris, La Découverte, « Zones », 2010, 318 pages, citation page 37).
[*95] Spiega Slavoj Žižek: "Credo che la morte di Cristo sulla croce, significhi la morte di Dio, e che egli non sia più il Grande Altro che tira le fila. Il solo modo di essere credente, dopo la morte di Cristo, è quello di partecipare degli obblighi collettivi egualitari. Il cristianesimo può essere inteso come una religione di accompagnamento dell'ordine esistente oppure come una religione che dice no ed aiuta a resistere. Credo che il cristianesimo ed il marxismo debbano combattere insieme sia l'ondata delle nuove spiritualità che il gregarismo capitalista. Difendo una religione senza Dio, un comunismo senza padrone" (Dibattito con il filosofo Peter Sloterdijk, su Le Monde del 28 maggio 2011, sotto la direzione di Nicolas Truong).
[*96] Un approccio intelligente, per esempio, è quello di Michael Löwy e di Olivier Besancenot, in "Affinità rivoluzionarie. Le nostre stelle rosse e nere" Parigi 2014. Un approccio abusivo è quello di John Holloway, nella sua famosa opera "Cambiare il mondo senza prendere il potere".
[*97] Žižek non si ricorda mai nelle sue dichiarazioni e nei suoi scritti che il comunismo di Marx, come quello degli anarchici, è una società senza Stato.
[*98] Slavoj Žižek, Intervista a l'Humanité del 26/1/2010.
[*99] Per convincersene, leggere "La controrivoluzione culturale staliniana" in "In difesa delle cause perse".
[*100] "Le scelte elettorali sono regolarmente manipolate in diverse maniere, ma può accadere che si possono fare delle vere e proprie scelte democratiche. Quindi, non sono a priori contro quest'idea" (Slavoj Žižek, L'eterno matrimonio fra capitalismo e democrazia è finito). Žižek non teme di associare una mobilitazione extraparlamentare ad un risultato elettorale pur riconoscendo il rischio di un contraccolpo, come quello del trionfo elettorale ed il recupero politico da parte della destra dopo il maggio 1968.
[*101] Slavoj Žižek, Dalla democrazia alla violenza divina.
[*102] Slavoj Žižek, Dalla democrazia alla violenza divina. Va precisato che in seguito Žižek ha sminuito il valore dell'esempio: "Si può sostenere che Chávez e Morales si stanno avvicinando a quella che potrebbe essere una forma contemporanea di "dittatura del proletariato".
[*103] Slavoj Žižek, Dalla tragedia alla farsa.
[*104] Slavoj Žižek, Dalla democrazia alla violenza divina.
[*105] Hervé Do Alto et Pablo Stefanoni, Nous serons des millions. Evo Morales et la gauche au pouvoir en Bolivie, Paris, Raison d'agir, 2008, 124 pages. Vedere anche i contributi pubblicati sulla rivista Alternative Sud, volume 16-3, « La Bolivie d'Evo. Démocratique, indianiste et socialiste ? Points de vue du Sud », août 2009, 186 pages
[*106] Per meglio capire cosa vuol dire Žižek si può leggere: http://www.autrefutur.net/Le-socialisme-bolivarien-du-XXIe
[*107] Bruno Bosteels, "Alain Badiou, une trajectoire polémique", Paris, La Fabrique éditions, 2009, 218 pages
[*108] Sul concetto di democrazia radicale vedere la nota 7
fonte: Autre futur
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