domenica 16 agosto 2015

O tutto o niente

mst-8-728

L'economia del suolo
- di Robert Kurz -

Come nella fisica quantistica, anche in economia politica si deve pensare l'impensabile; vale a dire, tematizzare un modo di vita e di produzione che non sia più un "modo di produzione basato sul valore" (Marx), come quello che segna oggi il nostro quotidiano e che è stato interiorizzato insieme alle sue categorie (lavoro astratto, valore, merce, denaro, mercato, Stato, ecc.) dalla coscienza come fatto normale. Nonostante il continuo aggravarsi della crisi di questo sistema, le persone arretrano davanti all'ignoto; si aggrappano all'illusione secondo la quale questo sistema può essere riparato. Per questo motivo, la nuova critica radicale dell'economia politica deve confrontarsi con un problema: quello della mediazione.

Si tratta, quindi, non solo di rendere accessibile la critica teorica alla generalità delle coscienze normali, ma anche di trovare un'uscita pratica dalla "area di terremoto" delle condizioni del rapporto denaro-merce. Cosa che è così difficile in quanto questo sistema è totalitario. La forma del valore, ed insieme ad essa la forma del denaro, nel corso di uno sviluppo capitalistico multi-secolare, hanno esteso la loro iniquità all'interno delle condizioni di vita in maniera così profonda, da apparire superabili solamente a partire da un fulcro centrale, probabilmente secondo lo slogan "o tutto, o niente". Sicuramente, la relazione totalitaria denaro-merce è conficcata nella carne insieme al carattere di merce della forza lavoro, in quanto è da questo che proviene, per così dire, tutto un sistema mercantile di pensiero superficiale. E' proprio perché la forza lavoro è diventata una merce, che tutti i prodotti devono essere trasformati in merci. Tuttavia, si deve riflettere sui passi di mediazione, o di transizione, da compiere per poter superare questo modo di vita e di produzione. E' pensabile, in determinati ambiti, poter uscire dalla forma merce?

La questione del suolo, della terra, nel senso della sua disponibilità, si pone fin dall'inizio del modo di produzione capitalista. La costituzione della relazione di capitale si è sviluppata parallelamente ad un processo di "trasformare i terreni in meri articoli commerciali" (Il Capitale, Libro I). Successivamente si sono affrontate le questioni di principio, di liberare queste basi elementari della riproduzione sociale dall'apparato ferreo della forma denaro e della commerciabilità. La condizione per poter far questo, era di liberare la terra anche dalla forma giuridica della proprietà privata. Socialisti, comunisti ed anarchici, e perfino riformisti borghesi, la pensavano in questo modo. Una terra liberata dalla forma di merce, fa parte comunque del programma di emancipazione sociale, anche in Marx: "Dal punto di vista di formazione economico-sociale superiore, la proprietà privata del globo terrestre da parte di individui isolati ci deve apparire assolutamente senza senso, quanto lo è la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche una società nel suo insieme, una nazione, o perfino tutte le società contemporanee nel loro insieme, non sono proprietarie del suolo, della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari ed hanno il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive" (Il Capitale, Libro III).

L'espulsione primordiale dalla terra, così come continua ancora oggi nel Terzo Mondo, attraverso la costituzione capitalista di rapina, e del conseguente privare gli esseri umani del controllo comune sopra quelle che sono letteralmente le basi della vita, fa parte della protervia fondamentale dell'ordine dominante. Molte volte tale questione ha dovuto essere sollevata, ed altrettante volte è stata mascherata attraverso un nuovo impulso dello sviluppo capitalistico. Però, nella crisi globale attuale, tale questione elementare assume un nuovo peso. Nelle regioni in crisi del Terzo Mondo, si moltiplicano i movimenti di occupazione delle terre. Ma anche nei centri capitalistici, la questione della terra potrebbe essere posta nuovamente. Sarebbe uno dei tanti campi del movimento sociale mondiale unito nelle condizioni della globalizzazione. Nel socialismo di Stato non c'era proprietà privata. Ma la proprietà dello Stato sulla terra, senza dubbio, significava ugualmente una separazione giuridica degli esseri umani dai loro elementari mezzi di riproduzione, al fine di una burocratica "modernizzazione di recupero". La proprietà giuridica della terra è stata istituita, nel senso dell'affermazione di Marx, al fine di negare il semplice possesso, cioè a dire, l'utilizzo come auto-amministrazione comunale. I piccoli proprietari verrebbero esclusi, in parte o del tutto, secondo il modello di un'indulgenza plenaria globale.

Quale sarebbe l'effetto? Se venisse abolita la rendita fondiaria, senza alcuna compensazione, verrebbero meno molti costi (ad esempio, l'affitto rurale). Inoltre verrebbe stabilito un presupposto di base, secondo il quale le persone possono mettere in moto delle istituzioni comuni di tutti i tipi, totalmente o parzialmente indipendenti dalla relazione denaro-merce. Naturalmente, questo si può verificare se, ad esempio, nel Terzo Mondo, il latifondo non verrà soltanto sostituito dalla proprietà privata (come avvenne durante la Rivoluzione francese), e se la terra in generale perderà la caratteristica di essere oggetto di compravendita. Non si tratta di un'utopia, ma di una delle tante possibilità di aprire una breccia nella pretesa totalitaria del sistema produttore di merci.

- Robert Kurz - pubblicato su Neues Deutschland, 6/2/2004 -

fonte: EXIT!

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